di Galapagos

L'Europa è allo sbando. La Commissione europea, nel Rapporto previsionale diffuso pochi giorni fa, ha scritto: «La ripresa economica nella Ue si è fermata: il forte deterioramento della fiducia colpisce investimenti e consumi, la debolezza della crescita mondiale frena le esportazioni, l'urgente risanamento dei conti pubblici grava sulla domanda interna. Secondo le previsioni attuali la stagnazione del Pil nell'Ue si trascinerà ben oltre il primo trimestre 2012, con una crescita per l'intero 2012 intorno allo 0,5% (...) Non si prevedono miglioramenti concreti sul mercato del lavoro: la disoccupazione rimarrà infatti attestata sugli elevati livelli attuali, intorno al 9,5%». Tanto per ricordarlo, stiamo parlando di un'area, la Ue a 27, in generale prospera, che ha oltre 500 milioni di abitanti per molti dei quali il futuro non riserva nulla di buono.
La crescita la si può intendere quantitativa - replicando l'attuale modello di sviluppo - o qualitativa, ovvero con un nuovo modello di sviluppo.

Da escludere che si possa rimanere fermi tentando unicamente di tamponare le falle dei conti pubblici con manovre restrittive già abbondantemente varate senza attenzione per gli effetti distributivi. O, ancora peggio, soffocando le condizioni di lavoro perché è questo che «impone» la globalizzazione. Un alibi: l'Europa è troppo grande e importante per essere «condizionata». Il sospetto, anzi la certezza, è che si auto-condizioni non solo per motivi ideologici, ma anche per la pochezza delle istituzioni comuni a fronte delle quali sta una finanza sempre più aggressiva, ma al tempo stesso impunita. Anzi protetta.
Fa veramente pena assistere al dibattito che si sta svolgendo accentuato in questi giorni sugli euro bond. Emerge in tutta la drammaticità il risorgere degli egoismi nazionali. Non solo quelli della Germania (che non li vuole) ma anche quelli della Francia che si batte per averli pur di evitare la trappola di una riduzione del rating e un aumento degli interessi sul debito pubblico.

Gli ultimi dati macroeconomici, oltre alle previsioni, confermano: l'Europa sta scivolando in una nuova recessione nell'indifferenza delle autorità politiche che, forse, la ritengono una catarsi, una cerimonia di purificazione necessaria, rigeneratrice. Ma c'è un problema: questa crisi, esplosa nel 2008 con conseguenze devastanti nel 2009, non sembra voler terminare. Certo, lo scorso anno il Pil ha registrato un rimbalzo e anche quest'anno ci sarà un po' di crescita. Ma lo scenario è pessimo e sembra che nessuno sappia cosa fare: si procede tappando un buco alla volta, cercando di aggiustare i conti pubblici.

Ieri la Merkel ha detto no a una Bce che stampi moneta emettendo gli euro bond. Ci sono paesi, come ha scritto un commentatore recentemente, che stampano moneta con il ciclostile. Cioè una quantità infinita. Senza entrare in discussioni teoriche, è sufficiente ricordare che stampare moneta è negativo quando un sistema economico attraversa una fase di piena utilizzazione dei «fattori produttivi». Le virgolette non sono casuali, visto che chi si dice di sinistra sostiene (o dovrebbe) che esiste un solo fattore produttivo: il lavoro. E vale la pena ricordare che negli anni scorsi hanno stampato moneta non gli stati, ma - autonomamente e senza controlli - il sistema finanziario, provocando così quel crollo che ancora viviamo.

Stampare moneta in un qualsiasi forma da parte delle autorità centrali è, invece, utile e necessario quando i sistemi economici presentano una fase di scarsa utilizzazione dei «fattori produttivi», come in questo momento. E la disoccupazione crescente ne è la prova più evidente. Solo una spinta vigorosa alla domanda può consentire di arrestare il declino. Sia ben chiaro: la domanda in questa fase deve provenire soprattutto dagli investimenti sociali e dai consumi collettivi, con una svolta cioè nella politica economica a livello europea. Ma la speranza che avvenga è quasi nulla e non può essere superMario a fare il miracolo.

Fonte: Il Manifesto

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