“Canta adesso, maestro!”

Urlavano così gli squadristi la sera del 27 dicembre 1936 mentre facevano ingoiare olio di ricino, mescolato con lubrificante per motori usato, a Lojze Bratuz, 34 anni, maestro di canto; a causa di ciò, dopo sei settimane di inimmaginabile agonia, Lojze (nella foto) spirava.

Cattolico di lingua slovena e maestro elementare, Lojze aveva il dono di diffondere la musica corale, e lo faceva nelle scuole in provincia di Gorizia, di cui era originario ma nella quale il canto doveva eseguirsi solo in italiano, come imposto dal regime ultra patriota di Mussolini. Lojze cercava di rispettare l’obbligo però da secoli la zona era in larga maggioranza di lingua slovena. L’idioma locale era tollerato dalle autorità soltanto durante le funzioni in chiesa. Lojze grazie al suo talento nel 1930 era divenuto il responsabile musicale per la diocesi goriziana.

Arrestato nel 1929 per “attività anti italiane” e spedito al confino sui monti abruzzesi, Lojze grazie al suo vescovo riusciva a tornare a Gorizia dove subiva un primo pestaggio per mano della milizia in camicia nera, che però non veniva inquisita mentre lui, vittima, finiva piantonato in ospedale. Arrestato più volte con pretesti di tipo musicale da un regime paranoico e nazionalista, recluso mesi senza poter scrivere né leggere, Lojze Bratuz era pure obbligato a cambiare nome in Luigi Bertossi.

Anche da morto Lojze restava nel mirino del fascismo; la sua tomba, senza croce né nome perché la famiglia, tra cui moglie e due figli piccoli, rifiutava di usare il nome imposto dall’Italia, veniva sorvegliata dalla polizia. Per la festività dei Defunti del 1937 nella prefettura goriziana si registrava una crisi collettiva di isteria causa la comparsa di un mazzo anonimo di fiori rossi, avvolto da un nastro rosso, tra gli altri omaggi lasciati sul tumulo di Lojze.

Per il primo anniversario dell’omicidio del maestro sloveno il regime diramava una circolare a tutti i posti di polizia nel goriziano affinché non venisse nominato durante le messe alla memoria. Ma il suo ricordo superava il fascismo, i mesi tumultuosi di fine conflitto lungo il nostro confine orientale, ed oggi Lojze Bratuz viene annoverato tra i martiri sloveni, e tra le figure di rilievo del canto corale, disciplina che rappresenta uno dei patrimoni culturali più amati da quel popolo.

(Fonti: M. Minelli “Ventennio di sangue” CR edizioni 2022; V. Tuta Ban “Lojze Bratuz non era un antifascista?” in isonzo.soca.it del 7 aprile 2021; foto dal “Messaggero veneto”; testo di Roberto Neri).

 

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