Di Corrado Oddi*
Una delle caratteristiche del Movimento per l’acqua è quella di essersi sempre pensato capace di proposte alternative. Sin da quello che possiamo considerare l’atto fondativo della nostra dimensione nazionale, quando predisponemmo nel 2006, con una discussione larga e approfondita, la preposta di legge di iniziativa popolare per la tutela dell’acqua e la gestione pubblica del servizio idrico, su cui raccogliemmo nel 2007 più di 400mila firme. Proposta che giace alla Camera senza che nessuno abbia dimostrato la volontà neanche di iniziare il dibattito su di essa. Ciò non toglie che già lì si trovino i principi ispiratori che hanno accompagnato l’elaborazione di questi anni fino alla scadenza referendaria che affrontiamo oggi.
In particolare, non è difficile ritrovarvi i due punti di fondo che prefigurano la nostra idea di gestione pubblica del servizio idrico.

Se la privatizzazione è proceduta su due pilastri – la gestione tramite le Spa, soggetti di diritto privato, e il finanziamento del sistema caricando tutti i costi e il profitto sulla tariffa, il full cost recovery – il processo inverso di ripubblicizzazione si basa invece su approcci opposti: l’idea della gestione pubblica partecipata e una modalità del finanziamento del servizio idrico che poggia, oltre che sulla rimodulazione tariffaria, soprattutto sulla finanza pubblica e sulla fiscalità generale. Su entrambi questi punti l’elaborazione del Forum dei Movimenti per l’Acqua è giunta ben al di là delle pure petizioni di principio.

Sul tema del pubblico partecipato non si tratta di costruire una modellistica astratta ma si può ragionare su due piste di lavoro partendo dall’assunto che il superamento delle Spa per costruire soggetti gestori di diritto pubblico è condizione necessaria ma non sufficiente nella nostra idea di ripubblicizzazione. La prima pista, mutuata dall’esperienza della ripubblicizzazione del servizio idrico a Grenoble, si potrebbe definire di democrazia partecipativa nella costruzione delle decisioni fondamentali (tariffe, investimenti, bilanci ecc.), nel senso che l’ente locale, almeno due volte l’anno, in sede consuntiva e preventiva, si misura con le istanze e le proposte provenienti dai movimenti e dalle organizzazioni sociali, mentre la seconda, che potremmo indicare come partecipazione gestionale, interviene nelle fasi di gestione e controllo, prevedendo la rappresentanza dei cittadini organizzati nell’organismo di amministrazione dell’Azienda pubblica che gestisce il servizio e quella dei lavoratori in un organismo di controllo, che si potrebbe denominare Consiglio di sorveglianza. Queste idee sono semplici terreni di lavoro e su di esse sarebbe utile approfondire la discussione, anche perché questo blocco di questioni diventerà assolutamente strategico all’indomani della più che possibile vittoria referendaria.

Il nodo della costruzione di un meccanismo alternativo di finanziamento del servizio idrico nasce dalla costatazione che quello attuale - basato sulla tariffa che sostiene tutti i costi (più i profitti) del sistema – non solo è funzionale ai processi di privatizzazione, ma ha ampiamente dimostrato il proprio fallimento. Infatti, è da lì che provengono la sistematica situazione di sottoinvestimento, visto che sono i soggetti gestori di natura privatistica ad avere il potere sostanziale di effettuarli o meno, il forte incremento tariffario che procede ormai da molti anni a questa parte, l’incentivo ad accrescere i consumi. Un’impostazione alternativa non può, invece, che muovere dal ridare centralità alla finanza pubblica e alla fiscalità generale per finanziare gli investimenti, mentre alla tariffa viene lasciato il compito di coprire i costi di gestione del servizio.

Ora, a differenza di quanti strumentalmente agitano i nostri detrattori, quest’intervento non comporta di per sé l’incremento della tassazione, né l’aumento del deficit e del debito pubblico: si tratta di pensare, ad esempio, di tagliare voci di spesa inutili o sbagliare e dirottare queste risorse verso l’investimento strategico nel settore idrico. Per proseguire nell’esemplificazione, il taglio dei 13 miliardi, già stanziati, per l’acquisto dei cacciabombardieri F35 (un miliardo l’anno per ciascuno dei prossimi 13 anni) sarebbe in grado, da solo, di recuperare un terzo delle risorse necessarie per gli investimenti per i prossimi 20 anni, stimati complessivamente in 40 miliardi. Maggiori dettagli saranno forniti nel convegno nazionale del prossimo 17 maggio.

* Fp CGIl – Forum Italiano Movimenti per l’Acqua
 

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