L’entrata in vigore del sistema di frequenze televisive di ultima generazione meglio conosciuto come DTT (digitale terrestre), pone la produzione, la diffusione e l’utenza televisiva di fronte ad alcuni complessi nodi da sciogliere nel breve termine. Nodi che sono di carattere tecnologico, politico e culturale.

Per quanto riguarda i primi si tratta di adeguare l’emittenza attuale alle esigenze della nuova tecnologia digitale che si irradia nell’etere attraverso i ripetitori terrestri, i vecchi ripetitori che parevano superati per sempre dalla diffusione satellitare. In tal senso i grandi network come RAI, Mediaset hanno provveduto a fare incetta di frequenze acquisendole dalle emittenti territoriali insieme ai ripetitori, approfittando del fatto che numerose di queste ultime hanno ritenuto fuori dalla loro portata il passaggio al digitale terrestre cedendo perciò i loro ripetitori, una operazione del tipo “prendi i soldi (dalla vendita dei ripetitori) e scappa”, una fuga favorita oltre che dalla necessità di fare cassa per ripianare i disastrati bilanci (perché fare tv è costoso) dall’essere state lasciate completamente alla mercè dei grandi network.

Questi ultimi e in particolare Mediaset, approfittando di essere anche l’azienda di famiglia del premier hanno approfittato della loro posizione dominante per combattersi tra loro e ottenere i maggiori vantaggi possibili nel corso della gara per l’assegnazione delle frequenze indetta dalla Commissione Europea competente.. In particolare Mediaset ha avuto un duro confronto con SKY che aveva chiesto di partecipare alla gara per l’assegnazione di cinque frequenze in Italia, possibilità che l’azienda del premier aveva cercato di ostacolare con tutti i mezzi ma che alla fine la Commissione Europea ha comunque assegnato alla emittente di Murdoch.

Ma una volta fatto questo passo, la Commissione, si è disinteressata del modo di come la gara è stata portata avanti, lasciando ampia discrezionalità all’Autorità italiana di settore (che ha scritto il regolamento) e al Ministero dello Sviluppo Economico che ne ha preparato il disciplinare. Questo ultimo ministero, già assegnato al dimissionato Scajola, come tutti sanno è stato per lungo tempo un interim nelle mani di Berlusconi.

E qui comincia il nodo politico perché la Commissione Europea ha inviato all’Autorità italiana criteri di valutazione per l’assegnazione delle frequenze che sono risultati tutti uguali, senza vere distinzioni tra compratori forti e meno forti, mettendo sullo stesso piano Mediasset e una televisione locale e lasciando mano libera al governo italiano di gestire la faccenda. Gestione che ovviamente ha sancito i diritti dei più forti su tutti i fronti compresi i diritti d’autore, tutto ciò naturalmente mirato a scardinare qualsiasi tipo di concorrenza. Questo è lo scenario in cui si viene a calare la imminente messa a regime del DTT nel nostro Paese che ha come termine ultimo Gennaio 2012.

A fronte di questo scenario, poco incoraggiante sul terreno del pluralismo , va considerato come l’avvento del DTT costituisca una vera e propria rivoluzione, una svolta culturale nella gestione e nella fruizione della televisione così come l’avevamo vissuta fino ad oggi. E ciò implica per le emittenti locali, in primis, l’acquisizione della giusta mentalità per pensare alla propria sopravvivenza che al di là dei necessari investimenti tecnologici comporta anche un nuovo atteggiamento culturale nei confronti della produzione e delle modalità di fruizione. Ovvero davanti all’ampiezza di un canale digitale (5 volte più di un attuale canale analogico), la prima cosa da fare è pensare ai contenuti, di fronte ad una offerta che comprendendo anche i grandi network è praticamente gratuita e rimescola completamente perciò tutto il mercato della pubblicità televisiva.

Ma che possibilità hanno quindi le emittenti locali? La strada è obbligata: tv tematica a basso costo e contenuti originali di qualità. Una ricetta non facile ma è l’unica possibile per giustificare la loro esistenza nei confronti di una concorrenza che comprende anche RAI e Mediaset che nel frattempo hanno scritto le regole del DTT esclusivamente a loro vantaggio.

Per le emittenti locali non basterà quindi, di fronte al taglio da parte del governo delle risorse a loro destinate, un pur necessario sostegno da parte delle amministrazioni regionali al fine di salvaguardare la loro identità mediatica territoriale, se tale sostegno non sarà orientato a favorire la produzione di contenuti con i predetti requisiti. Come tutte le rivoluzioni anche quella del digitale terrestre è all’insegna del cambiamento e questo va assolutamente assecondato per non esserne travolti .

GIAN FILIPPO DELLA CROCE

 

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