I “luoghi specchio”. Di Paolo Felici
Esistono dei luoghi che hanno la capacità di farci capire la vita meglio di qualsiasi altra cosa, proprio come uno specchio è capace di farci vedere per quello che siamo fisicamente. Se hai la fortuna di capitarci te ne accorgi dal fatto che, inizialmente, ti senti come se fossi stato preso a braccetto da una sorta di cicerone cordiale, invitato a trattenerti; poi, non hai voglia di andartene, e quando lo devi fare lasci quel posto rinfrancato nell'animo, scevro dai paraocchi che ti indossi solitamente la mattina prima di affrontare la giornata.
Esistono dei luoghi che sono come punte fuori dalla nebbia nelle giornate serene invernali; di questi, l'Umbria, ne ha in abbondanza. Sono dei “luoghi specchio” e riflettono il nostro animo migliore, i momenti più illuminati della nostra umanità. Conservano intatti intendimenti e progetti, spaccati di vita passata, intrapresi ad un ritmo che permetteva ancora di vivere: realizzando, riposando e godendone i frutti.
Mi viene in mente l'esempio di Montevibiano vecchio, uno di questi luoghi. Si trova prendendo una delle strade che portano fuori Perugia, verso Marsciano, dopo Spina, in quei posti dove qualche tempo fa il terremoto ha ricordato la sua presenza. Montevibiano si trova in un ambiente che non ti aspetti così vicino al capoluogo umbro, in quanto le colline abbandonano repentinamente il loro aspetto spinoso, irto, quasi montagna, per lasciarsi a curve docili, femminee, come in un pezzo di Toscana. In una delle strade che si alzano e si abbassano lungo questi dossi, se non sei troppo distratto dall'intorno, devi svoltare per Mercatello e poi salire fino ad incontrare quello che rimane del castello di Montevibiano. Da qui si aprono belvederi su un'Umbria diversa, ripulita dalla dispersione edilizia a cui siamo abituati. Hai subito la sensazione di stare bene; gli obiettivi della giornata, mai rispettati, li lasci scappare senza rancori, ritenendoli non più importanti. Ti trovi in un luogo antico, che gli etruschi e poi i romani hanno colonizzato. Si incrociano le vicende della famiglia Vibi, che edificò il castello in epoca medievale. Vi si rifugiarono alcuni nobili perugini che avevano congiurato contro i “raspanti”, la corporazione della borghesia artigiana al governo di Perugia, togliendo l'obbedienza alla città. Il Papa, con i suoi capitani, riconquistarono il castello ordinando che fosse scaricato fino ai fondamenti, mostrando la stessa mano che centinaia di anni dopo il popolo rivolse nei suoi confronti, quando distrussero la Rocca Paolina. I Vibi poterono ricostruire più in basso, in un altro “luogo specchio”, che si chiama Montevibiano nuovo.
Intorno al castello c'è un nucleo abitativo ottocentesco, a memoria di un passato che i vecchi rimasti ricordano con nostalgia: “si aveva poco niente, ma quanta allegria!” I proprietari dei terreni si erano organizzati, concentrando il costruito, edificando una chiesetta, una scuola, uno spaccio, attività sociali a supporto loro e dei contadini. A star lì, in uno dei belvederi, si possono ancora immaginare i bambini che percorrono chilometri di stradine sterrate per andare a scuola, i contadini sempre in giacca e con il vestito buono la domenica, il lavoro nei campi, il riposo, l'estate, l'inverno, il giorno e la notte; aspetti che oggi sfuggono, insieme al tempo che non si riesce ad afferrare.
A Montevibiano c'è il sapore di un vissuto sano; ci sono i segni di passaggi artistici significativi, come quelli lasciati da Gerardo Dottori, che prima di diventare famoso, viveva passando mesi di villa in villa ad affrescare, come è accaduto nel palazzo Cesari-Tiberi. Si rimane incantati talvolta dai soggetti, come la raffigurazione delle aree industriali, talvolta dalla leggerezza e dalla tecnica, come il volo degli uccelli e i volti di donna.
La mattina, prima di affrontare la giornata, bisognerebbe specchiarsi in bagno e in questi luoghi, sciacquando la faccia e l'anima da perniciosi e quotidiani intendimenti.
Paolo Felici, paolo_felici@alice.it
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