L'editoriale di Gian Filippo Della Croce/ Attualità della Resistenza
Quest’anno le celebrazioni del 25 aprile, la “festa della Liberazione” come viene comunemente chiamata questa storica giornata, che nel 1945 vide la sconfitta del nazifascismo in Italia, cade insieme ad un altro importante anniversario: i 150 anni dell’unità nazionale.
C’è chi ha già tracciato arditi parallelismi fra questi due decisivi avvenimenti della nostra storia che qualcuno ha definito come Primo e Secondo Risorgimento. In entrambi i casi esiste in verità un elemento comune, ed è quello che uno storico risorgimentale definì con le seguenti parole “…negli opposti schieramenti si parlava in italiano…” ,che vuol dire che negli epici scontri sanguinosi che caratterizzarono il cammino sia del Primo che del Secondo Risorgimento si fronteggiavano da ambo le parti giovani italiani , arruolati nell’esercito austriaco come in quello borbonico e come in quello piemontese che nelle schiere dei Mille e successivamente italiani erano i partigiani delle brigate e i fascisti di Salò.
Per questo parlando di Unità del Paese, in entrambi i casi va sottolineato il fatto che la memoria dei vincitori non può tralasciare quella dei vinti, perché entrambi erano italiani. Una Unità quella del nostro Paese realizzata in entrambe i casi da italiani contro italiani con l’aiuto di un alleato esterno, francese nel primo, angloamericano nel secondo Risorgimento. Tutto questo naturalmente non toglie nulla all’importanza dei due eventi, in quanto in entrambi i casi si trattò di combattere una guerra, e da che mondo è mondo le guerre prevedono che ci siano alla fine vinti e vincitori.
Così è stato anche il 25 aprile del 1945 e questo non va taciuto ma al contrario va affermato per confutare chi afferma che la Liberazione dal nazifascismo fu soprattutto opera di eserciti stranieri. E invece fu anche una questione fra italiani, dice Luzzatto storico del Novecento “ è necessario non consentire che la storia italiana del novecento anneghi nell’indistinzione”.
Tutto questo significa che non fa bene alla verità storica non distinguere le parti in causa e non distinguerne i valori messi in campo e le ragioni per cui i valori dei vincitori prevalsero. Prevalsero perché collimavano con quelli del Paese, un Paese stremato da una guerra terribile che il fascismo aveva voluto e che aveva perso al prezzo di migliaia di vite umane e i fascisti di Salò schierandosi a fianco dei tedeschi invasori non fecero che aumentare l’odio degli italiani nei loro confronti, vennero sconfitti insieme ai tedeschi dalle brigate partigiane, che pure ricevettero aiuti dagli angloamericani, ma che li affrontarono in prima persona costringendoli alla fuga e alla resa.
I tentativi fin qui messi in atto per equiparare la memoria dei due schieramenti, vanno quindi respinti come contraffazioni demagogiche in quanto negherebbero l’evidenza dei fatti e cioè che chi vinse, cioè i partigiani, aveva il consenso del popolo che in definitiva è quello della storia, cosa che mancò agli altri che la storia aveva invece ormai condannato. Chiariti, ma non basta mai, questi non trascurabili particolari, dobbiamo porci il quesito sull’attualità della Resistenza, laddove la parola significa “opporsi all’oppressione, all’abbandonarsi alla corrente e resistere alla stanchezza e all’esasperazione”. Resistere soprattutto alla stanchezza indotta dalla banalità, perché oggi la democrazia, conquistata con la Resistenza, è diventata banale, mostra segni di cedimento e stanchezza, logorata dalle molte prove negative alle quali è stata sottoposta. Dunque è vulnerabile e può essere corrotta, tradita e perfino trascurata. Oggi come non mai abbiamo bisogno che lo spirito della Resistenza sia presente e vivo fra di noi.
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