Antonio Monaco - Fazio, non bastano trenta minuti di televisione, a fronte di anni di colpevoli e irresponsabili incomprensioni, per rendere giustizia dello stato di degrado a cui è giunta la scuola italiana, insieme alla qualità stessa della sua formazione. Tagliati gli ormeggi ed abbandonata in mare aperto ognuno, compreso il nostro Ministro, se ne fa, oggi come ieri, consigliere e maestro di salvataggio, mentre la “nave” rischia una inesorabile deriva. La verità è che poco si è volutamente fatto per leggere quello che veramente succedeva ed ancora succede nelle centinaia di aule fatiscenti e tra gli arredi, si fa per dire, troppo rattoppati che ospitano una popolazione scolastica che da trenta anni cambia continuamente pelle volto e cultura. Basterebbe questa semplice rilevazione, di ordine antropologico, perchè la scuola, nelle sue funzioni politiche, abbandonasse la riproposizione di antiche formule organizzative e desse nuovo flusso ad inediti contenuti che in modo insistente bussano alle porte di una nuova ed intelligente sensibilità generazionale. La necessità di riposizionarsi, di ritrovare il nesso comunicativo di risintonizzarsi con i nuovi soggetti educanti, pena il fallimento stesso della scuola, è divenuto pertanto irrinunciabile. Già la traduzione in scala di una scuola gentiliana, all’indomani degli anni 60 dello scorso secolo, male si adattava ad una platea scolastica che, figlia del popolo e di differenti classi sociali, era portatrice di una diversa predisposizione antropologica e mentale. Poco si fece, ad iniziare da allora, per sperimentare e trovare strumenti e metodologie adeguate, per convogliare contenuti, anche gentiliani, nelle nuove sensibilità sociali. Ancora oggi ripetiamo questo errore. Ci sfuggono le continue trasformazioni che avvengono nell’avvicendamento delle platee scolastiche, non ne comprendiamo nè aspirazioni e nè psicologia. Basti vedere la sordità che abbiamo mostrato verso le ondate migratorie succedutesi dagli anni novanta ad oggi e che nella ricerca dei una loro “terra promessa” hanno riversato nelle nostre scuole una moltitudine di sensibilità, ad iniziare da quelle dell’est europeo, del continente africano, dei paesi dell’America latina per aggiungere quelle ancora più marcatamente diverse provenienti dall’India, dalla Cina e dal sud est asiatico. Bene, quali sono stati, a scuola, i loro punti di riferimento comunicazionali,le loro occasioni socio affettive, i modelli di comportamento per questa enormità di giovani: quelli della nostra popolazione scolastica che già soffriva di un difetto di formazione che che si è purtroppo consolidato negli anni a causa di una miopia educativa e progettuale delle nostre classi di dirigenza politica. Da qui un bisogno di un’analisi di retrospettiva che ne rilegga e ricostruisca i passaggi critici, non per pura speculazione accademica , ma per recuperare efficienza e funzionalità di un modello scolastico che renda tutti partecipi e protagonisti di una società che si nutre del concorso di tutti senza escludere alcuno. Ciò sarebbe l’inizio di un evento estremamente democratico, auspicabile per tutte le forme di governo a venire perchè quanto più si è democratici tanto più ci si deve nutrire di democrazia culturale e partecipativa. Ritornando alla scuola gentiliana, quella per i soggetti sociali predisposti ed agevolati dalle condizioni economiche e dalle facilitazioni culturali, quella c’è sempre stata e se non in Italia, c’è stata e c’è, oggi più che mai, all’estero, vedi Cambridge in Inghilterra e l’M.I.T negli U.S.A., solo per citarne emblematicamente alcune. Qui non si va ad imparare, per ben che vada, la grammatica inglese, qui si va ad apprendere e tradurre lo spessore e la concettualità tecnica e culturale di chi deve essere classe dirigente di un paese, magari Ministro dell’Istruzione oppure Presidente del Consiglio. Il dramma è che nelle proposizioni politiche di costoro ci saranno sempre e solo aggiustamenti tecnico-ragionieristici, in quanto , nel loro dire e nel loro fare, i conti di pochi mal si sposano con i vantaggi di tutti. Tuttavia, solo una scuola, quella che odora delle fatiche e delle contaminazioni etniche -di docenti e allievi- utenticamente inter e transculturali, quella delle trincee dei grandi agglomerati di Palermo, Bari, Napoli fino all’estremo nord della penisola, solo quella scuola, riappropiandosi di ciò che economicamente le è stato tolto, potrà segnare la propria rinascita.

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