di Cesare Salvi

ROMA - I partiti del centrosinistra e della sinistra hanno atteggiamenti diversi nei confronti del governo Monti. Ma hanno tutti un problema comune: come affrontare le elezioni politiche che si terranno al più tardi tra poco più di un anno? Quale sarà la legge elettorale naturalmente conta, ma fino a un certo punto.

La scelta di fondo, infatti, è se proseguire gli orientamenti economico-sociali del governo Monti, oppure delineare un programma di rinnovamento, basato sulla giusti-zia sociale, sulla tutela del lavoro, su un’Europa democratica e sociale. È evidente che questo dilemma è di fronte anzitutto al Pd, nel quale le due opzioni sono a confronto. Nichi Vendola ha avuto il merito – dopo qualche settimana di riflessione – di porre il tema, indicando (d’intesa, a quanto pare, con Di Pietro) la strada di una coalizione di rinnovamento, che segua vie diverse e alternative rispetto a quelle dell’attuale governo, invitando il Pd ad avviare il percorso che porti a questo risultato. Effettivamente, il tempo non è moltissimo.

È possibile riprendere la strada della primavera scorsa, quella dell’unità del centrosinistra e della sinistra, premiata dai risultati elettorali delle amministrative e da quelli referendari? Credo di sì, purché si agisca con tempestività e chiarezza. C’è un punto però del ragionamento di Vendola che non mi convince: la preclusione a sinistra, quando nega che la Federazione della Sinistra possa essere un’interlocutrice di questo progetto. Il suo argomento è che noi vorremmo costruire la coalizione dell’opposizione, lui quella del governo. Ma nessuno è così stupido da proporre agli elettori una coalizione per fare opposizione. La nostra idea è quella di un patto tra le forze che oggi si oppongono al governo Monti, formulando proposte alternative. E su queste basi costruire il programma per un governo che si ponga l’obiettivo di uscire a sinistra dalla crisi. Un programma perché dalla crisi si esca attraverso la redistribuzione del reddito, lo sviluppo dell’occupazione e dei diritti del lavoro, la collaborazione con altre forze progressiste europee per cambiare il segno sociale e colmare il deficit democratico dell’Unione. Non c’è tempo da perdere.

È necessario cominciare subito a discutere: un confronto dall’esito non scontato, ma indispensabile per dare una risposta a pensionati, precari, disoccupati, ai milioni di italiane e di italiani che le politiche recessive e neoliberiste impoveriscono fino a condurre alla disperazione e alla esasperazione, terreno di coltura della destra reazionaria. A meno che non si voglia riproporre la «convenzione ad escludere» nei confronti di chi continua a chiamarsi comunista. È davvero fuori dalla storia riproporre oggi, e da sinistra, il Fattore K.

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