G8 2001, “C’era un movimento vero massacrato dalla violenza”
di Isabella Rossi -
A 10 anni di distanza chi vuole ricordare a Perugia i sanguinosi eventi del G8 di Genova? Sicuramente non sono in pochi quelli che in Umbria custodiscono testimonianze dirette sui fatti. Fra questi anche Franco Parlavecchio, segretario comunale del Pd di Perugia, allora responsabile regionale dei Giovani verdi, che ha scelto di condividere i suoi ricordi su quelle giornate, definite dall’attuale sindaco di Genova, Marta Vincenzi, “una sospensione della democrazia”.
Tutto è iniziato in maniera tranquilla. Un pacifico gruppo di umbri e romani partiti insieme per soggiornare a Renzano e partecipare ai cortei previsti. Ma poi è accaduto l’imponderabile. Cosa è successo 10 anni fa a Genova?
F.P.: “Cose stranissime. Sabato, dopo la morte di Giuliani, mi trovavo nel corteo sul lungomare che è stato spezzato dalla carica delle forze di polizia. Da lontano si vedeva il fumo dei lacrimogeni. Abbiamo fatto un cordone per proteggerci dai black bloc. C’era d’aver paura. Spesso i cellullari non funzionavano. Avevo con me solo una bottiglia d’acqua. Ad un certo punto mi sono trovatoa scappare ed ad essere inseguito nei vicoliinsieme ad una quindicina di altre persone. Tra queste, per fortuna, c’era un genovese che ci ha invitati a casa sua dove siamo rimasti per almeno due ore. Ma non tutti hanno saputo reagire alle aggressioni. Per la maggioranza dei partecipanti quella era la prima manifestazione. A quel punto diventa più difficile capire come muoversi. Noi, grazie a questo tipo di Genova abbiamo trovato riparo. E dalla finestra di casa sua abbiamo visto i black bloc che devastavano il quartiere a mazzate e la polizia che stava a guardare.”
Cosa è rimasto di quell’esperienza?
F.P.: “Una sensazione che non dimentichi più. Un misto tra angoscia per le cose pesanti vissute da vicino e la consapevolezza che c’era un movimento vero massacrato con la violenza. Dopo il G8, infatti, il movimento si è afflosciato.
Cioè è stato raggiunto lo scopo?
F.P.: “Secondo me sì”
Perché facevano tanta paura?
F.P.: “Forse perché era un movimento eterogeneo. C’era di tutto e anche qualche esaltato. Ma non c’entravano niente i black bloc. Loro erano attrezzati e potevano agire indisturbati.
La lezione di Genova è servita a qualcosa, a qualcuno?
Ha impedito di comprendere i messaggi positivi dei new global (l’etichetta no global è rifiutata dagli attivisti che si oppongono solo alla globalizzazione neo liberista, ndr). Si parlava di questioni come i beni comuni, ma anche di comunicazione globale o di musica. Uno dei settori più globalizzati per la sua incidenza nella pubblicità. Anche le classifiche musicali sono standardizzate in Occidente, fatta eccezione per la Finlandia. Il rischio è anche quello di perdere identità e di non riuscire più apprezzare le diversità.
Tra il rifiorire negli ultimi 10 anni dei movimenti di estrema destra e la standardizzazione dei gusti c’è un nesso?
F.P.: “Sì e no. Sì perché la cultura della globalizzazione può influire negativamente sulla massificazione delle idee, no perché questi movimenti vorrebbero difendere identità e tradizione. Solo che lo fanno in maniera sbagliata, cioè senza tolleranza né accettazione. Senza una cultura dell’accoglienza che non significa affatto perdita d’identità”.
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