di Stefano Vinti

La battaglia che ha segnato la sorte della seconda guerra mondiale, dove le armate del Fuhrer subirono la sconfitta decisiva grazie all’Armata Rossa, all’eroismo della popolazione civile, alla tenacia del Partito Comunista dell’Unione Sovietica.
Stalingrado, l’odierna Volgograd, fu teatro della più lunga e sanguinosa battaglia della seconda guerra mondiale, uno scontro che durò dall’estate del 1942 all’inverno del 1943. Il 22 novembre, per quasi 300 mila uomini della Wehrmacht e dei suoi alleati, chiusi in una sacca dalle armate sovietiche, iniziò un tragico conto alla rovescia.
L’esercito tedesco fu sconfitto dalla incredibile resistenza sovietica e dalle condizioni ambientali insopportabili, il freddo, la fame e le malattie oltre che dalla ostinazione di Hitler, folle e sanguinaria, di non ritirarsi e di non prendere atto che la città dedicata a Stalin era inespugnabile. La città divenne un incubo, un cumulo di macerie, un inferno vero.
Il 2 febbraio del 1943, contravvenendo all’ordine del Fuhrer di resistere ad ogni costo, si arresero centoventimila, sopravvissuti, soldati tedeschi.
Solo in 6 mila tornarono a casa alla fine della guerra.
Dopo altre cinque mesi di battaglia, il più infernale mattatoio della storia umana, contava più di un milione e mezzo tra morti e feriti. Dei 77 soldati italiani che avevano partecipato all’assedio se ne salvarono solo 2.
La vittoria degli alleati nella seconda guerra mondiale è iniziata a Stalingrado, grazie al sacrificio di centinaio di migliaia di soldati e di civili sovietici, lì ebbe finalmente inizio il tracollo del Terzo Reich.
L’umanità era stata liberata da un incubo.

 

Dal Diario di un tenente della 24° Panzerdivision: “Mio Dio, perché ci hai dimenticato? Stalingrado non è più una città. Ogni giorno che passa si trasforma in un enorme nube di fumo accecante e bruciante. E’ una vasta fornace illuminata dal riflesso delle fiamme. E quando cade la notte, i cani si buttano nel Volga e nuotano disperatamente verso l’altra sponda.”
Nel luglio del 1942 l’Armata italiana in Russia contava circa 230.000 uomini, più autoveicoli, carri, materiali vari e animali. Per il trasporto furono necessari 200 convogli ferroviari.
In seguito all’offensiva sovietica del dicembre di quell’anno, cominciò una disastrosa ritirata che continuò per centinaia di chilometri nella sterminata pianura russa: ogni giorno duri combattimenti, gli attacchi dei partigiani sovietici e dell’Armata Rossa falciarono migliaia di soldati. Al resto ci pensò il gelo. I soldati italiani furono mandati al macello dallo stupido regime fascista e dall’ottusità e dal servilismo di Mussolini nei confronti del nazismo. Male armati, peggio equipaggiati, in condizioni disumane, 70.000 vennero fatti prigionieri e la maggior parte morì nei campi di prigionia, con il marchio infame di invasori.

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