“Lo straordinario risultato dei referendum del 12 e 13 giugno parla anche alla politica economica dell’Umbria e chiede al tempo stesso chiarezza e maggiore coraggio”. Ne è convinto Vasco Cajarelli, della segreteria regionale Cgil, che analizza in un’ottica regionale il messaggio che è arrivato dalle urne domenica e lunedì.

Scusi Cajarelli, ma i referendum erano su leggi fatte dal Governo nazionale, cosa c’entra l’Umbria?

Certo, è chiaro che i cittadini hanno voluto in primo luogo bocciare su tutta la linea Berlusconi e il suo Governo. Questo è evidente. Ma al tempo stesso i referendum hanno dimostrato che il popolo è più avanti della politica, di tutta la politica, perché è riuscito a imporre un cambiamento storico, prima di tutto culturale, rimettendo prepotenentemente al centro del dibattito i beni comuni e dicendo basta alla loro mercificazione.

E dove sta il messaggio all’Umbria?

Sta proprio in questo: i referendum dicono anche noi che è ora di avere più coraggio, di ripensare il modello di gestione dei servizi pubblici locali, acqua in testa, a partire dagli assetti delle multiutility, dove è innegabile che si sia avviato un processo strisciante di privatizzazioni. Ma gli italiani e gli umbri hanno indicato in modo chiaro un’altra strada, che è quella della difesa dei beni comuni dalle speculazioni e dalle logiche del profitto. Deve essere il pubblico ad investire in questi settori, che tra l’altro rappresentano il terreno su cui si può innescare una nuova “rivoluzione industriale”

Una rivoluzione industriale sui servizi idrici?

Non parlo solo di servizi idrici, ma di filiera ambientale, di ciclo dei rifiuti, di green economy. E comunque, anche soltanto mettendo mano alla rete idrica che nella nostra regione è carente (basti pensare che 200mila umbri non hanno ancora accesso ai sistemi di depurazione) si creerebbe occupazione. E poi c’è tutto il campo delle energie rinnovabili che ha potenzialità enormi. Ripeto: la nuova rivoluzione industriale è quella ambientale.

Sì, ma in concreto che significa?

Significa che, a mio parere, soprattutto alla luce del messaggio arrivato con i referendum, l’Umbria dovrebbe rivedere il suo piano energetico regionale. E anche all’interno del Piano per il Lavoro, sul versante della green economy va fatto di più, i 34 milioni di euro di risorse previste per questo settore possono essere un buon punto di partenza, ma non sono sufficienti. Già oggi le rinnovabili danno lavoro a circa 5mila umbri, ma le possibilità di crescita sono enormi, quindi servono coraggio e investimenti.

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