Meltini/Trucidati e gettati nella concimaia.Morte e oltraggio, per 5,senza colpa
Elio Clero Bertoldi
La signora Emma, anziana e malata, restò sola in un nascondiglio improvvisato accanto alla riva del Tevere. I figli e i parenti non potevano portarsela dietro, in quelle ore. "Dobbiamo andare a cercare qualcosa da mangiare - le avrebbero spiegato - tu resta qui, al sicuro". La rassicurò anche Romolo, il postino, corpulento e pacioso, sempre socievole e sorridente, il più maturo del gruppo. Ma le ore e i giorni passavano e i cinque non tornavano indietro. Nessuno sapeva dare, alle sue domande pressanti, reiterate, angosciate, una risposta di dove fossero finiti Giovanni e Emilio Giulietti, Luigi e Domenico Bioli e Romoli Carbini, tutti di età compresa tra i 43 e i 54 anni, che abitavano con lei a Meltini, vicino a San Paterniano, Alta Val Tiberina.
Fu un'anatra che, raspando e beccando in cerca di cibo nella concimaia, scoprì - cinque giorni dopo l'atroce strage - una mano che sporgeva e, con essa, l'orrore: i corpi dei cinque civili trucidati erano stati gettati e poi ricoperti - estremo gesto di oltraggio - col letame.
Gridò la sua disperazione, Emma, alla ferale notizia. Lo stesso "urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocefisso al palo del telegrafo", per dirla con le parole della toccante poesia di Salvatore Quasimodo.
Come avevano potuto i tedeschi che erano rimasti, per di più, nei cascinali dei Giulietti e dei Bioli per quasi un mese e mezzo, dalla fine di maggio fino alla prima metà di luglio, assassinare a freddo cinque persone che pure avevano frequentato, con i quali avevano parlato, che si erano dimostrati con loro cortesi e disponibili? E tutto questo nonostante si fossero visti confiscare le loro case, dove si era installato il quartier generale della Wehrmacht della zona?
La tragedia si consumò tra il 12 e il 13 luglio 1944. Mentre gli Alleati, da sud, avanzavano e l'esercito tedesco era costretto a ripiegare verso la linea Gotica.
Il comando nazista aveva costretto i maschi adulti a scavare buche nel terreno per minare il terreno e rallentare così l'avanzata degli anglo-americani. Il lavoro era stato completato, ma nel timore di uno scontro imminente, anticipato dai colpi dei mortai e dei cannoni, i gruppi familiari, imparentati tra di loro, decisero di tentare la fuga. Conoscevano il terreno e tutti gli anfratti e avevano buone possibilità di successo, dunque. Ci riuscirono, in effetti. Tuttavia, privi di scorte alimentari, gli adulti provarono a tornare indietro per racimolare rifornimenti e fu in questo frangente, evidentemente, che caddero in mano ai tedeschi.
Cosa successe esattamente in quelle ore, quale fu la loro dolorosa "via crucis", nessuno ha saputo ricostruirlo. L'eccidio non ebbe testimoni. Di certo i corpi presentavano ferite di arma da fuoco e i crani fracassati, con ogni probabilità, con i calci dei fucili.
Tra le ipotesi avanzate - a fine guerra - quella che i nazisti avessero affidato ai cinque il controllo di un girovago, arrestato nel corso di un rastrellamento, che però era fuggito: una leggerezza o una omissione addebitata ai guardiani improvvisati, che avrebbero così pagato con la loro vita la fuga dell'ostaggio. Altre ricostruzioni sostengono che il comando tedesco avesse fatto ricorso agli stessi sistemi che, nell'antichità, i faraoni e i tiranni in genere usavano contro architetti e costruttori per impedire che venissero scoperti i nascondigli dei loro tesori o delle loro tombe: la soppressione, tout court, dei testimoni. Nel timore che i contadini potessero rivelare e segnalare agli anglo-americani i punti minati, il comando nazista avrebbe decretato, con fredda, feroce determinazione, il barbaro multiplo assassinio.
Qualunque sia stata la motivazione l'eccidio di Meltini - anche questo rimasto purtroppo impunito - suona come una ulteriore, agghiacciante conferma della inumana ideologia hitleriana, per la quale la vita di un uomo non rivestiva alcun valore.

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