“Un paese nel paese”, il PCI di Perugia, il PCI della Perugina.
“Un paese nel paese”, così definì Pier Paolo Pasolini il PCI.
E così è il racconto del PCI di Perugia, del PCI della Perugina: Il Profumo delle utopie.
Fare la cioccolata era una missione che andava oltre la mera produzione.
Voleva dire identificarsi in un progetto che rappresentava Perugia, la fabbrica, i lavoratori; il sogno di una società dove il lavoro era prima di tutto dignità e da lì si costruiva il futuro sognando un mondo di uomini liberi, dove l’uomo e i suoi bisogni erano al centro di ogni forma di progresso, dove non c’era distinzione fra fabbrica e città ed entrambe costituivano la società, dove non esisteva differenza di genere, dove il confronto generazionale era fondato sul paradigma dell’uguaglianza.
E questo era “il profumo dell’utopia”, che attraverso la cioccolata acquistava concretezza.
Famose ed epiche furono in quegli anni le lotte operaie per questi ideali, ed attraverso queste lotte, prima di tutto di emancipazione e non solo di rivendicazioni materiali. Direi che attraverso le rivendicazioni salariali e dei diritti nel lavoro si riusciva ad alzare il livello della lotta per attuare quei principi costituzionale che vedono nei lavoratori la classe sociale che determina le scelte di uno stato e quindi una comunità che esercita un’egemonia culturale nella fabbrica e nella società.
Questo era il PCI fatto di tante sezioni, di milioni di uomini e donne che rimanevano gli stessi, con le loro idealità, nella società, nel sindacato, nel lavoro; gli stessi cittadini che sono riusciti a conquistare ampi spazi di welfare state, di democrazia nelle fabbriche; che hanno sconfitto l’eversione; che hanno garantito un futuro alla generazione più giovane.
Questa cultura si tramandava di padre in figlio e famiglie intere si riconoscevano in questi valori rivoluzionari che cambiavano l’ordine borghese, che veniva espropriato dalle radici della sua cultura, la quale si opponeva con tutto il suo brutale armamento a questo progresso sociale di giustizia che allora sembrava irreversibile.
Perugia e l’Umbria erano il cuore dell’Italia ed il bacio di cioccolato viaggiava oltre i confini nazionale.
Era una storia che veniva da lontano, affondava le sue radici nella Resistenza, nella lotta di tanti giovani che dettero la vita per liberare l’Italia dal crimine Fascista; dalla conquista di una Costituzione che garantiva diritti e cittadinanza; da un credo politico che si batteva per un’alternativa di società.
Togliatti fu l’artefice di questo miracolo politico, il pensiero di Gramsci le sue fondamenta.
Oggi la storiografia tende a descrivere Togliatti come uno stalinista in “doppio petto”, disposto a sacrificare Gramsci nelle carceri fasciste per liberarsi di un personaggio “scomodo”.
Che fra i due esistesse un forte dissidio politico già nel 1926 è storia documentata.
Ne è una prova la famosa lettera, indirizzata al comitato centrale del PCUS, con la quale Gramsci invitava i massimi dirigenti di quel partito all’unità, ad accantonare ogni forma di aspra lotta politica per ritrovare insieme una linea comune che potesse traghettare la giovane Unione sovietica oltre l’eredità leninista.
La lettera scritta dall’Italia e recapitata da Togliatti fu oggetto di polemica fra i due grandi intellettuali. Togliatti ne contestava l’opportunità, giudicandola dannosa per il nascente movimento comunista internazionale ed il giovane PCd’I; la consegnò a Bucharin, allora alleato di Stalin contro Trotsky, e autorevole esponente della maggioranza.
Alcuni storici giudicano quella lettera come una condanna a morte per Antonio Gramsci, ma tentativi di liberarlo furono effettuati, su solleciti di Togliatti, da parte del Governo dell’URSS.
Un altro elemento che scatenò una forte polemica fra i due dirigenti fu la cosiddetta politica del Socialfascismo, con la quale si sosteneva una critica aspra e severa nei confronti della socialdemocrazia e di divieto assoluto di ogni alleanza politiche con le forze socialiste.
Gramsci giustamente dal carcere fece conoscere la sua forte contrarietà a questa assurda politica, in un periodo in cui il fascismo era vittorioso e governava con mano ferma, sicura e criminale, sostenendo che si sarebbe indebolito ulteriormente il già debole movimento operaio.
Si dovrebbe ancora indagare da un punto di vista storico il periodo stalinista, cosa esso ha rappresentato, in che cosa consisteva, come ha potuto affermarsi.
Che qualsiasi politica fosse funzionale alla lotta al potere di Stalin ormai è cosa certa, ma le cause che scatenarono quella lotta fratricida, a mio avviso sono ancora da approfondire e le argomentazioni legate al terrore fine a sé stesso, oggi comunemente diffuse e fatte proprie dall’opinione pubblica, siano un poco strumentali agli obiettivi politici odierni, che tendono a cancellare ogni idea alternativa al liberismo.
Non è certo in discussione la condanna definitiva emessa dalla storia a quel periodo che viene identificato con il “culto della personalità”, ma quello che dovremmo approfondire è il ruolo dell’opposizione, a cominciare da Trotsky, quali spazi politici avevano dirigenti, come Togliatti, esuli e con partiti clandestini, senza punti di riferimento, con contatti risicati e difficilissimi.
È in questi anni difficilissimi, in Italia il fascismo, in Germania il nazismo ed in Russia lo stalinismo, che Togliatti si fa notare come un colto ed efficiente dirigente politico, un raffinato intellettuale.
È opera sua l’elaborazione del concetto di democrazia progressiva, la politica dei fronti popolari. Politiche che trasporterà in Italia già dal suo arrivo a Bari nel 1944 e che faciliteranno l’insediamento del Governo Badoglio e saranno alla base della Costituzione repubblicana.
Forse è per questo che oggi vogliono cambiarla. Che in essa ci sia in calce la firma di un comunista, Umberto Terracini, crea molti malumori.
Ma è soprattutto grazie a Togliatti che oggi noi tutti i possiamo leggere Gramsci, affascinarsi al suo pensiero, commuoversi leggendo le “lettere dal carcere”.
Anche questa è storia, com’è storia il memoriale che Togliatti ci lasciò da Yalta nel 1964.
In questo testamento politico si parla di pace, di disarmo, di ambiente; tematiche in quegli anni che rappresentavano una novità politica, culture innovative che solo un intellettuale poteva coglierne le potenzialità.
Come poteva restare indifferente a tutto ciò un giovane nel pieno della sua giovinezza carico di idealità? E come è stato possibile dare fine a tutto questo?
Sicuramente un atto insensato, per usare un eufemismo. Ma volendo essere più realisti si è trattato di un crimine politico.
La situazione odierna è a dir poco drammatica: precarietà nel lavoro, smantellamento progressivo dello stato sociale, paura del futuro, disastri ambientali.
A tutto questo fa da corollario il riemergere di una cultura individualista ed egoista che sta alla base di rigurgiti fascisti e qualunquisti (gli “arditi del Popolo”, sul cui blocco sociale nacque il PNF, erano soliti gridare: “me ne frego!”), politica corrotta, assenza di idealità.
Oggi tutti i lavoratori, sia pubblici che privati, sono orfani politicamente.
Il sindacato fa fatica a rappresentarli. Viviamo una sorta di “dittatura del capitalismo”, esercitata dalle classi padronali in modo spregiudicato, usando tutti i potenti mezzi di comunicazione a loro disposizione.
Vengono così plasmate opinioni, culture basate su principi individualistici, che diventano di massa; cancellate con un colpo di spugna ogni idealità di universalismo e di fratellanza; banditi i concetti di uguaglianza; la libertà ridotta alla possibilità d’acquisto di beni superflui di consumo. Vengono ridotti i salari e si aumentano i debiti, sostenendo così la domanda; irrompe prepotentemente la finanza distruggendo ogni rapporto umano; si diffonde il virtuale.
Sono lontani quegli anni, e non è nostalgia dovuta al passare degli anni, ma da una preoccupazione civile, da una sensibilità politica della quale oggi ne sentiamo la mancanza e allo stesso tempo la necessità.
E ora di alzare la testa, di dire basta a politiche che creano sempre più diseguaglianze ed ingiustizie, a ricreare quelle condizioni che possano permettere l’attuazione di elementi di solidarietà.
Non dobbiamo fare grandi cose, come disse San Francesco “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso, vi sorprenderete a fare l’impossibile”.
Cominciamo!
Attilio Gambacorta
Associazione Culturale Umbrialeft
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