di Romina Velchi

E’ il 10 novembre 2011. Un’ondata di vendite di Btp fa schizzare lo spread con i titoli tedeschi a oltre 550 punti. Le dimissioni di Berlusconi non sono servite a far scendere la febbre dei nostri titoli di stato e a fermare la speculazione dei mercati; le Borse vanno di male in peggio; titoloni sui giornali paventano il rischio default per l’Italia. E’ il panico. Ma per qualcuno sembra una manna. Il giorno prima, Mario Monti è stato nominato - a tempo di record - senatore a vita; quattro giorni dopo ha accettato l’incarico di formare il nuovo governo; il 16 è ufficialmente presidente del consiglio. La crisi, lo spread, il default hanno spazzato via ogni residua resistenza da parte dei tre maggiori partiti, i quali accettano di far parte del nuovo esecutivo pur di non passare per quelli che portano l’Italia al disastro.

Sollievo generale: il nuovo governo già piace agli italiani, il gradimento è alle stelle; ora che c’è Monti - uomo di Goldman Sachs, ex della Bocconi, ex commissario europeo, insomma elìte dell’elìte - l’Italia è salva. Goldman Sachs? Ops. Ma non è stata proprio la potente e influente banca d’affari a innescare la vendita di Btp che ha fatto schizzare lo spread, crollare le Borse e imprimere un’accelerata al governo Monti? Se non fosse che a pensar male si fa peccato (ma spesso ci si azzecca), si direbbe che si sia trattato di un’operazione concertata. Se non altro perché, in un rapporto sull’Italia reso noto lo stesso giorno, Goldman Sachs teorizzava che la nomina di un governo «tecnico» di emergenza nazionale avrebbe potuto riportare, in un tempo ragionevolmente breve, lo spread a quota 350 punti... Da notare, inoltre, che con il giochetto di vendere e poi ricomprare a prezzi di saldo i nostri Btp la banca ha guadagnato un bel po’ di soldini.
I soliti complottisti, direte voi: non siamo mica in un romanzo di Ian Fleming, con la Spectre e altri cattivi planetari in azione. Fantascienza, dunque? Può darsi. Però qualche volta la realtà si incarica di superare la fantasia e allora guardiamo meglio.

Mario Monti può vantare un record: è forse l’unico capo di governo al mondo a far parte di tre superlobby internazionali: la Trilateral Commission, il Gruppo Bilderberg e appunto la Goldman Sachs. Tre superclub esclusivi dell’alta finanza, più o meno occulti, chiusi, ristretti a pochi “eletti”, con un unico scopo: difendere e diffondere il sistema capitalistico a livello mondiale. Anzi, a ben vedere qualcosa di più di questo, come vedremo. Ne fanno parte i più influenti e potenti uomini del mondo: banchieri, politici, industriali (ovvio), ma anche docenti universitari, editori, giornalisti. In breve quelle persone che hanno la possibilità concreta di controllare i tassi di interesse, le forniture di moneta, i tassi di sconto, il prezzo dell’oro, quali paesi debbano o no ricevere prestiti. Tutte persone che, in virtù degli incarichi che ricoprono, possono esercitare senza troppe difficoltà la propria influenza su parlamenti, istituzioni e opinione pubblica, oltreché davvero indirizzare i famosi quanto misteriosi mercati.

Sorta di governi ombra, quando si riuniscono – una, due volte l’anno, in località spesso esclusive e hotel di lusso – Trilateral Commission e Gruppo Bilderberg passano spesso inosservati: non ci sono le proteste che accompagnano per esempio gli incontri di Davos (il summit dei summit), non ci sono cortei, né zone rosse, anche se, come nel caso del Bilderberg a vigilare gli incontri rigorosamente a porte chiuse (mai giornalista è stato ammesso ad assistervi) ci sono schiere di agenti privati armati fino ai denti. Eppure, lì si discute e si pianifica il futuro del mondo. Per niente roseo, se ci basiamo su quello che affermano i membri stessi di tali esclusivi club.
«Alcuni credono che facciamo parte di una cabala segreta che manovra contro gli interessi degli Stati Uniti, definendo me e la mia famiglia come “internazionalisti” e di cospirare con altri nel mondo per costruire una struttura politica ed economica integrate – un nuovo mondo, se volete. Se questa è l’accusa, mi dichiaro colpevole e sono orgoglioso di esserlo »: così scrive nelle sue memorie David Rockfeller, fondatore nel 1973 della Trilateral Commission (il nome deriva dalle tre aree in cui il capitalismo era ed è maggiormente diffuso: Nord America, Europa e Giappone, quast’ultima oggi diventata Asia-Pacifico). Se non avete capito, ecco un’altra chicca: «I Bilderbergers sono in cerca dell’era del post-nazionalismo: quando non avremo più paesi, ma piuttosto regioni della terra circondate da valori universali. Sarebbe a dire, un’economia globale; un governo mondiale (selezionato piuttosto che eletto) e una religione universale. Per essere sicuri di raggiungere questi obiettivi, i Bilderbergers si concentrano su di un “approccio maggiormente tecnico” e su di una minore consapevolezza da parte del pubblico in generale». Non vi sembra di riconoscere qualcosa dell’Italia (e dell’Europa) di oggi? Eppure queste sono parole di William Shannon (morto ormai 24 anni fa), giornalista del New York Times, ambasciatore in Irlanda sotto la presidenza Carter e naturalmente membro del Gruppo Bilderberg.

Tradotto: si tratta di «un abile e coordinato sforzo per prendere il controllo e consolidare i quattro centri di potere: politico, monetario, intellettuale ed ecclesiastico grazie alla creazione di una potenza economica mondiale superiore ai governi politici degli stati coinvolti» secondo la sintesi che ne fece nel 1979 l’ex governatore repubblicano Barry Goldwater. Ancora più esplicite le valutazioni contenute nel Rapporto della Commissione elaborato nel 1975 da tre suoi illustri membri (Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki) e che suscitò aspre polemiche: si denunciavano gli «eccessi della democrazia» (gli autori ce l’avevano con i movimenti di protesta dell’epoca) e il «sovraccarico del sistema decisionale» all’origine della crisi economica (sic!), per poi avanzare la proposta di un radicale cambiamento: meno intervento statale; più poteri ai governi e meno ai parlamenti (già sentita?); meno democrazia diretta.

In poche parole, per loro stessa ammissione i membri della Trilateral e del Gruppo Bilderberg si candidano ad essere i padroni del mondo, i costruttori di un «nuovo ordine mondiale», al quale i paesi ricchi sono invitati a partecipare, unendo i propri sforzi per promuovere la “stabilità” del pianeta attraverso la diffusione del modello economico dominante. E piano piano, tenendosi alla larga dai riflettori, ci stanno quasi riuscendo. Ma siccome «è difficile rieducare gente allevata al nazionalismo all’idea di rinunciare a parte della loro egemonia a favore di un potere sopranazionale», come ha sentenziato il principe Bernardo d’Olanda (fondatore del Gruppo Bilderberg) – anzi Zbigniew Brzezinski, già trilateralista e consigliere per la sicurezza nazionale con Carter, direbbe che «è più facile uccidere un milione di persone che controllarle » - occorre forzare un po’ la mano; per questo lorsignori «si incontrano segretamente per pianificare eventi che poi sembrano accadere un po’ per caso», secondo la definizione che nel 1977 The Times fece dei Bilderbergers.

Il barone Denis Winstop Healey, due volte ministro britannico tra gli anni 60 e 70, ne era convinto: «Quel che accade nel mondo non avviene per caso; si tratta di eventi fatti succedere, sia che abbiano a che fare con questioni nazionali o commerciali e la maggioranza di questi eventi sono inscenati da quelli che maneggiano la finanza ». «Le idee e la linea politica che vengono fuori dagli incontri annuali del Gruppo Bilderberg - scrive Daniel Estulin, un giornalista spagnolo che ha scritto un libro molto informato (“The true story of the Bilderberg Group”, Trine- Day, 340 pagine) – sono poi usate per creare le notizie di cui si occuperanno le maggiori riviste e i gruppi editoriali del mondo.

Lo scopo è quello di dare alle opinioni prevalenti dei Bilderbergers una certa attrattiva per poterle poi trasformare in politiche attuabili e di far pressione sui capi di stato mondiali per sottometterli alle “esigenze dei padroni del mondo”. La cosiddetta “stampa libera mondiale” è alla completa mercè del gruppo e dissemina propaganda da esso concordata». Non vi sembra che tutto calzi perfettamente con Monti&Co (e anche con quel famoso 10 novembre)? Ed è lungo l’elenco di certe “coincidenze” sospette. Nel 1976 uno “sconosciuto” Jimmy Carter viene eletto presidente degli Stati Uniti: Carter era uno dei più attivi membri della Trilateral e chiamò al suo fianco ben 18 trilateralisti; Bill Clinton partecipa ad un incontro del Gruppo Bilderberg nel 1991: nel 1992 è elettro presidente Usa; nel 1993 è il turno di Tony Blair, che diventa primo ministro nel ’97; Romano Prodi partecipa ad una riunione del Gruppo nel 1999: lo stesso anno diventa presidente dell’Ue e nel 2006 è presidente del consiglio italiano.

Recentemente intervistato dal Fatto quotidiano, il presidente italiano della Trilateral, Carlo Secchi (ex rettore della Bocconi: toh, un altro!) si è mostrato sorpreso della «curiosa coincidenza»: «Quando il nostro reggente europeo Mario Monti ha ricevuto l’incarico dal Quirinale e stava per formare il governo, noi eravamo riuniti». Monti si è dimesso dalla carica di presidente europeo della Trilateral (sostituito da Jean-Claude Trichet, ex presidente della Bce), ma lo stesso Secchi non ha dubbi: «C’è continuità fra il Monti nella Trilateral e il Monti a Palazzo Chigi». E in ogni caso, tra i “soci” figurano ancora tanti “illustri italiani”: Marco Tronchetti Provera (Pirelli), Enrico Cucchiani (Intesa), John Elkan (Fiat), Marta Dassù (sottosegretario agli Esteri), Federica Guidi (presidente Giovani industriali di Confindustria), Enrico Letta (vice segretario del Pd), Maurizio Sella (Banca Sella), Franco Venturini (giornalista del Corriere della Sera).

E non c’è alcun dubbio che Monti (e, per dire, Papademos in Grecia, anche lui membro della Trilateral) stia portando avanti il programma per la creazione del «nuovo ordine mondiale», di concerto con le istituzioni europee (Bce e Commissione europea), dove trilateralisti e Bilderbergers sono ben rappresentati. Un esempio su tutti è l’“ossessione” per il pareggio di bilancio, cui sacrificare tutto il resto: pensioni, salari, occupazione, crescita; cioè, in parole povere, la vita delle persone normali. E, per di più, con il loro consenso. L’Italia è il primo paese europeo ad aver messo il pareggio di bilancio nella Costituzione: significa che lo Stato, chiunque sia a governare, non potrà spendere più di un tot, nemmeno per finanziare opere pubbliche importanti per dare sviluppo al paese; nemmeno in caso di crisi per dare sollievo a lavoratori, pensionati, imprese.

E’ un gigantesco esproprio della funzione pubblica dello Stato; il primo passo verso la fine degli Stati, della sovranità nazionale e dell’autodeterminazione (esattamente come vogliono trilateralisti e Bilderbergers). Patrick Wood, un saggista americano che da sempre segue la Trilateral Commission, recentemente intervistato da Report, è fin troppo esplicito: «La Trilateral elaborò due concetti per realizzare i propri piani: interdipendenza tra i soggetti e tecnocrazia come mezzo per controllare la società. Tant’è che la Trilateral riuscì a prendere il controllo dell’esecutivo americano dominandolo negli ultimi trent’anni ». E sì, perché anche gli Stati Uniti sono un buon banco di prova per gli «internazionalisti » alla Rockfeller, a conferma che lorsignori non si limitano, come afferma Secchi, a «favorire il dialogo», ma cercano di imporre e realizzare le loro ricette. E pazienza se qualche milione di persone si ritrova senza casa, senza lavoro, senza cure mediche, senza pensione.

«Ciò a cui abbiamo assistito da parte di questa “cabala” - scrive ancora Estulin nel libro - è la graduale demolizione dell’economia Usa, iniziata negli anni ’80». La gigantesca crisi dei subprime non ne è un esempio lampante? E non lo sono le enormi aree industriali ormai dismesse e città come Detroit desertificate economicamente e socialmente? Per non dire della cura imposta da Margaret Thatcher (anche lei una Bilderberger) alla Gran Bretagna, oggi un paese irriconoscibile in preda ad una gravissima crisi sociale ed economica.

Ma l’opera degli “internazionalisti” non è compiuta. Si deve ancora realizzare, almeno in Europa, un «mercato europeo comune» (Secchi) mentre per l’Italia il progetto è «una coalizione trasversale come in Germania. Poi cambia poco se i ministri saranno o no dei tecnici» (sempre Secchi). Ci stanno già lavorando. E non è fantascienza.

Fonte: Liberazione del 12 maggio 2012

 

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