Il Servizio Sanitario Nazionale è un bene preziosissimo che va difeso con forza da chi oggi vorrebbe smantellarlo favorendo l'intervento dei privati.
Non è la stessa cosa ammalarsi negli Stati Uniti o in Italia. Negli U.S.A. e in molti altri Paesi avere una patologia grave in famiglia significa spesso indebitarsi o andare letteralmente in rovina. In Italia chi ha un tumore può venire curato con le terapie più innovative anche se costosissime e non paga,praticamente, nulla. Lo stesso se ha bisogno di un trapianto, oppure se deve sottoporsi a dialisi.
Nella maggior parte dei casi niente di tutto questo sarebbe nemmeno lontanamente affrontabile con le risorse economiche di un singolo o di un gruppo familiare. Ciò è possibile perchè il 23 dicembre del 1978 è stato istituito il Servizio Sanitario Nazionale, (grazie alla lotta della sinistra, dei sindacati e del movimento operaio), che sull'esempio del modello britannico vuole assicurare l'assistenza sanitaria a tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro possibilità economiche. Eppure sul SSN si muovono continue critiche e lamentele. Critiche spesso sacrosante, come quando si ha bisogno di un esame per cui la lista di attesa è di nove mesi, non si pensa a ciò che accade altrove, dove magari la lista d'attesa è lunga dodici mesi, ma al fatto che di quell'indagine c'è bisogno ora e non tra 270 giorni, un tempo infinitamente lungo. Eallora chi può paga e si affida al privato, o al privato convenzionato, oppure nel caso di una visita, 'intranoemia', per essere ricevuti dallo stesso medico che l'avrebbe fatto dopo diversi mesi con le liste d'attesa pubbliche ma che, nello stesso ospedale, pagando direttamente, ci vedrà molto, ma molto, prima.
Eppure nonstante questo e altri difetti, il nostro sistema sanitario è un bene, un servizio pubblico da difendere a tutti i costi.
Ne è convinto Giuseppe Remuzzi(*), una dei medici italiani più famosi, nel suo libro "LA SALUTE (NON)E' IN VENDITA".
Altro nodo fondamentale è il criterio retributivo delle prestazioni sulla base dei cosiddetti Drg (Diagnosis Related Groups) che dovrebbero assicurare un equo compenso per le singole prestazioni fornite dagli ospedali da parte delle Regioni. Una scelta che ha generato anche storture, penalizzando gli ospedali pubblici. (Come sarebbe urgente ripensare tutto il processo di aziedalizzazione che ha stravolto la sanità pubblica).
Uno sbilanciamento,quello fra pubblico e privato convenzionato che è di fatto il fulcro dell'analisi di Remuzzi, che stigmatizza perchè il mercato nella salute rappresenti un vero e grave rischio.
Una critica molto energica verso chi vorrebbe spostare il nostro modello universalistico verso altri fondati su forme assicurative individuali. Le quali, peraltro, conti alla mano, dimostrano di non far risparmiare affatto lo Stato. La spesa sanitaria procapite degli U.S.A. è molto più alta di quella italiana.
Non mancano accenni anche pungenti all'attuale organizzazione dell'assistenza, a partire da quella di base, territoriale, e del suo rapporto con gli ospedali. Cosi come vengono denunciate le assurde situazioni che impediscono ai giovani medici preparati e motivati l'ingresso a pieno e riconosciuto titolo nelle strutture pubbliche, abrogando la precarietà lavorativa e garantendo un ricambio sempre più urgente e necessario.

(*) Giuseppe Remuzzi dirige l'Istituto di Ricerche farmacologiche 'Mario Negri' ed è professore di Nefrologia all'Università Statale di Milano.

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