Sono tempi duri, durissimi. Per i lavoratori, per gli anziani, per i giovani, per le imprese piccole e oneste, ma per le donne lavoratrici, anziane, giovani e imprenditrici piccole e oneste sono tempi impossibili.

I dati sull’occupazione relativi all’anno 2009 segnano una flessione preoccupante rispetto al 2008 a livello nazionale: - 1,6% per gli uomini (68,6%) e -0,8% (46,4%) per le donne. In Umbria, contrariamente a quanto accade per le altre regioni del Centro che si posizionano meglio rispetto al dato nazionale, la percentuale si assesta su livelli di allarme per quanto riguarda l’occupazione femminile: -3,4%. E pensare che nel frattempo la crisi ha cominciato a mordere ancora più profondamente il tessuto produttivo, economico e sociale del nostro Paese, facendo supporre che le cifre appena espresse non siano che un funesto presagio.

La crisi si diffonde in tutti i meandri della società, si insinua nei rapporti sociali e personali segnando il disagio tipico dei periodi di decadenza. Le prime pagine di tutti i giornali ci restituiscono un’immagine del governo del nostro Paese a dir poco inquietante: il presidente del Consiglio che, come dice Gentiloni, “passa le sue giornate a difendersi dalle sue nottate” e uno stuolo di parassiti che rilasciano interviste ai giornali e vagano per tutte le trasmissioni televisive a ripetere le battute suggerite dagli avvocati-parlamentari per difendere l’indifendibile.

A parte i risvolti giudiziari delle mille vicende del premier, di cui dovrà in ogni caso dar conto, ciò che più allarma è il modello cui si informa il comportamento della classe dirigente del nostro Paese e l’impatto che questo ha sulla coscienza collettiva, plagiata e assopita in un torpore squallido e degradato. L’immagine che delle donne si dà è l’ultimo grado della mortificazione possibile.

Qesta misoginia generale, favorita dall’atavica e irrisolta questione della libertà delle donne, ben si sposa con l’idea che i signori che ci governano hanno della società moderna, competitiva e al passo con i tempi cui si ispirano. La loro arma è quella di privare tutti della propria dignità, abbassare talmente la soglia dell’autoconsapevolezza da renderci tutti merce, schiavitù, popolo bue. Dai lavoratori che rischiano di perdere il loro posto di lavoro, ai precari in attesa dell’ennesimo contratto a termine, ai giovani senza un futuro, agli anziani lasciati soli negli anni più difficili della loro vita, alle donne ricondotte al mero ruolo riproduttivo o di intrattenimento maschile. La dignità è davvero l’ultima frontiera.

Se non sembra esserci niente di strano nel pretendere che gli operai (uomini e donne) di Mirafiori rinuncino al diritto di scioperare, di ammalarsi, di avere una rappresentanza, di fare pause durante il lavoro, che ne è del diritto delle donne di scegliere sulle questioni che riguardano la loro vita, il loro corpo, la loro salute, la maternità, la contraccezione, il lavoro, la loro sicurezza… La crisi economica è un ottimo argomento per imporre nuovi assetti e nuovi rapporti sociali, e in questa partita tutti, le donne in particolare, hanno qualcosa da perdere.

Allora, laddove resiste una concezione solidale del vivere civile, nei territori tradizionalmente di centro-sinistra, l’attenzione politica e istituzionale nei confronti dei bisogni e dei diritti delle donne deve risalire la corrente e farsi carico di dimostrare che altro è possibile. È possibile rispondere alla crisi salvaguardando la dignità delle persone, facendo scelte “coraggiose” (la rivoluzione non è alle porte), riportando la discussione su ciò che si può fare perché la crisi non la paghino i più deboli, gli incolpevoli, le donne. L’empowerment e il mainstreaming non devono rimanere vuoti anglicismi, ma devono permeare l’azione politica delle istituzioni e dei partiti. È importante che le donne riconquistino lo spazio pubblico, partecipino alla vita politica delle loro città, contribuiscano a determinare la fisionomia sociale, culturale ed economica dei luoghi in cui vivono. Molte associazioni femminili operano da anni nel nostro territorio e sono fonte preziosa di saperi, elaborazioni ed esperienze indispensabili per individuare un comune agire politico. Un agire politico attorno al quale le forze della sinistra devono ritrovarsi per tradurre in azioni concrete la loro comune vocazione: la difesa e la promozione del lavoro, dei diritti, dei beni comuni, dell’ambiente, della laicità, della cultura.

È necessario, da un lato, diffondere la cultura di genere a partire dalle giovani, anzi giovanissime generazioni, formando i ragazzi e le ragazze alla cultura del rispetto, dell’identità e della differenza, e dall’altro agire sul fronte assai pragmatico delle cose concrete. Alle donne servono servizi sociali, asili nido, servizi per l’infanzia, assistenza ai non autosufficienti, istruzione, informazione, trasporti pubblici, centri antiviolenza, consultori, sostegni all’occupazione e alla formazione professionale…

Gestire le poche risorse pubbliche sopravvissute ai tagli generalisti del governo implica scelte politiche forti, priorità chiare. E dove i servizi esistono è necessario farli funzionare bene, renderli fruibili ad un maggior numero di donne, e quando è possibile metterli in collegamento tra loro, costruendo sistemi integrati in grado di soddisfare capillarmente ed efficacemente le esigenze, contrastando la solitudine sociale cui le donne per prime sono condannate in questo inizio di ventunesimo secolo. In questo senso vanno intese le iniziative del partito della Rifondazione comunista sull’istituzione di un reddito sociale, proposta concreta di una politica economica e sociale alternativa al neoliberismo, e la definizione di un Piano Regionale del Lavoro, un piano di investimenti in innovazione e ricerca a sostegno dell’occupazione soprattutto nei settori strategici dell’economia regionale. Da qualche parte si dovrà pur cominciare; perché non da qui?

Patrizia Proietti
Segreteria regionale PRC

 

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