Speciale XVIII Congresso Cgil

da Rassegna.it

Mentre la Cgil si accinge all’appuntamento di Bari, può essere utile una rapida carrellata sui congressi che durante gli anni della repubblica ne hanno scandito la storia. Dovremmo cominciare con il ’47, quando a Firenze si svolse il primo congresso – il solo unitario –. È giusto partire, però, dal 1945 e da un’assise che si tenne nella parte del paese già liberata dal nazifascismo.

1945. Nell’Italia tagliata in due
Dopo il Patto di Roma che ha ridato vita alla Cgil unitaria (3 giugno 1944), nell’“Italia tagliata in due” – secondo la definizione crociana – il primo appuntamento ufficiale è a Napoli, il 28 gennaio-1 febbraio 1945. In quello che passerà alla storia come il I Congresso delle organizzazioni sindacali della Cgil dell’Italia liberata, Giuseppe Di Vittorio, Achille Grandi e Oreste Lizzadri – i tre segretari che sono anche i leader delle tre maggiori correnti che compongono la Cgil: comunista, democristiana e socialista – fissano gli obiettivi che andranno perseguiti a guerra finita: riforme strutturali dell’economia, partecipazione dei lavoratori al controllo e alla gestione delle grandi imprese, riforma agraria, una incisiva legislazione sociale.

Prima e dopo l’appuntamento napoletano vanno segnalati altri due incontri: il convegno che si tiene a Roma, il 15-16 settembre 1944, in cui si discute della vita interna della Cgil e del rapporto con i partiti – quindi, si direbbe oggi, dell’autonomia del sindacato –; il congresso delle Camere del lavoro dell’Italia settentrionale (Milano, 24-25 luglio 1945) che integra i vertici della Cgil con i rappresentanti del Nord.

1947. La scissione alle porte
(Firenze, 1-7 giugno)
È il primo congresso vero e proprio, l’unico a carattere unitario, ma ormai solo sotto il profilo formale. In maggio le sinistre sono state escluse dal governo, la crisi politica si riflette anche in casa Cgil. Comunisti e socialisti da un lato, democristiani dall’altro – guidati da Giulio Pastore, Grandi si è spento l’anno prima – si dividono su tutto: dalla questione dell’autonomia e del rapporto con la politica alla concezione stessa del sindacato. Per comunisti e socialisti l’autonomia sindacale non significa rinunciare a priori alla possibilità di muoversi anche sul terreno più squisitamente politico. Per gli esponenti della corrente cristiana – come si chiamava quella a filiazione Dc –, che si ritroveranno in minoranza, il sindacato non deve in alcun modo uscire dallo spazio economico-rivendicativo, ovvero dal suo specifico campo d’azione.

1949. Di Vittorio e il Piano del lavoro
(Genova 4-9 ottobre)
Quando si tiene il II Congresso la Cgil ha subìto la scissione della corrente cristiana, che ha deciso la rottura nel luglio del ’48 dopo il rifiuto di aderire alla sciopero generale seguito all’attentato al leader del Pci Palmiro Togliatti. In seguito lasceranno la Cgil anche socialdemocratici e repubblicani. Ma Di Vittorio evita le polemiche e propone l’unità d’azione. Insieme, avanza una proposta nuova e originale: il Piano del lavoro. Discusso poi nella conferenza di Roma del febbraio 1950 – conferenza che vede la partecipazione di economisti del calibro di Alberto Breglia, Giorgio Fuà, Sergio Steve, oltre che di un giovane Paolo Sylos Labini –, il Piano è incentrato sull’idea di un vasto programma di opere pubbliche – campi d’intervento l’agricoltura, l’energia elettrica (che va nazionalizzata), l’edilizia – capace di ridare fiato al mercato interno e aprire così la strada alla piena occupazione.

Alla realizzazione delle opere devono affiancarsi tre enti – per le bonifiche, l’irrigazione e la trasformazione fondiaria, la costruzione di nuove centrali elettriche, l’edilizia popolare, sanitaria e scolastica –, consentendo allo Stato di intervenire in maniera efficace all’interno di settori strategici. Quanto alle risorse necessarie al finanziamento del Piano, la Cgil guarda al contributo degli agrari beneficiari dei lavori e a un’imposizione straordinaria sui redditi più elevati. Di fronte alla prospettiva di un futuro migliore i lavoratori, si assicura, faranno volentieri la loro parte di sacrifici.

Un progetto che si ispira alla lezione keynesiana – si è ripetuto più volte –, una proposta per alcuni versi ingenua, segnata com’è da una concezione malthusiana del capitalismo italiano, dall’incapacità di coglierne le capacità espansive. Un disegno tuttavia non privo di intuizioni importanti, che oltrepassano lo stesso impianto teorico di partenza: a caratterizzare il Piano, infatti, non è solo l’idea di un robusto sostegno alla domanda aggregata ma anche quella di una moderna rete di servizi.

Il progetto di Di Vittorio non dà i frutti che si vorrebbero – “Non sono i piani che mancano, mancano i quattrini! dirà in maniera sprezzante De Gasperi –; produce però, oltre a significative conquiste in ambito locale – come accadde ad esempio in Abruzzo, nella Val Vomano –, una straordinaria esperienza di partecipazione e la promozione di una nuova, diffusa leva di dirigenti sindacali. Tutto questo cercando una via d’uscita al muro contro muro che caratterizzava allora lo scontro politico-sociale e affermando una volta per tutte il carattere generale dell’iniziativa della Cgil.

1952. Lavoro e Costituzione
(Napoli, 26 novembre-3 dicembre)
Il III Congresso cade nel pieno della stagione centrista – i governi che la Dc forma con socialdemocratici, repubblicani e liberali – e della dura, spesso sanguinosa repressione di cui sono oggetto le lotte operaie e bracciantili. Una modernizzazione senza diritti: la strada dell’Italia che a fine decennio approderà al boom economico è ormai imboccata. Ed è proprio al tema dei diritti – senza la consapevolezza che la loro negazione avveniva alle soglie di una fase impetuosa di crescita: lo schema malthusiano prima accennato – che viene dedicata la proposta di Di Vittorio a Cisl e Uil: l’elaborazione, appunto, di uno Statuto per la difesa dei diritti, della libertà e della dignità del lavoratore, lo strumento che deve consentire alla Costituzione di entrare nei luoghi di lavoro. L’idea dello Statuto diventerà poi fatto concreto solo nel 1970, dietro la spinta del biennio di lotte del ’68-69, artefici il ministro del Lavoro Giacomo Brodolini – che si spegnerà prima dell’approvazione della legge 300 – e il giuslavorista Gino Giugni, entrambi socialisti.

1956. Il ritorno alla fabbrica
(Roma, 27 febbraio-4 marzo)
Il 29 marzo del ’55 la Fiom subisce una durissima sconfitta alle elezioni delle commissioni interne Fiat, passando da oltre il 63 per cento dei voti a poco più del 36 e cedendo alla Fim Cisl il primato negli stabilimenti torinesi. In un drammatico direttivo Cgil, in aprile, Di Vittorio non cerca scusanti. Nell’insuccesso la repressione padronale, coniugata all’arma del paternalismo, ha svolto un ruolo decisivo. “Sarebbe tuttavia un grave errore – afferma – se noi, individuando e denunciando l’azione illegale e ricattatoria del grande padronato sottovalutassimo la gravità del colpo inferto alla Fiom e alla Cgil (...); se noi, cioè, tentassimo di scagionare ogni nostra responsabilità nella sconfitta”. Detta responsabilità consiste in un difetto d’analisi, nell’incapacità a comprendere i mutamenti intervenuti all’interno delle fabbriche, nella Fiat e altrove: i mutamenti indotti dal taylorismo, in sostanza, dall’organizzazione scientifica del lavoro. Di questi cambiamenti la Fiom e la Cgil non si sono accorte per tempo, scambiando le forme nuove dello sfruttamento operaio per “supersfruttamento” – parola utilizzata qualche anno prima, nel ’51, in un convegno nazionale –.Da queste prime riflessioni – approfondite successivamente in un intenso lavoro di ricerca condotto anche dai partiti di sinistra –, il tema che sarà al centro del IV Congresso: il “ritorno alla fabbrica”, la necessità di adeguare l’azione sindacale, la contrattazione, alle caratteristiche dei posti di lavoro e adottare le conseguenti misure organizzative. Come dice Fernando Santi, la diversità dei luoghi di lavoro richiede “una politica sindacale articolata al livello di azienda, di gruppo, di settore”.

1960. La contrattazione articolata
(Milano, 2-7 aprile)
Il V Congresso, che vede alla guida della Cgil Agostino Novella – Di Vittorio è scomparso nel ’57 –, porta a compimento la riflessione avviata a metà del decennio. Lo fa in un paese profondamente cambiato, l’Italia del boom, e avendo alle spalle i primi segnali di una ripresa delle lotte sindacali e operaie. È necessario affermare la linea della contrattazione articolata, proseguire sulla strada imboccata dopo l’autocritica del ’55 e il congresso del ’56. Cogliendo in tal modo le necessità dei nuovi soggetti del mondo del lavoro, le giovani leve operaie, le donne, i tecnici e gli impiegati, e dando più forza ai sindacati di categoria e agli organismi sindacali in azienda. Occorrono anche, di fronte ai nuovi squilibri che il miracolo economico ha creato, primo fra tutti quello fra le “due Italie”, una svolta nella politica economica e incisive riforme di struttura.

1965. La programmazione
(Bologna, 31 marzo-5 aprile)
È l’Italia del primo centrosinistra quella in cui si tiene il VI Congresso. Ma di un centrosinistra che, la strada aperta dal luglio ’60 e dalla sconfitta di Tambroni, e poi dalla ripresa delle lotte operaie nel ’61-62, ha già perso la sua vocazione riformatrice. La Cgil, che vede i due maggiori partiti della sinistra, Pci e Psi – da poco c’è anche il Psiup –, uno all’opposizione e l’altro al governo, identifica come terreno di confronto la programmazione economica. Programmazione, osserva Novella, che se da un lato rappresenta un successo del movimento sindacale, dall’altro propone un modello di sviluppo – e uno strumento per la sua realizzazione, la “politica dei redditi” – che la Cgil non condivide. Bisogna al contrario rilanciare la politica delle riforme e spostare l’asse verso una direzione pubblica dell’economia. Mezzogiorno, lotta alla disoccupazione, salari gli altri capitoli dell’iniziativa confederale.

1969. Appuntamento in autunno
(Livorno, 16-21 giugno)
Il VII Congresso cade alla vigilia dell’autunno caldo. Tutto l’anno che lo precede ha visto una mobilitazione intensa, anche inaspettata, del mondo del lavoro; una mobilitazione che, iniziata in concomitanza con il ’68 degli studenti, ha unito a rivendicazioni e forme di lotta inedite, il nascere del movimento dei delegati, eletti su scheda bianca da tutti i lavoratori, iscritti o meno al sindacato: quindi la volontà di darsi nelle fabbriche nuove forme di rappresentanza. Si sono sviluppate nel contempo due decisive vertenze nazionali: la lotta contro le “gabbie salariali” – segnata dai fatti sanguinosi di Avola, in Sicilia, dove la polizia il 2 dicembre ’68 ha sparato sui braccianti in sciopero –, conclusa vittoriosamente in marzo, e quella sulle pensioni, che vedrà in novembre il primo sciopero generale unitario. L’appuntamento è ora la stagione dei rinnovi contrattuali, con gli originali contenuti – in fatto di salario e controllo sulle condizioni di lavoro, in primis tra i metalmeccanici – che sono annunciati.

Particolarmente accesa la discussione sui temi dell’autonomia, dell’incompatibilità tra cariche sindacali, politiche e parlamentari – sostenuta fra gli altri da Bruno Trentin, leader della Fiom – e dell’unità. Come accade spesso a chi è stato un grande innovatore, cosa per lui indubbia all’inizio del decennio, Novella adesso si oppone al cambiamento. Ma il congresso si chiude con il successo di chi spinge per la svolta. Il segretario generale della Cgil, non senza amarezza, l’anno successivo lascerà il suo incarico a Luciano Lama.

1973. La proposta globale
(Bari, 2- 7 luglio)
L’VIII Congresso era previsto come l’ultimo, quello dello scioglimento, in vista dell’unità organica – unità che è viva e presente già nelle categorie industriali con i consigli dei delegati, diventati nel frattempo la struttura di base del sindacato –. Ma il contesto politico è cambiato, e al ciclo di lotte avviato nel ’68-69 ha fatto seguito il contraccolpo moderato avvertito prima nella tornata di elezioni amministrative del ’71, poi nelle politiche anticipate – le prime della storia della repubblica – del 1972, cui seguirà, dopo più di dieci anni, un governo di centrodestra (a guida Andreotti). Il processo unitario ne risente, nella Cisl e nella Uil le resistenze si fanno più tenaci, si vira in tal modo verso una soluzione minimalista (o quasi): il patto federativo. Un limite che fa un po’ a pugni con i traguardi ambiziosi che indica Luciano Lama: una proposta “globale”, un progetto di riforme capace di investire i meccanismi stessi dello sviluppo, per spostare risorse verso l’occupazione, il Mezzogiorno e i servizi sociali.

1977. La svolta possibile
(Rimini, 6-11 giugno)
È uno scenario profondamente mutato quello in cui si svolge il IX Congresso della Cgil. Le stragi neofasciste e l’emergere del terrorismo rosso non hanno impaurito il paese, è ritornata l’onda del cambiamento. Un bel segno è stato l’esito del referendum sul divorzio nel ’74, che ha detto no al tentativo oscurantista della Dc di Fanfani; un segnale ulteriore, decisivo, questa volta sul piano politico, è stato la grande avanzata del Pci di Berlinguer alle elezioni regionali e comunali del ’75 e alle politiche del ’76. La Cgil riflette sulle ragioni che le hanno impedito di ottenere risultati più incisivi sul piano sociale e su un progetto che sia all’altezza della nuovo contesto, segnato dalle fortune che sembra avere la proposta comunista del compromesso storico. Il sindacato non solo è “profondamente interessato” a un diverso quadro politico ma lo sollecita. Senza rinunciare alla propria autonomia.

1981. Riunificare il lavoro
(Roma, 16-21 novembre)
Il X Congresso si deve misurare con l’inflazione e la recessione, le ristrutturazioni industriali, un padronato in cerca di rivincita dopo le conquiste operaie realizzate a partire dal secondo biennio rosso del ’68-69. Una rivincita il cui segno emblematico è, nell’autunno dell’80, “la marcia dei quarantamila” quadri e impiegati Fiat e la sconfitta del sindacato nella vertenza che lo oppone alla casa automobilistica torinese. Sul versante politico, dopo il rapimento e l’uccisione di Moro (16 marzo-9 maggio 1978), l’epoca della solidarietà nazionale si è conclusa, la strategia del compromesso storico è stata archiviata. L’unità del sindacato, con i due partiti della sinistra contrapposti, appare sempre più in forse. A lacerarla è già la questione della scala mobile che in seguito, dopo il depotenziamento deciso nell’84 con l’accordo di san Valentino tra Cisl, Uil e governo Craxi – venuto dopo il primo ritocco effettuato con il lodo Scotti dell’83 – e poi il decreto dell’esecutivo, la legge di ratifica del taglio e la raccolta di firme per il referendum sul no voluto dal Pci – perso nell’85 – sarà il motivo della rottura definitiva della Federazione Cgil, Cisl, Uil, oltre che di un duro scontro all’interno della stessa Cgil.
Nel congresso Lama tenta però di evitare che il dibattito si appunti sulla questione della scala mobile, provando a riflettere sui cambiamenti in corso e proponendo una “riunificazione del mondo del lavoro”. 

1986. Fine di un ciclo
(Roma, 28 febbraio-4 marzo)
L’XI Congresso chiude un intero ciclo storico. L’addio commosso di Lama, il cui posto viene preso da Antonio Pizzinato, riassume simbolicamente il passaggio di fase. Nei cinque anni che hanno preceduto il congresso, con lo scontro e la sconfitta sulla scala mobile, le divisioni all’interno della Cgil, la rottura della Federazione unitaria – e il conflitto tra il Pci di Berlinguer e il Psi di Craxi (Berlinguer muore dopo un malore durante un comizio a Padova nel cruciale 1984) – sono avvenuti grandi cambiamenti. L’innovazione tecnologica sta mettendo in discussione schemi consolidati e le fondamenta stesse del vecchio sindacato di classe. Si avvia una fase difficile segnata, a solo due anni dall’insediamento, dalle dimissioni di Pizzinato – novembre ’88 – e dall’arrivo al vertice di Corso d’Italia di Bruno Trentin.

1991. Trentin e il sindacato dei diritti
(Rimini, 23-27 ottobre)
Trentin non delude le aspettative e il XII Congresso, con la proposta del “sindacato dei diritti e della solidarietà”, dotato di un suo “programma fondamentale” – venuta dopo la Conferenza di programma di Chianciano (aprile 1989) –, sarà per la storia della Cgil un vero e proprio spartiacque. Il crollo del Muro ha segnato la fine di un’epoca proprio mentre economia e organizzazione della produzione, su scala globale, sono entrati in un fase di grande trasformazione. È ora, anche per il sindacato, di mutare la propria fisionomia. L’idea centrale è che la Cgil debba partire non più dalla “classe” ma dalla “persona”: dalla realizzazione della libertà della persona nel lavoro. Un compito che può essere assolto solo attraverso la promozione dei diritti, sociali e civili, che diventano in tal modo l’asse portante dell’azione rivendicativa. La lotta per i diritti, per diritti universali, in un mondo del lavoro che le tecnologie informatiche sta modificando radicalmente, dovrà essere la strada per ricostruire nuovi legami di solidarietà tra i lavoratori. È il ritorno ai princìpi dell’89, della rivoluzione francese: declinati al presente e nell’universo produttivo. Il sindacato di programma, il sindacato dei diritti, deve darsi dunque un suo autonomo progetto. Se così è non hanno più senso, all’interno della Cgil, le vecchie correnti di partito: il regime delle cosiddette “componenti” che ha regolato la vita interna della confederazione. Trentin, coerentemente, nell’ottobre del ’90 ha già deciso di sciogliere la componente comunista. La stessa risoluzione viene presa dalla Terza componente – i sindacalisti che si ispirano alla lezione di Vittorio Foa – e poi, nel ’91, da quella socialista. Le proposte del leader della Cgil però non sono condivise da tutti. La minoranza di “Essere Sindacato” guidata dal segretario confederale Fausto Bertinotti le contesta ritenendo che mettano in ombra il tema del conflitto. È la prima volta che il Congresso vede due documenti contrapposti. Nascono da qui le alterne vicende delle minoranze che si coaguleranno anche nei congressi che verranno dopo – con prese di distanza ma anche esplicite convergenze con la maggioranza confederale –, dall’esperienza appunto di “Essere sindacato” e poi di “Lavoro Società” sino a “La Cgil che vogliamo” e “Il sindacato è un’altra cosa”.

In assoluta coerenza con le decisioni di Rimini saranno le scelte successive di Trentin. Nell’estate del ’92, quando in piena Tangentopoli e con il paese sull’orlo del baratro, il governo Amato deciderà, alla soglia delle vacanze, alcuni provvedimenti urgenti tra cui il taglio definitivo della scala mobile, il leader della Cgil firmerà l’accordo con l’esecutivo ma, non avendo ricevuto nessun mandato in tal senso, si dimetterà dalla segreteria generale. In settembre la confederazione gli confermerà la fiducia, premessa del lavoro che porterà alla firma del Protocollo del luglio del 1993 con il governo Ciampi: l’accordo che, mediante le politiche di concertazione, renderà il sindacato partecipe della politica dei redditi, consentendo all’Italia di risanare i conti e tagliare il traguardo europeo – e che verrà completato nel dicembre successivo con l’accordo interconfederale sulle Rsu, le rappresentanze sindacali in azienda.

1996. Autonomia e crisi istituzionale
(Rimini, 2-5 luglio)
Il XIII Congresso – segretario generale Sergio Cofferati, subentrato a Trentin nel giugno ’94 – è il primo del ventennio berlusconiano. Si tiene in un momento di speranza, dopo l’affermazione dell’Ulivo e di Romano Prodi alle elezioni politiche di aprile. Alle spalle sono il Protocollo del luglio ’93, dicevamo sopra, l’avvio delle politiche di concertazione e il senso di responsabilità mostrato dal sindacato per consentire il risanamento e cogliere l’obiettivo dell’Europa. Ma è Berlusconi, si accennava, il personaggio nuovo della politica italiana. Dopo la vittoria alle elezioni del ’94 il suo governo ha messo in atto politiche subito aggressive nei confronti del sistema di welfare. La reazione è stata ferma. Il 19 novembre oltre un milione di persone hanno manifestato a Roma contro la riforma pensionistica del centrodestra. Il governo, nel ’95, è caduto anche per questo, la Cgil si è ritrovata ad assumere un ruolo fortemente politico, che continuerà a esercitare negli anni successivi nel vuoto di iniziativa della sinistra.

2002. L’articolo 18
(Rimini, 6-9 febbraio)
Il dopo ’89 non ha pacificato il mondo. Prima le guerre balcaniche degli anni ’90, poi l’11 settembre e l’attentato alle Torri gemelle (2001) spengono le speranze nate con la caduta del Muro. In Italia, dopo la discussa caduta di Prodi e i governi D’Alema e Amato, Berlusconi è di nuovo a Palazzo Chigi, e l’attacco ai diritti riaccende il conflitto sociale. Adesso in discussione è l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il XIV Congresso riafferma la volontà di non cedere, e il 23 marzo quasi tre milioni di persone affluiscono a Roma per la manifestazione – la più grande del dopoguerra – organizzata dalla Cgil al Circo Massimo.

2006. Riprogettare l’Italia
(Rimini, 1-4 marzo)
Nell’anno del centenario della Cgil al centro del XV Congresso – nuovo segretario generale Guglielmo Epifani, al vertice della confederazione dal settembre del 2002 – è l’analisi del declino italiano, il dibattito su come ricostruire, riprogettare il paese. Una riflessione lungimirante, che nella politica, tuttavia, non troverà l’attenzione che meriterebbe.

2010. Dentro la crisi
(Rimini, 5-8 maggio)
Il XVI Congresso si svolge nel pieno della crisi che l’economia mondiale vive a partire dal 2008. Il problema posto nel congresso del 2006, come ricostruire il paese dopo i disastri provocati dalla destra, si è fatto ancora più drammatico. Per la portata degli sconvolgimenti economici in corso ma anche per l’irresponsabilità di un governo, ancora Berlusconi alla guida, Tremonti all’Economia, che la crisi riesce per lungo tempo a negare (affermando poi che comunque se ne è usciti). Alla Cgil, che il 3 novembre vedrà il cambio della guardia tra Epifani e Susanna Camusso, il difficile compito di difendere le condizioni di vita di lavoratori e pensionati e indicare strade inedite di sviluppo.

2014. Il lavoro decide il futuro
(Rimini, 6-8 maggio)
Il paese è cambiato moltissimo. Quattro anni di recessione, di politiche di austerità, di tagli, di disoccupazione crescente, di progressiva esclusione dei giovani dal mercato del lavoro e di nuova emigrazione l’hanno prostrato. Nel suo congresso, che rinnova il mandato di Susanna Camusso, la Cgil si attrezza per affrontare la fase economica e sociale probabilmente più difficile degli ultimi decenni. Dalle lotte in difesa dell’occupazione all’accordo sulla rappresentanza, dal dimissionamento di Berlusconi al governo Monti, dallo scossone delle elezioni politiche del 2013 all’esecutivo Letta, sino all’ascesa di Matteo Renzi: è la storia di quei giorni, il contesto in cui si tiene a Rimini, dal 6 all’8 maggio, il XVII congresso confederale. La confederazione ne esce rilanciando la priorità della lotta al lavoro precario e per una riunificazione del lavoro sotto il segno dei diritti universali. Si apre una lunga e inedita stagione di scontro coi governi a guida Pd, che proprio sul terreno del lavoro, dopo la promulgazione del Jobs Act renziano, troverà il suo attrito più forte. Contro la nuova legge sul mercato del lavoro la Cgil si mobilita fino alla manifestazione nazionale dell’ottobre 2014, e poi allo sciopero generale insieme alla Uil del 12 dicembre dello stesso anno. Senza perdere di vista le mobilitazioni unitarie con Cisl e Uil per cambiare la legge Fornero sulle pensioni. La battaglia sul lavoro culminerà nella campagna referendaria della Cgil su voucher, Articolo 18 e appalti (2017); e, parallelamente, nell’elaborazione della Carta dei diritti fondamentali del lavoro (2016) che segue l’esperienza del Nuovo piano del lavoro (2013) e che, dopo una fase di raccolta di firme in tutto il paese, evolve in una iniziativa di legge popolare presentata al Parlamento e tutt’ora in attesa di esame da parte delle Camere.

L’ennesimo cataclisma elettorale del marzo 2018, la crisi dei partiti tradizionali e l’ascesa del sovranismo in salsa giallo-verde è cronaca recente. Un clima, quello che accompagna quest’ultima stagione congressuale del sindacato, che, tra colpi di scena e novità politiche e istituzionali, non nasconde l’inquietante continuità con la stagione ormai più che decennale alle spalle: l’impoverimento dell’Italia, del lavoro, del welfare, e la necessità ormai emergenziale di porvi rimedio. Temi all’ordine del giorno del XVIII congresso che si tiene a Bari dal 22 al 25 gennaio.

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