di Elio Clero Bertoldi.

PERUGIA - "Le Sibille", che risaltano nelle sale, ricchissime ed elegantissime, del Collegio del Cambio, sede dei cambiatori di valute, cioè dei banchieri dell'epoca, rappresentano una delle parti più ammirate e più apprezzate degli affreschi che il Perugino (1446-1523) lasciò a Perugia, tanto che cinque anni fa la Zecca dello Stato le scelse per una delle facce di una moneta d'argento (sull'altro venne coniata una panoramica della città di Perugia, tratta dalla "Traslazione del corpo di Sant'Ercolano" di un altro artista perugino, Benedetto Bonfigli, in cui svettano campanili e case-torri) dal valore facciale di 5 euro, tirata in 4.000 pezzi.
Per questa importante commissione Pietro Vannucci di Cristoforo, che si era guadagnato con la sua arte pure la cittadinanza perugina nel 1485, venne pagato - anche se per il saldo dovette aspettare otto anni circa - 350 ducati veneziani, ciascuno dei quali aveva un peso di circa tre grammi e mezzo d'oro a 24 carati.
Il contratto in volgare - scoperto e studiato qualche anno fa da Alberto Maria Sartore all'Archivio di Stato di Perugia e pubblicato dalla rivista internazionale "The Burlington Magazine" di Londra - reca la firma del notaio Pietro Paolo di Ser Bartolomeo.
Perugia, nell'ultima decade del Quattrocento, viveva tensioni piuttosto alte per lo scontro feroce e sanguinoso tra i Baglioni e gli Oddi, in lotta per la supremazia cittadina. La casata dei secondi fu spazzata via con la cruenta battaglia addirittura in via dei Priori nel 1495. Il gruppo di intellettuali che aveva ruotato intorno alla corte di Braccio Baglioni (il cui zio materno era stato il grande Braccio da Montone) si era accasato intorno al Collegio del Cambio, cui faceva riferimento la più colta e raffinata aristocrazia cittadina. I nomi citati sul documento parlano di Amico Graziani, Alberto Baglioni, Carlo Cinaglia, Teseo della Corgna, Francesco Montemelini, Monaldo Boncambi, Ghiberto de' Ghiberti, Marco Monaldi. Mentre il Graziani aveva avuto l'incarico di contattare e richiamare da Vicenza l'umanista Francesco Maturanzio (marito di una Montemelini), il Cignaglia aveva provveduto a trattare col pittore, all'acme della sua fama e che gestiva una bottega, molto attiva, a Firenze. Il preliminare risulta datato 26 gennaio del 1496, mentre la stesura definitiva venne vergata l'11 maggio 1497. Agli inizi di quest'ultimo mese cinque pittori, legati alla bottega del Perugino, fondarono la "società del 1496". Si chiamavano Ludovico d'Angelo, Sinibaldo Ibi, Berto di Giovanni, Lattanzio di Giovanni e Eusebio da San Giorgio. Come primo atto presero in affitto palazzo Acerbi, a pochi metri di distanza dal Cambio. In pratica erano gli aiuti del Perugino, che sovrintendeva il tutto, ma aveva creato quasi azienda imprenditoriale. Il lavoro avrebbe dovuto essere completato nel volgere di dodici mesi e avrebbe dovuto essere svolto con l'utilizzo di oro, argento e "azzurro della Magna", il meglio del meglio per l'epoca.
Il Maturanzio, dal canto suo, aveva minuziosamente descritto i soggetti che dovevano essere dipinti sugli affreschi. Il Perugino ed i suoi aiutanti - l'inizio dell'attività risale al 1498, mentre a Firenze nel maggio bruciava sul rogo il domenicano Gerolamo Savonarola, che apprezzava le dolci Madonne dell'artista umbro - completarono il lavoro nel 1500, l'anno delle sanguinose "nozze di sangue" nel quale persero la vita, per la congiura di parenti ed amici, diversi membri dei rami di Rodolfo e Guido Baglioni. 
Gli ultimi 50 ducati l'artista poté comunque incassarli solo nel 1507. E questo nonostante gli studiosi sostengano che la cifra pattuita non fosse alta in considerazione della vastità dei metri quadrati da affrescare. Il tocco conclusivo dell'opera fu l'autoritratto che il Perugino lasciò a firma, quasi, dell'apprezzato lavoro.
 

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