di Maria Pellegrini.

Dal 27 settembre al 29 marzo 2020 è presente a Roma nei suggestivi spazi del Colosseo, nel tempio di Romolo al Foro Romano e nella Rampa imperiale al Palatino, la prima grande mostra dedicata al fascino di Cartagine con ampiezza cronologica, ricchezza documentaria e anche con inedite ricostruzioni e installazioni multimediali. La mostra - curata da Alfonsina Russo direttrice del Parco del Colosseo e da Francesca Guarneri, Paolo Xella e José Ángel Zamora López, con Martina Almonte e Federica Rinaldi - si articola in otto aree tematiche.

Il percorso narrativo dell’esposizione - che si propone di illustrare la storia e la civiltà di una delle città più potenti e famose del mondo antico - segue le vicende di Cartagine, città fenicia, dalla sua fondazione all’espansione nel Mediterraneo e allo scontro con l’altra grande potenza del mondo antico, Roma. Le tre sanguinose guerre (dal 264 al 146 a. C.) videro alterne vittorie e sconfitte e terminarono con la distruzione della città punica che era ormai divenuta l’unica temibile rivale per il controllo del mare Mediterraneo. Attraverso un percorso di opere d’arte e reperti archeologici (databili dalle origini fenicie della città nel IX secolo a.C. fino alla sua distruzione ad opera dei romani, poi alla creazione della nuova colonia “Concordia Iulia Carthago” per volere degli stessi romani, e alla Cartagine cristiana del VI d.C.) si ripercorre la storia della sua cultura e dei suoi abitanti, l’espansione nel Mediterraneo, la ricchezza degli scambi commerciali e culturali tra le guerre puniche e l’impero di Augusto, la romanizzazione dell’iconografia dovuta all’influsso romano.

Tra i nostri ricordi scolastici non possiamo dimenticare le parole pronunciate alla fine di ogni suo discorso dal vecchio Catone da quando, dopo un suo viaggio in Africa, si era conto delle fiorenti condizioni di Cartagine: «Carthago delenda est» (si deve distruggere Cartagine). Posizione appoggiata da quei rappresentanti della politica romana per i quali l’aggressione spietata era diventata il simbolo della politica estera.

Affiorano alla nostra memoria anche la straordinaria impresa di Annibale che attraversa le Alpi con soldati, cavalieri ed elefanti per sorprendere l’esercito romano e la strage di Canne, la più spaventosa disfatta della storia di Roma che per la prima volta cominciò a dubitare della sua invincibilità. Ma soprattutto vivo è il ricordo del racconto dello storico Appiano sulla distruzione di Cartagine che Scipione fece rade al suolo senza pietà, e sull’immagine di quella che era stata la più temibile avversaria di Roma avvolta da fiamme e ridotta a fumanti rovine dove gli abitanti trovarono la morte.

Sentiamo di dover citare la leggenda della fondazione di Cartagine narrata da Virgilio nell’ “Eneide”: Didone, fuggita dalla città fenicia di Tiro a causa della crudeltà del fratello, il re Pigmalione, rifugiatasi in Libia, vi fonda Cartagine, Enea sbarcato sulle coste libiche la incontra mentre sta ampliando la città da lei fondata. Le chiede ospitalità e sarà accolto amichevolmente.

Se la storia di questa città, scritta dai vincitori e vista con gli occhi di Roma, è incentrata sulle vicende delle guerre puniche, sulla figura del vinto Annibale e del vincitore Scipione, la mostra vuole raccontare l’incontro/scontro tra due civiltà e per questo l’archeologia ha messo in luce relazioni più articolate fra le due grandi città del Mediterraneo che ebbero anche frequenti relazioni commerciali e interculturali. La città di Cartagine, situata al nord-est della città di Tunisi nell’interno di un grande golfo, posta sulle principali vie marittime che collegavano l’oriente Mediterraneo con l’Occidente e a diretto contatto con la Sicilia, presto divenne il centro di scambi commerciali. I prodotti era forniti anche da altre città fenice: Biblo, Sidone, Tiro. I Fenici erano navigatori, commercianti artigiani. Famosa la produzione della porpora, ricavata dalla secrezione di molluschi diffusi nel Mediterraneo, necessaria a tingere di rosso i tessuti. Merito dei Fenici, secondo fonti letterarie antiche, fu l’invenzione dell’alfabeto, prima puramente consonantico, poi con la rappresentazione di tutti i suoni di un linguaggio, comprese le vocali. Questo alfabeto divenne uno dei maggiori sistemi di scrittura, diffuso dai commercianti fenici attraverso Europa e Medio Oriente.

All’ingresso del Colosseo i curatori della Mostra hanno voluto far campeggiare la ricostruzione del Moloch del film “Cabiria” di Giovanni Pastrone del 1914, dove il mostro è presentato come un dio fenicio cui immolare sacrifici umani, ma non si tratta di una divinità del panteon cartaginese ma raffigurazione di un personaggio frutto di immaginazione.

Tra le varie sezioni della mostra è possibile ammirare i raffinati prodotti dell’artigianato e dell’arte punica: gioielli, monili, vetri, terracotte, anfore, mosaici, sculture di statue di piccole e grandi dimensioni, come il ritratto di Scipione l’Africano e la scultura della sacerdotessa distesa sul sarcofago in atteggiamento di riposo con le ricche vesti drappeggiate che accompagnano le linee del corpo e il viso incorniciato tra preziosi monili e ai piedi alti sandali.

Sono presenti 409 opere provenienti da istituzioni italiane e straniere, tra cui il museo del Bardo di Tunisi, il museo di Cartagine e il museo nazionale di Beirut. Dalle Egadi dove si svolse nel 141 a. C. la battaglia navale che vide i romani vincitori affondare 120 navi cartaginesi, provengono reperti mai esposti prima, rostri delle navi, ceppi di ancore, elmi di bronzo, anfore, statuette votive, piatti, e urne cinerarie, risultato delle campagne di ricerca condotte dalla Soprintendenza del Mare siciliana. La ricerca delle tracce e la scoperta di testimonianze della presenza punica nelle acque che circondano la Sicilia furono oggetto del costante lavoro di minuziosa indagine condotto da Sebastiano Tusa, scomparso in un incidente aereo e al quale la mostra è doverosamente dedicata.

Con la sconfitta alle Egadi Cartagine è vinta ma medita propositi di rivincita. La prossima tappa avrebbe dovuto essere una lotta per la conquista del mondo ma non fu così. Seguiranno altri anni di guerre con alterni risultati.

Nello spazio del Tempio di Romolo nel Foro Romano curato da Martina Alimonte si mostrano aspetti della vita quotidiana, del culto, del cibo e della complessità degli scambi culturali con Roma. La Rampa imperiale di Domiziano sul Palatino ospita i temi dell’edilizia pubblica e dell’edilizia privata, sezione curata da Federica Rinaldi, che chiude la mostra con il mosaico della “Dama di Cartagine”, con il suo scettro, simbolo della massima espansione della città nel V-VI d.C. con l’aureola di santa e il gesto delle tre dita benedicenti «tanto ieratica nella sua forma quanto enigmatica nella sua sostanza, né uomo né donna» ha spiegato Rinaldi «che si pensa possa rappresentare la città».

La mostra tuttavia si propone di raccontare Cartagine in modo diverso, andando oltre le vicende delle guerre puniche e di Annibale «mettendo in luce i rapporti tra Roma e Cartagine e soprattutto il ruolo decisivo di queste due potenze nelle dinamiche politiche e del bacino del Mediterraneo», dice il direttore del Parco Archeologico del Colosseo, Alfonsina Russo che aggiunge: «Spero che questa mostra offra anche l’opportunità ai giovani di meditare sul valore del dialogo tra popoli diversi alla luce dell’esempio del passato. Proprio in un’epoca in cui c’è la necessità di integrazione e di accoglienza abbiamo voluto ricostruire il dialogo che Roma e Cartagine hanno portato avanti per secoli, un aspetto di straordinaria attualità che vuole essere il principale messaggio di questa mostra».

In occasione della Mostra sono stati pubblicati un volume di studi che fornisce un grande affresco storico generale, supportato da basi scientifiche, e una guida dell’esposizione, bilingue (italiano e inglese) che accompagna il visitatore attraverso le varie sezioni della rassegna del percorso espositivo.

A chiusura di questa presentazione sentiamo il dovere di ricordare che i romani impegnati in lunghe guerre contro i Cartaginesi avevano i loro buoni motivi per tramandarne un’immagine distorta; lo stesso vale per i greci, i quali contrastarono a lungo il predominio commerciale che l’ex colonia fenicia stava conquistando nel Mediterraneo. Storici greci e romani fecero dunque di tutto per diffamare Cartagine, che, da piccola colonia fenicia, si trasformò in poco tempo in una grande potenza commerciale, acquistando progressivamente un ruolo egemone rispetto alle altre colonie fenicie occidentali.

Secondo lo scrittore greco Plutarco (45-125 d. C.), i cartaginesi sarebbero stati «un popolo duro e tenebroso, vile nel pericolo e feroce contro gli avversari. Testardi nelle loro idee e troppo rigidi verso se stessi, i cartaginesi non erano neanche capaci di godersi le gioie della vita». Il ritratto così denigratorio che Plutarco ci offre di questo popolo non è per nulla credibile: egli, in quanto amico di Roma e biografo degli imperatori romani, aveva tutto l’interesse a delinearne un’immagine negativa, che rientrava perfettamente nel piano della tradizionale propaganda romana anti cartaginese.

 

Nota: nell’immagine sono raffigurati pendenti con teste femminili e maschili, IV-III sec. a.C., (Cartagine, Museo Nazionale)

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