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di Isabella Rossi Per secoli e secoli la disparità di trattamento fra uomini e donne ha trovato fondamento dogmatico, successivamente è stata legittimata attraverso credenze “scientifiche” come quella del pensatore, saggista e politico inglese Francesco Bacone, il quale invitava a dubitare di tutto “se l'uomo vuole cominciare con certezze, allora finirà con dei dubbi; ma se sarà contento di cominciare con dei dubbi, allora finirà con certezze” fuorché dell’unica verità per lui certa: “la scienza è impresa da gentiluomini”. Il filosofo empirista della rivoluzione scientifica non era tuttavia avaro di pensieri sulla destinazione sociale delle donne: “Le donne sono amanti per gli uomini giovani, compagne per la mezza età, infermiere per i vecchi.” Era ancora il 600 e mentre l’inquisizione condannava al rogo donne ree di conoscere i segreti delle erbe curative, la neonata scienza proclamava la loro inadeguatezza alle professioni mediche. Da allora ne è passato di tempo ma la vera rivoluzione, da un punto di vista sociale e antropologico la più grande di tutti i tempi, è avvenuta nel XX secolo. Le Costituzioni dei paesi democratici occidentali, hanno riconosciuto per la prima volta (a partire dalla Finlandia nel 1906 fino al Portogallo nel 1976) non solo il diritto di voto al genere femminile ma la parificazione dei diritti civili tra uomini e donne. Un punto di non ritorno nel progresso della civiltà, l’unico vero confine tra stato fondato sulla violenza militare e stato di diritto. Da allora il progresso civile ha realizzato un concetto di democrazia fondato sulla parità dei generi non perfezionando ma letteralmente rivoluzionando quello antico che escludeva dal “demos” metà dell’umanità, quella di genere femminile. Ora che la consapevolezza dei diritti umani è cambiata radicalmente al progresso civile continua ad opporsi una barbarie che, tramite la politica riesce ad agire senza bisogno di legittimazioni dogmatiche o pseudo scientifiche. La perdita del progresso civile non è un problema delle femministe, né un problema della sinistra. E’ un arretramento universale che interessa la società civile in maniera trasversale. Il lavoro di cura, in Italia statisticamente tutto a carico delle donne, ha un valore economico molto rilevante per le casse dello stato ma non produce effetti sui redditi delle donne. Non accelera la pensione, non dà diritto ad indennità, né a riconoscimenti di nessun tipo. Anzi è causa di ulteriore discriminazione delle donne nel mondo del lavoro. La barbarie attribuisce, attraverso vari meccanismi di discriminazione e delegittimazione, un ruolo di subalternità alla donna per poter continuare a sfruttarla economicamente. Per fare questo gli basta servirsi attualmente della politica. L’aumento dell’età pensionabile delle donne in Italia senza l’equiparazione del reddito prodotto dal lavoro di cura femminile, ai fini della contribuzione previdenziale, è assimilabile ad una rapina. Riporta la civiltà indietro nel tempo a quando un gruppo di operaie che reclamavano i propri diritti vennero uccise barbaramente nella fabbrica dove erano quotidianamente sfruttate. Non in nome di Dio ma del vile denaro. Era l’8 marzo. Condividi