Dolce, dolcissima, perché è la nona edizione che viviamo da protagonisti della grande avventura che è Edicola 518 e la prima che ci ha visti operare dal doppio fronte Paradiso 518/Quasi 518. È stata la più gratificante in termini di partecipazione, di scambio, di offerta culturale da noi proposta (con un evento artistico/musicale a sera) e di economie generate. Siamo stremati e felici dopo questi dieci giorni.
Ma veniamo alla parte agra, perché stavolta sentiamo di non poterci limitare ai ringraziamenti. La situazione con alcuni vicini (esercenti e residenti, alla fine 4 o 5 persone, ma quel che basta per avvelenarti la vita) si è fatta oltremodo pesante e, nonostante i nostri ripetuti sforzi di mediazione, crediamo sia giusto iniziare a prendere la parola anche pubblicamente. Cito 3 episodi simbolici, come punta di un iceberg fatto di mille momenti spiacevoli:
- Avvocato con studio sopra di noi che, per aver trovato una persona appoggiata al “suo” portone (a bere un calice, mica a farsi una pera), entra al Quasi gridando a squarciagola davanti ai clienti sbigottiti che la nostra attività è illegale e che avrebbe chiamato la polizia, delirando dieci minuti in maniera totalmente unilaterale, poi se ne va;
- Vicino di attività che, a fronte di un nostro cliente che si è approssimato pericolosamente ai suoi tavolini (neanche seduto), in una dinamica di quartiere in cui tutti i giorni si siedono suoi clienti sui nostri e noi giustamente ce ne freghiamo, mi si fa addosso come un gangster a dire che io sono illegale, che non posso mettere i tavolini lì e che violo i regolamenti comunali (ovviamente mostro lui tutti i permessi del caso e lo congedo);
- Residente del palazzo sopra che, a fronte di una serata chitarra-voce proposta sotto Umbria Jazz con la città in delirio e terminata alle 10 di sera!!!!, viene da me e col tono amichevole tipico dei mafiosi mi dice: «Voi non dovete fare più musica, perché siamo stanchi, stiamo creando un gruppetto e se continuate chiamiamo l’Arpa e vi facciamo chiudere».
Ora, non è mia intenzione entrare nel merito formale di questi interventi e mi sembra perfino superfluo precisare che siamo un’attività regolare, che dispone delle licenze necessarie, che paga le tasse, che paga i dipendenti, che paga il suolo pubblico e che grazie a dio non può essere fermata né dalla Polizia, né dall’Esercito, né dall’Arpa.

Penso però che, trovandosi fra le altre cose la città nel pieno di una transizione amministrativa, sia necessario aprire un dibattito civico su questi temi e pretendere prese di posizione definitive da parte di chi ci amministra. Si è giustamente parlato nel corso della campagna elettorale per le elezioni comunali di una città ripiegata su se stessa, che deve rialzarsi a partire dalla propria autostima, dalla propria proiezione internazionale e dalle proprie eccellenze. È stata creata una specifica delega alla vita notturna, con un assessore competente (una delega che andrebbe estesa anche alla vita diurna perché tanto, se fai cultura, ti rompono il cazzo anche prima del tramonto), ed è subito tempo di trasformare le promesse elettorali in iniziative concrete indispensabili alla salute fisica e mentale di chi opera in ambito artistico.
A me non preoccupano i deliri di onnipotenza di certi residenti o esercenti, perché a quelli si risponde botta su botta. Mi preoccupa, tremendamente e mortalmente, la mentalità che sottostà a interventi come quelli sopra descritti; una mentalità secondo cui una persona x, per il solo risiedere in una via, può permettersi di parlare ai rappresentanti di un’attività con dieci anni di storia, con centinaia di eventi culturali gratuiti di altissimo profilo alle spalle, con migliaia di turisti che vengono a visitarla ogni anno, con cinque dipendenti, con tre affitti pagati e relative utenze, con menzioni e articoli dedicati sui principali quotidiani e periodici del mondo, da un piano di superiorità. Quasi come se, dalla loro sfocatissima prospettiva, potessero davvero staccarti la spina in qualunque momento e nel frattempo imbeccarti quotidianamente con sguardi, gesti, parole e talora inaccettabili sfoghi, il cui senso è un paternalistico: «Stai attendo e comportati bene, perché sei a casa mia!».
Noi, di questa città, dopo tutto quello che abbiamo fatto, non ci sentiamo ospiti con un diritto di asilo gentilmente accordato da gente che parcheggia in divieto di sosta davanti ai monumenti, che fa pisciare i cani davanti alle vetrine, che butta rifiuti fuori dal portone alle 8 di sera con liquami che appestano la via e nel tempo libero organizza complotti nell’androne del palazzo a difesa del proprio dormitorio. Noi di questa città ci sentiamo l’humus, la parte creativa, il motivo di orgoglio, il presente e il futuro.
E crediamo sia giunto il momento in cui le istituzioni vogliano intraprendere un percorso definitivo a tutela nostra e di chi come noi fa quotidianamente cultura sotto minaccia, rendendo Perugia grande nel mondo. Le istituzioni non devono scegliere tra residenti e esercenti, questo è chiaro, ma devono stabilire, una volta per tutte, quali sono i confini che non vanno superati.

E soprattutto che dei confini da non superare ci sono non soltanto per chi fa cultura, ma anche per chi la riceve. Perché non siamo più disposti a dialogare con un interlocutore che si permetta di dire: «Ti faccio chiudere!». Questa è una minaccia a tutti gli effetti; una minaccia che se praticata all’inverso, da noi nei loro confronti, ci varrebbe come minimo una denuncia.
Quindi sia chiaro che d’ora innanzi, in attesa di risposte dalle istituzioni competenti, nell’interesse di una città che, nonostante tutto, continua a crescere in presenze, offerta culturale e visibilità, renderemo pubblici questi episodi privati, per sentirci meno soli e per far sentire meno solo chi, in altri quartieri e con altre attività, si trova nella medesima e spiacevolissima situazione. Sperando, il prossimo anno, di poter dedicare il lunedì dopo Umbria Jazz semplicemente al ringraziamento di tutti quelli che ci sono venuti a trovare, senza amare postille.
#Emergenze
 

 

 

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