I due Paolo
I ricordi, adesso che Paolo non c’è più, si fanno più fitti. Di qualcuno che è scomparso non si rivedono solo fatti, ma anche espressioni, modi di fare, battute, piccoli o grandi particolari.
Ci sono due Paolo, ora che si alternano, si sovrappongono in una danza.
Il primo, il leader del movimento del 1977, capace di arringare gli studenti in una sala dei Notari gremita, capace di far sognare ad occhi aperti la rivoluzione. Quando Paolo saliva sul palco aveva la straordinaria capacità di far sembrare possibile il cambiamento da un momento all’altro.
L’altro Paolo è quello dopo il 1984, l’anno in cui ebbe la crisi. Quello che credeva che la rivoluzione sarebbe comunque arrivata e che parlava di comunismo e internazionale, ma nessuno ci credeva più intorno a lui. Quello che usava lo pseudonimo, Paul Beathens
Non sappiamo cosa sia successo nella testa di Paolo, ma il suo percorso non lo ha collocato fuori dalla realtà, come spesso avviene per le malattie , lui ha fermato il tempo ed ha proseguito. Con grande tenacia e con una coscienza di se piena è voluto rimanere ancorato ad una vita aperta, ristabilendo un suo concetto di normalità accettato dagli altri, da noi. Vissuto in pieno da lui stesso.
Era facile amare il primo dei due aspetti della personalità, il secondo era a volte scomodo: sentirsi chiamare a voce alta in Corso Vannocci poteva anche imbarazzare gli animi più conformisti, in un salotto buono non si urla, si sussurra. Avere il coraggio di intervenire in una qualsiasi occasione pubblica di dibattito, declamare poesie nei pub o nei circoli culturali, usare gli stessi aggettivi. Parlare di comunismo!
E Paul ci giocava con il conformismo degli altri. Ci ha sempre giocato Ha sempre mantenuto il sorriso pur nei momenti difficili, quello buono ed ottimista di chi crede ancora nei cambiamenti, lotta e si adopera per essi, con sguardo (e cravatte) bohemien. Paradossalmente Paolo ha trovato più rivoluzione nel suo secondo modo di essere. E’ riuscito a completare la sua rivoluzione, creando un filo diretto tra teoria e pratica, un vecchio dilemma dell’ideologia: la coerenza.
Lui aveva trovato la sua coerenza, in un mondo sempre più sdoppiato tra vita pubblica e vita privata, deprivato di reale coscienza, che si affida all’incoerenza, Paul rappresentava un anacronismo positivo. E gli altri lo hanno sentito. Hanno sentito la sua innocenza e il suo candore.
Paul metteva in gioco se stesso mentre normalmente si delega a qualcun altro il “lavoro sporco”, si delega ad altri l’impegno di combattere al posto nostro. Lui “era” il suo impegno quotidiano: non aveva un lavoro, un orario un impegno convenzionale, pur avendo orari precisi nei suoi movimenti.
Declamare, presenziare, intervenire, criticare, leggere studiare è un lavoro faticoso. Ma non basta!
Paul non inseguiva più il potere, se non quello delle parole, di un ruolo, che è ancora un aspetto romantico, e diceva cose mai banali. Cose che molti di noi hanno accantonato, piccolo prezzo da pagare per una vita tranquilla: il senso di giustizia, l’antagonismo culturale all’esistente, l’ironia, l’anticonformismo e anche il conformismo. Ognuno di noi è molte cose, ma sceglie un ruolo. Paolo aveva scelto il suo.
E coloro che frequentava più spesso in questo periodo gli riconoscevano la sua sincerità, il mettersi per primo in gioco, senza altri fini.
Credo che sia stato più facile per coloro che non avevano conosciuto il primo Paolo accettare questo cambiamento e viverlo. Per chi come me lo ha conosciuto prima e dopo, è stato più difficile digerire la mutazione. Purtroppo la presa d’atto di qualcosa di nuovo che Paolo aveva fatto balenare in alcune coscienze è tardiva. Per la verità in occasione della presentazione del suo ultimo libro, circa due mesi fa, ero rimasto colpito dalla presenza di tante persone. Aveva la capacità ancora di far sognare, di trasmettere la sua astrazione a tanti altri. I più conformisti lo inquadravano in un ruolo di macchietta che non gli rende giustizia. Ma era ed è un problema loro, è la loro visione limitata, non quella di Paolo/Paul.
Persino I suoi sconbinati aperitivi facevano parte di un’astrazione: acqua rum e vino, o altre improbabili miscele, trasmettevano il suo desiderio di superare attraverso l’astrazione la realtà. L’incredibile presenza al suo funerale ha mostrato un altro aspetto interessante: a san Bevignate c’erano il diseredato, lo sfigato e l’uomo potente, passando per tanta gente comune che provava nei suoi confronti un sincero affetto, tutti commossi. Ed eravamo in tanti al funerale. La nostra generazione come ha scritto bene Renzo Massarelli, ex rivoluzionari invecchiati senza gloria.
Paul ci ricordava e lo ha fatto fino in fondo, che c’è bisogno di dare un senso diverso alla nostra vita, anzi di dargli un senso. Magari colorato d'utopia. Abbiamo bisogno che non sia soltanto chiuderci in casa davanti al televisore. Dobbiamo stare con gli altri per ritrovare noi stessi. Di solitudine ne abbiamo già abbastanza.
Paolo e Paul inseguivano una utopia, un sogno ad occhi aperti.
E da uomo libero avrebbe voluto trasformare un momento doloroso come la morte in una delle sue performances più ironiche.
Ne ricordo una , con il maestro Straccivarius. Dialoghi sul comunismo era il tema della serata.I due sono seduti, davanti a loro un pò di pubblico. Non ricordo il luogo.
Dibattito..
Il maestro sosteneva che Dio deve essere comunista e che se c’è un paradiso in terra, questo doveva essere comunista. Si girò verso Paul chiedendo “Sei d’accordo Paolo?”
“Chiaro maestro- disse Paul Beathens, lisciandosi la testa, e con lo sguardo furbetto da eterno ragazzo, di rimando domandò :
“LI BATTEZZERA’ MAESTRO? Marx li battezzerà? “
E si perse in una risata, coniugato con l'universo.
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