di Linda Santilli

Elettra Deiana è stata una donna poliedrica e per questo è difficile ricordarla in poche righe. Ancora più difficile è farlo con lo sgomento nel cuore, che non si alleggerisce pur sapendo che la sua dipartita da questo mondo per lei è stata una liberazione. Parlarne al passato è ancora quasi impossibile. Il vuoto incombe insieme alla paura di non saper proseguire, in questo mondo alla deriva di senso, senza le sue analisi acute. Senza poter attingere a quella sua straordinaria attitudine al pensiero obliquo piuttosto che lineare, allo “scarto” dello sguardo sul mondo – come amava definirlo – che così tanto ci ha aiutato in questi anni a vedere quello che “da fuori” non si vede e a illuminare gli angoli nascosti e imprevisti degli accadimenti per poterli leggere. 

Rigorosa eppure una nomade del pensiero come poche. Intellettuale marxista raffinata, teorica e militante femminista combattiva, dirigente comunista libertaria e anti-dogmatica. 
Ha portato il suo essere pacifista nelle aule parlamentari, eletta con il Prc. Nei suoi due mandati in commissione difesa, quando interveniva in Aula sui temi della pace attaccando le nuove dottrine militari relative alla guerra globale e preventiva, si faceva silenzio. Era autorevole.

Elettra è stata tante cose. Ma soprattutto è stata una donna libera. Andava fiera delle sue origini sarde. Le donne di quella terra – diceva – sono forti, sanno essere silenti ma anche diventare impetuose e farsi spazio nel mondo. E a lei questo impeto di sicuro non è mancato. La sua vita l’ha costruita ad aprire varchi alla libertà per sé e per chi con lei ha condiviso l’avventura politica di cambiare il mondo. 
Un’avventura lunghissima la sua, che prende il via con i movimenti del ’68, tra Roma e Milano, insieme al suo compagno di vita, Edgardo Pellegrini, nei gruppi della nuova sinistra, il trotskismo, l’impegno nei Comitati Unitari di base con gli operai delle grandi fabbriche del nord, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista, poi Sel e Sinistra Italiana. Un percorso dentro i luoghi della politica maschile, che ha attraversato sempre da femminista, accompagnato dall’impegno nel movimento delle donne, suo spazio quasi naturale e costante nel tempo. 
Le donne sono state il centro della sua passione politica, punto di partenza e approdo. Si è spesa senza sosta a costruire reti, circuiti virtuosi di relazioni tra donne, perché era sulla relazione tra donne “come legittimazione e forza dello stare al mondo”, come “l’impensato della cultura umana”, che poggiava la sua pratica politica. E’ stato, il suo, un lavoro meticoloso di cura, di cui resteranno le tracce. 

In tante abbiamo vissuto con Elettra una stagione di indimenticabile intensità. Per molte decisiva sul piano della formazione. Ricordo gli anni dell’impegno in Rifondazione Comunista e condividemmo l’esperienza del Forum delle donne, di cui Elettra è stato il fulcro. Fu una scuola di politica permanente straordinaria, di studio e di pratica di disobbedienza, dentro quel partito fortemente segnato dai limiti di una concezione patriarcale, di divisione sessista dei ruoli, che relegava la parte femminile ai margini. Lei per prima volle, agli albori della nascita di Rifondazione, costruire uno spazio di libertà femminile, rifiutando la tradizionale commissione che si occupa di donne come appendice della grande politica, e che fosse uno luogo di frontiera, attraversato dai movimenti, dalle femministe non iscritte. Era convinta che solo l’intreccio tra analisi di genere ed analisi di classe potesse svelare le contraddizioni capitalistiche. Fu una conquista enorme quella, anche sul piano simbolico, che costò fatica, perché non era facile, come continua a non esserlo oggi, far capire l’importanza del contributo analitico del femminismo per leggere la contemporaneità. Lo ha sempre pensato e questa sfida non l’ha mai abbandonata, convinta che alla base della crisi profonda della sinistra - ancora appannaggio di gruppi prevalentemente maschili nei ruoli decisionali - ci fosse la preclusione imperdonabile al confronto con tutto quello che le donne hanno elaborato su questioni di prima grandezza: il potere, la democrazia, la guerra, l’ambiente, il lavoro, la crisi della politica e della rappresentanza. 

Non solo Rifondazione, ma tutti i luoghi che ha attraversato li ha attraversati con una grande potenza eretica, dissacrante verso ogni forma di autorità precostituita, gerarchia, ritualità liturgica, demagogia. Dare le parole alle cose per risignificare il mondo con le metamorfosi avvenute, era il suo assillo, e protestava quando vedeva che le parole venivano usate in modo retorico per camuffare piuttosto che svelare la realtà.
Nell’esercizio rigoroso della critica non ha risparmiato nessuno, né i dirigenti del suo partito, a cui ha dato filo da torcere, né le donne che sceglievano di mettersi al seguito dei compagni maschi, ostili alla politica del riconoscersi tra donne, ma non ha risparmiato nemmeno quel femminismo moralista che pretende di imporre la sua idea di libertà alle altre, ancorato al chiodo fisso delle identità.  Anche in quel mondo lei ha scelto da che parte stare, in coerenza con la sua idea di libertà femminile che nasce dall’assunto che ciascuna fa del proprio corpo-mente di donna ciò che desidera. L’autodeterminazione come pratica costante di assunzione di responsabilità ne è il fondamento. E non c’era mediazione possibile su questo: la prima parola e l’ultima spetta alla donna e a lei soltanto, perché è lei proprietaria del suo corpo. 
Come era insofferente all’”ordine del discorso” imposto dal patriarcato per normare il corpo femminile e la sua potenza riproduttiva, lo era ancora di più quando quella stessa pretesa normativa arrivava dalle donne. E quindi, anche in quel caso, bisognava fare di-ordine. Ed Elettra con le donne ne ha fatto tanto. Con le donne di tutte le generazioni. Poliedrica appunto: pensiero e azione, riflessione e presenza in piazza. Era sempre sulla barricata, come e Genova nel 2001, come ovunque bisognasse portare un grido di libertà. 

Per le giovani aveva una attenzione all’ascolto particolare. Ne era attratta irresistibilmente, come se avesse bisogno di acqua di sorgente per dissetare la sua curiosità di comprendere il mondo, sapendo che i linguaggi e le categorie su cui aveva potuto contare nel passato, non erano più efficaci se volevi stare nelle cose del presente. Sosteneva i giovani e le giovani quasi “a prescindere”, camminando al loro fianco per fargli largo, mai d’avanti, e senza mai porsi come madre, custode di verità. Mai. E quindi era bellissimo costruire insieme, in un rapporto inevitabilmente impari sul piano del sapere e della esperienza, ma pari sul piano della relazione. E così lei ci ha aperto mondi: Carla Lonzi, Rosi Braidotti, Luisa Boccia, Alessandra Bocchetti, Lea Melandri e poi il cyberfemminismo, Audre Lorde, Adrienne Rich, Angela Davis. Ne eravamo affascinate, e contagiate da quell’istinto alla ribellione all’esistente che le era connaturato e che la rendeva giovane nella testa, come è stata fino all’ultimo. 
La Pandemia l’ha annichilita, rubandogli la parola che per lei era stato tutto. Ma prima di lasciarci ci ha regalato “Il tempo del secolo. Trame di una militanza femminista”, il suo memoir, che raccoglie tracce delle sue riflessioni più profonde. Una eredità preziosa per il femminismo e per la sinistra, di cui oggi abbiamo assoluto bisogno e che dobbiamo valorizzare. 
Non smetteremo mai di ringraziarla abbastanza.

Fonte: Il Riformista

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