“Animula vagula blandula”.
di Anselmo Pagani.
Sentendosi ormai prossimo alla fine, così l’Imperatore Adriano, con pochi versi scritti di suo pugno, si rivolse alla sua “piccola anima vagabonda e soave” lamentando che lei, da sempre abituata a svaghi giocosi, di lì a poco si sarebbe invece ritrovata in luoghi “pallidula, rigida, nudula”, “senza colori, freddi e spogli”.
Si tratta del commiato dalla vita di un grande della storia, che però prima di tutto fu un uomo, con i pregi e le debolezze di ognuno di noi.
Non per nulla Marguerite Yourcenar lo scelse come protagonista del suo libro più famoso, “le Memorie di Adriano”.
In sintonia con Flaubert infatti, secondo il quale “quando gli dei non c’erano più e Cristo non ancora, fra Cicerone e Marco Aurelio è esistito l’Uomo, solo”, la famosa scrittrice franco-belga quest’Uomo l’identificò con Adriano, prendendolo a simbolo di tutta l’”Humanitas”.
Nato a Roma il 24 gennaio del 76, Publio Elio Adriano rimase presto orfano di padre, venendo cresciuto dalla madre Domizia e da Traiano, il tutore destinato un giorno a rivestire la porpora imperiale.
Intelligente, brillante, dotato di una memoria prodigiosa, Adriano era anche un bel giovane alto, distinto, dagli occhi luminosi.
Portava folti capelli accuratamente arricciati ed una barba alla moda che lo distingueva dagli uomini dell’élite romana, tutti sbarbati.
Lui infatti, anche culturalmente, si sentiva molto vicino al mondo greco e faceva di tutto per apparire tale.
Ebbene quel “graeculus” (“grecuzzo”), come ironicamente lo chiamavano i suoi detrattori, entrò presto nelle grazie di Plotina, potente moglie di Traiano che, condividendone la passione per il mondo ellenico, né favori l’ascesa sociale sino a farlo adottare dal marito morente (o almeno a far pensare a tutti che questa adozione fosse realmente avvenuta) come figlio ed erede al trono imperiale, sul quale poté sedersi l’11 agosto del 117.
Quarantenne nel pieno della sua vigoria fisica, convinto di essere il novello Augusto, Adriano fece subito capire a tutti che lui una visione e un progetto di governo li aveva, non necessariamente identici a quelli del suo predecessore.
Se per Traiano infatti Roma era una superpotenza e come tale doveva agire, per Adriano invece l’Impero era più un mercato comune, dove anche le periferie avevano voce in capitolo.
La sua fu dunque un’opera non di espansione, ma di mantenimento dell’immenso “limes” romano, che si estendeva dall’Inghilterra settentrionale, dove lo fece fortificare coi 117 chilometri del Vallo che ancora porta il suo nome, sino alla Palestina e all’Egitto.
Questo Impero Adriano lo girò in lungo e in largo, restando lontano da Roma per circa la metà dei 21 anni di durata del suo regno.
Fondò qua e là otto città che portarono il suo nome, la più famosa delle quali fu l’Adrianopoli (oggi Edirne) situata nell’odierna Turchia europea, diventata famosa perché nel 378 nei suoi pressi l’Impero Romano rimediò contro i Goti la più catastrofica sconfitta della sua storia.
Per il tempo invece che si trovava in Italia, disdegnando il caos, il chiasso e i fastidi di Roma, volle farsi costruire a Tivoli una magnifica enclave reale per sentirsi davvero “a casa sua”.
La splendida Villa Adriana si estendeva su 120 ettari, conteneva una trentina di edifici fra cui terme, biblioteche, un teatro ed un’arena, oltre a luoghi riscaldati per l’inverno e freschi per l’estate.
Tutto doveva concorrere ad impressionare ospiti e visitatori, così come a Roma faceva il Pantheon, tempio di cui Adriano ordinò la ricostruzione dopo gli incendi che l’avevano semidistrutto. Coi suoi 43 metri di diametro rimase per 1300 anni la cupola più grande del mondo, destinata ad essere superata solo dall’ingegno di Filippo Brunelleschi, che nel 1436 le si ispirò per la copertura del Duomo di Firenze.
Fin qui l’imperatore, perché l’uomo non fu immune da passioni quali crudeltà, vendetta, sospetto e delirio amoroso perché, già avanti con gli anni, perse la testa per Antinoo, un adolescente greco incontrato nel 123 che di Adriano sino al 130, anno del suo misterioso annegamento nel Nilo, sarebbe stato l'amante e compagno di viaggi, con buona pace dell’ineffabile Sabina, sua moglie.
Quella perdita segnò per lui l’inizio della fine.
Intristito, malconcio, demotivato e tanto malato da implorare servi ed amici di porre fine ai suoi giorni, Adriano spirò il 10 luglio del 138 con la consolazione però di sapere che le sue ceneri, dopo una vita tanto speciale, avrebbero riposato in un luogo altrettanto speciale che lui stesso aveva voluto erigersi come tomba.
Il Mausoleo Adriano, altresì detto Castel Sant’Angelo, si staglia ancora maestoso nel cielo di Roma a ricordarci la figura di questo grande Uomo-Imperatore.
Immagine: il “Busto clamidato di Adriano” (particolare), Il secolo, Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
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