La Primavera INCOMPIUTA

Jakub Hornacek

Che cosa resta dopo quel «trauma d'agosto»? In una città in cui nulla ricorda Alexander Dubcek, il «socialismo dal volto umano» imbarazza la politica. Fu l'ultima possibilità di «autocorreggere» il comunismo o l'impossibile premessa «liberale» alle rivoluzioni dell'89?

Il 21 agosto del 1968 le truppe del Patto di Varsavia entrarono nella Cecoslovacchia per soffocare la stagione della Primavera di Praga. Anche quest'anno le commemorazioni dell'anniversario dell'invasione si sono tenute presso la sede della Radio di Stato nella Vinohradska trida di Praga: la Radio è stata in quelle giornate concitate la più potente voce della Primavera morente sotto i cingolati dei carri armati, che così traumaticamente affollarono le strade delle città cecoslovacche. Da troppo tempo però l'anniversario dell'invasione è anche l'unica occasione nel dibattito pubblico ceco per (non) parlare della Primavera di Praga, il cui ricordo storico appare schiacciato sul Trauma d'agosto.

Il Dubcek smarrito

«Certe volte i turisti ci chiedono di un monumento dove andare a ricordare la Primavera di Praga e il suo leader Alexander Dubcek - racconta una delle tante guide turistiche che operano a Praga - a parte la piazza Venceslao con la croce interrata dedicata a Jan Palach, un simile monumento manca». Infatti, tranne una targa ricordo inaugurata presso la vecchia sede del ex Parlamento federale cecoslovacco, un edificio vicino a piazza Venceslao stretto d'assedio da due rami dell'autostrada, nulla rimane di Dubcek nella topografia e nello spazio urbano della capitale ceca. Un oblio accanito rispetto alla figura di Dubcek, che nella sua biografia riassume le speranze della Primavera e il travaglio e l'espulsione dalla vita pubblica del periodo della «normalizzazione». Dubcek fu tra quelle centinaia di migliaia di comunisti, che nelle purghe degli anni Settanta non rinnegarono l'esperienza di quel periodo, e ciò gli valse un enorme popolarità sia in patria che all'estero.

Primavera come antefatto?

Come viene sottolineato da uno dei protagonisti d'allora, Cestmir Cisar, «l'originalità della Primavera di Praga consisteva nel fatto che il processo di cambiamento era partito dall'interno del Partito comunista cecoslovacco e non a causa delle pressioni esterne». La Primavera di Praga è stata quindi un tentativo di creare una società plurale, con sindacati, associazioni e consigli operai indipendenti all'interno di un organizzazione politica ed economica socialista.

La volontà delle miriadi di protagonisti della Primavera di creare un'alternativa dentro e non contro quel modello politico ed economico è oggi il motivo di imbarazzo e di rigetto da parte della classe dirigente ceca, che considera il 1968 cecoslovacco e la sua tragica fine come la prova regina dell'impossibilità di rendere più democratico il sistema politico ante 1989.

Da questo punto di vista, la Primavera sarebbe stata un'anticipazione rispetto al corso della storia nel 1989. Secondo una tale interpretazione, la ricerca di pluralismo e la presenza di numerose organizzazioni sociali indipendenti doveva sfociare nella costituzione di una democrazia liberale simile a quella vigente nei Paesi della Nato. «Nel contesto dei cambiamenti della Primavera di Praga divenne ben presto chiaro che i comunisti cecoslovacchi avevano perso il controllo della situazione. Perciò il comportamento dei comunisti sovietici appare ben più avveduto. I comunisti cecoslovacchi, anche se lo avessero voluto, non avrebbero avuto la possibilità di arrestare i cambiamenti in corso, che potevano sfociare nell'affermarsi di un sistema democratico», sostiene Jiri Pehe, uno dei più brillanti politologi cechi.

Questo muoversi dentro il socialismo viene invece sottolineato da Antonin J. Liehm. «La Filosofia della Primavera di Praga era quella di una fuga in avanti. Se i cambiamenti in seno al Partito comunista fossero stati sufficientemente veloci per trasformare il Pcc in un partito democratico e socialista e gli altri partiti del Fronte popolare in veri competitori, allora l'Unione sovietica e i Paesi del Patto di Varsavia avrebbero dovuto prender nota dei cambiamenti avvenuti», ritiene Liehm, allora attivo nella rivista Literarni Noviny, e poi uno dei fondatori di Lettera Internazionale, una delle prime riviste transnazionali europee. Una fuga in avanti, che secondo Liehm avrebbe potuto diffondersi anche ad altri Paesi del blocco sovietico, portando così a un risorgimento dell'esperimento socialista. In questo senso, considerare gli avvenimenti del 1968 come un tentativo anzitempo delle rivoluzioni del 1989 appare veramente arduo.

Primavera come fonte ispiratrice?

Ancora oggi in molti ambienti della società ceca, la Primavera di Praga rappresenta la ricerca dell'alternativa rispetto al capitalismo e al socialismo reale. Sebbene le differenze tra il presente e quella esperienza sono notevoli, alcune rivendicazioni rimangono tutt'ora attuali. Lo sono quelle di una maggiore partecipazione alle decisioni politiche, di una sostanziale democratizzazione del sistema economico e di un cambiamento radicale del modello di società.

«Una delle idee e delle rivendicazioni della Primavera di Praga maggiormente radicate nella società è stata quella della costituzione di un socialismo democratico. Nonostante le mutate condizioni politiche e internazionali, questa rivendicazione è stata ripresa con forza anche nel 1989 e nella prima metà degli anni '90. Tuttavia negli ultimi anni quest'idea si è parecchio sfilacciata, e perciò credo che sia il compito di una sinistra, che voglia essere veramente tale, di ricostruirne l'ordito», ci dice Lukas Matoska, uno degli organizzatori dell'opposizione sociale all'attuale governo di stampo neoliberista.

Secondo Matoska la Primavera, e soprattutto il periodo di resistenza civile all'invasione durata fino alla fine del 1969, rappresenta un'altra significativa fonte di ispirazione per gli attuali movimenti sociali. «L'unione di azione tra gli studenti e gli operai, gli scioperi, le proteste, la capacità di fare controinformazione di quei mesi mostrano all'attuale sinistra un modus agendi della lotta politica e sociale ancora attuale».

Si può quindi affermare, che a Praga, nonostante tutto, non sono più in pochi a sperare e a lottare, che dall'attuale crisi capitalistica possa sbocciare una nuova Primavera.

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Lo storico / JIRI HOPPE (ACCADEMIA DELLE SCIENZE) È IL PRINCIPALE STUDIOSO CECO DI QUEL PERIODO

«Fu un periodo di libertà culturale senza eguali»

INTERVISTA - jakub hornacek

PRAGA

Jiri Hoppe è uno dei principali storici cechi del periodo della Primavera di Praga. Il suo lavoro si svolge all'interno dell'Istituto per lo studio della storia contemporanea dell'Accademia delle scienze (Ustav pro soudobe dejiny Akademie Ved CR). Tuttavia Hoppe non disdegna anche un impegno più divulgativo, come mostra il sito sulla storia del 1968 da lui curato all'interno di un progetto dell'Istituto in cui lavora.

Qual è stato secondo lei il maggior contributo della Primavera di Praga?

Come storico e come cittadino, ritengo che il maggior contributo sia stato l'abolizione della censura nei mezzi di comunicazione, avvenuta nel marzo del 1968. La liberazione dei media è stata considerata dai Cechi e dagli Slovacchi come un piccolo miracolo e fu una conquista fondamentale della Primavera di Praga. In quel periodo la stampa, le radio e la televisione si concentrarono su tre temi principali: sulla valutazione del passato, e soprattutto dei processi degli anni '50, sul futuro, ossia sulla discussione riguardo all'organizzazione dello stato e della politica, e sul dibattito circa il modello di società. I media di allora si distinguevano per la loro alta qualità linguistica, e non sorprende, che la stampa di quell'anno veniva conservata dalle famiglie in degli archivi domestici. Lo posso testimoniare io stesso, che grazie ai miei genitori ho avuto accesso a tutta la produzione letteraria e di stampa di quell'anno. Si può dire che sono cresciuto leggendo i giornali, le riviste e i libri stampati nel 1968. E non ero affatto solo, anzi la maggior parte della mia generazione ha avuto un percorso simile. I saperi appresi per questa via hanno avuto poi un ruolo importante nel 1989 e nel periodo successivo.

Quali furono i temi principali di quel periodo?

Si trattava soprattutto di un dibattito libero e non teleguidato dall'alto. In quel periodo uscirono degli ottimi articoli sul bisogno di una maggiore democraticità, sulla riforma del socialismo e del sistema esistente, e sulla garanzia dei diritti e delle libertà personali e civili. E in quasi tutti gli articoli ritornava il dibattito sulla inadeguatezza del «ruolo guida del Partito comunista cecoslovacco nella società e nello Stato», introdotto nella Costituzione cecoslovacca nel 1960. Questo principio fu negato proprio dall'abolizione della censura e nei dibattiti di quel tempo si era in ricerca di un modello adeguato dell'esercizio del potere.

Sul piano legislativo però fu approvata soltanto una parte delle riforme proposte dal gruppo dirigente del nuovo corso. Tuttavia secondo lei si può dire che i maggiori cambiamenti siano avvenuti nella vita quotidiana, nella società e in una maggiore partecipazione politica?

In quel periodo le persone erano diventate senz'altro più interessate alle questioni politiche e soprattutto credevano di poter cambiare con le loro forze «lo stato delle cose presente». Inoltre, com'è naturale, la maggior parte delle persone avevano l'interesse ad aumentare il loro benessere sociale, e chiedevano aumenti salariali, a cui il governo rispose con un aumento del 10% degli stipendi. Per quanto riguarda la partecipazione politica, il ruolo principale spettava al Partito comunista, che aveva 1,7 milioni di iscritti su una popolazione di 14 milioni di abitanti. Tuttavia credo che un ruolo molto importante fu svolto da altre tre associazioni indipendenti con ambizioni politiche: si trattava della socialdemocrazia, del «Club degli indipendenti impegnati» e del «K 231», che raggruppava gli ex prigionieri politici.

Secondo lei la Primavera di Praga sta ricevendo un'attenzione adeguata dalla storiografia ceca attuale?

In linea di massima sì. Nell'Istituto per la Storia Contemporanea dell'Accademia delle Scienze, in cui lavoro, curiamo da ormai 19 anni una collana che si concentra sulla Cecoslovacchia, sul Partito comunista cecoslovacco e sulla società cecoslovacca di fine anni 60. E da lì vediamo che la Primavera di Praga non corrisponde affatto a una visione storiografica basata sul paradigma del totalitarismo.

Che livello di consapevolezza c'è della Primavera di Praga nelle scuole ceche di oggi?

Quando andiamo nelle scuole medie e superiori della Repubblica ceca vediamo delle situazioni molto differenti. Da una parte ci sono delle conoscenze piuttosto approfondite sul periodo e sulla società d'allora, dall'altra c'è un terribile livello di ignoranza. Ma, credo, che così avvenga in tutto il mondo.

il manifesto 2012.08.21

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