Addio a Toni Negri, il suo pensiero è nella Storia - di di Gennaro Avallone
Profondo conoscitore della filosofia politica, studioso tra i più rilevanti al mondo di Spinoza e di Marx, animatore di un dibattito profondo, di lungo periodo, sulla teoria dello Stato e sulla possibilità della messa in discussione del primato del capitale, cioè dell’impresa e della finanza, nei rapporti di produzione. Negri si afferma negli anni ’60 tra gli studiosi dell'operaismo con Mario Tronti e altri intellettuali, continuando esplicitamente, a differenza di quest’ultimo, su questa linea di interpretazione dei processi storici e sociali, ma anche di indicazione per la loro trasformazione in senso comunista.
a vicenda umana, intellettuale e politica di Antonio Negri ha attraversato tutta la seconda metà del Novecento fino ai giorni nostri. Ovviamente, non è questo il momento per analizzarne complessivamente il contributo e le caratteristiche, ma è sicuramente un momento per evidenziare la profondità della presenza nella storia non solo italiana di Antonio Negri negli ultimi settant’anni.
Profondo conoscitore della filosofia politica, studioso tra i più rilevanti al mondo di Spinoza e di Marx, animatore di un dibattito profondo, di lungo periodo, sulla teoria dello Stato e sulla possibilità della messa in discussione del primato del capitale, cioè dell’impresa e della finanza, nei rapporti di produzione. Negri si afferma negli anni ’60 tra gli studiosi dell’operaismo con Mario Tronti e altri intellettuali, continuando esplicitamente, a differenza di quest’ultimo, su questa linea di interpretazione dei processi storici e sociali, ma anche di indicazione per la loro trasformazione in senso comunista.
L’operaismo, in estrema sintesi, evidenza il fatto che il motore della storia è la lotta – la lotta operaia, la lotta del lavoro vivo – alla quale segue il tentativo di recupero e di disciplinamento, attraverso i processi di ristrutturazione agiti dai proprietari dei capitali, dai proprietari dei mezzi di produzione, che mettono in discussione le conquiste economiche e politiche del lavoro vivo. A questo segue un ulteriore ciclo di lotte del lavoro vivo per tentare di costruire il proprio potere, la propria affermazione, la propria autonomia operaia.
Quest’ultima categoria è diventata anche una sigla politica durante gli anni ‘70, continuata anche durante gli anni ‘80, collegata idealmente e per una serie di indicazioni politiche alla stagione degli anni ‘90 e dei primi 2000 dei centri sociali in Italia e in tante altre parti d’Europa e dell’America Latina. Negri ha anche contribuito all’elaborazione teorica e politica del cosiddetto movimento No Global: il suo libro “Impero”, scritto con Michael Hardt, ha venduto nel mondo centinaia di migliaia di copie e ha migliaia e migliaia di citazioni in articoli e libri scientifici in diverse lingue.
L’opera di Negri è conosciutissima in tutto il mondo, discussa nelle università così come all’interno dei movimenti sociali[1]. Nel caso italiano, invece, essa è stata osteggiata, perché Negri è stato considerato un “cattivo maestro”, l’ispiratore della lotta armata in Italia (come ancora oggi ha titolato Sky[2]), come cercò di sancire – invano – anche il processo iniziato con gli arresti del 7 Aprile 1979, con il quale il giudice Calogero costruì il teorema che voleva Negri a capo del cosiddetto Partito armato.
Dentro questo clima di caccia alle streghe costruito, in Italia, tra la fine degli anni ‘70 e gli anni ’80, verso tutto ciò che era considerato eversione, gli scritti di Negri sono stati espulsi anche dall’università e dal dibattito interno alle discipline scientifiche più prossime, come, per esempio, la teoria del diritto e la filosofia politica. Tuttavia, la forza dell’elaborazione di Negri, sempre più nel tempo nota e studiata nel mondo, ha impedito la caduta nell’oblio della sua opera qui in Italia, rilanciata prepotentemente nel passaggio di secolo con il libro “Impero” e con l’affermazione della categoria di moltitudine; utile per cercare di comprendere la nuova composizione del lavoro vivo all’interno del cosiddetto postfordismo, cioè dell’organizzazione socio-economica non più centrata sulla fabbrica, ma su una moltiplicazione dei processi produttivi, delle merci prodotte e, quindi, anche delle figure lavorative.
Negri ha attraversato e ha influenzato il pensiero politico di più di una generazione: la mia generazione (io ho 50 anni), ad esempio, si è necessariamente confrontata con la proposta di analisi di Negri e dell’operaismo. Questo è un altro aspetto fondamentale della sua esperienza, della sua vita, di quella vita ricca che tanti amici e compagni in queste ore, in questo primo giorno di lutto, hanno subito voluto far risaltare: come nelle poche e intense parole pubblicate dal collettivo Euronomade[3], così come nel saluto del collettivo Effimera[4].
Negri non ha mai rinunciato alla definizione di comunista, intesa come una prospettiva di vita fondata sul riconoscimento dell’autonomia del lavoro vivo e, quindi, anche sul riconoscimento dell’autonomia delle forme politiche del lavoro vivo, orientate a costruirsi come movimento che mette in discussione lo stato di cose presenti. Il fatto che Negri non abbia mai messo in discussione tutto questo evidentemente lo ha posto continuamente, e lo sta ponendo anche in questo momento, dalla parte del torto, dell’errore, soprattutto per quei commentatori e docenti universitari che a quella prospettiva avevano creduto, abiurando successivamente. Il modo in cui ne stanno parlando ampia parte dei giornali e delle tv lo conferma, riproponendo, ossessionati, l’etichetta di cattivo maestro, fino al punto di attribuirgli – in maniera del tutto inventata – l’appartenenza alle Brigate Rosse.[5]
Negri non ha mai aderito a quella strategia dell’oblio (del passato delle lotte sociali) di cui parlava Franco Fortini durante gli anni ’80; anzi, le sue posizioni di tenuta della critica dell’esistente, insieme a quella di tanti e tante altre, hanno evidenziato il fatto che quella strategia aveva delle opposizioni. Questa tenuta, alimentata nel tempo da una produzione intellettuale e di ricerca incessante, lo ha messo in comunicazione anche con le nuove generazioni politiche, ad esempio con le ventenni e i ventenni degli anni ‘90 all’interno del movimento dei centri sociali, che, in maniera eterogenea, si è confrontato con i testi di Negri, così come hanno continuato a farlo il movimento contro la globalizzazione capitalistica degli anni 2000 e il movimento dal basso per la giustizia climatica e per la transizione ecologica giusta.
Questa continuità politica e di ricerca – ovviamente non lineare ma dialettica, aperta, in discussione – ha attraversato molte generazioni e fa parte della ricchezza della produzione scientifica oltre che politica di Negri. Quest’ultimo è un ulteriore elemento che, secondo me, è fondamentale da riconoscer, il tema della centralità della produzione, che collega l’elaborazione teorica e pratica di Negri a quella di Spinoza: la centralità dell’attività dell’essere umano e, quindi, in questo senso, del lavoro vivo, che non può essere ingabbiata fino in fondo dai meccanismi che tendono a sfruttarla, che tendono ad estrarre ricchezza a fini privati da essa. La centralità della produzione è tale nella vita dei singoli individui così come della società nel suo insieme, nella forma specifica della cooperazione sociale, che sempre più si afferma come potenza produttiva e, pertanto, come potenziale costruzione di una società comunista, che vuol dire una società di liberi e uguali.
[1] Qui, ad esempio, si può accedere all’intera serie delle lezioni tenutesi in diverse città del mondo in vista del novantesimo compleanno di Toni Negri: http://www.euronomade.info/?p=15627
[2] https://tg24.sky.it/cronaca/approfondimenti/toni-negri-chi-era.
[3] http://www.euronomade.info/?p=15804
[4] https://effimera.org/rendiamo-omaggio-a-toni-negri-di-effimera/.
[5] https://tg.la7.it/cronaca/e-morto-toni-negri-considerato-lideologo-delle-brigate-rosse-16-12-2023-201073.
Fonte: resistenzequotidiane.it
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