di Matteo Pucciarelli

 

La notizia è del dicembre scorso: la Procura di Palermo ha riaperto un filone dell’inchiesta sull’omicidio di Giuseppe Impastato, il cui caso ha forse segnato l'inizio della trattativa fra mafia e Stato (questa è l'ipotesi che adesso seguono i magistrati). Il giovane militante di Democrazia Proletaria venne ucciso nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978. Il giorno del rapimento di Aldo Moro. Peppino con Radio Aut denunciava il potere democristiano e mafioso del suo paese, Cinisi. A pochi chilometri da Palermo. Lo faceva con intelligenza e ironia: un comunista scomodo, poi diventato icona pop grazie soprattutto al film I Cento Passi. Ma prima del film c’è stato molto altro.

In tempi di antipolitica galoppante e pessimi esempi istituzionale, il libro "Peppino Impastato anatomia di un depistaggio" (Editori Riuniti) curato da Giovanni Russo Spena, sussume un doppio valore: quello della memoria, e quello dell’altra politica, la buona politica. Il volume è una riproposizione della relazione della Commissione parlamentare antimafia presieduta dall’ex senatore di Rifondazione Comunista. La quale fece luce – prima dei film, dei documentari e delle canzoni impegnate – sulla verità prima di ogni sentenza: Impastato faceva comodo morto. E per questo sia le forze dell’ordine sia la magistratura depistarono le indagini.

 

Il lavoro della Commissione fu di inchiesta, quindi. Un’inchiesta parallela, e che portò a casa risultati significativi. Fatta (anche) con e di intensi “interrogatori” verso chi, in quei giorni e in quei mesi del 1978, non fece il proprio lavoro. Perché – dissero allora - Impastato era un terrorista che voleva far saltare i binari del treno diretto a Messina; anzi no, perché Impastato era stanco di vivere, si era suicidato, come voleva far credere il generale dei carabinieri Antonio Subranni, anni dopo accusato dalla moglie di Borsellino di essere un mafioso (nel libro c’è anche il verbale della sua audizione, dove il generale prova a divincolarsi come può).

Dal 1998 in poi la Commissione svela uno ad uno i passaggi oscuri della vicenda. Alcuni rasentarono l’assurdo: tipo Provvidenza Vitale, la donna che era di turno al passaggio a livello lì a due passi da dove venne ucciso Impastato quella notte. Nessuno la cercò realmente, «si è trasferita negli Usa, è irreperibile», scrissero i carabinieri. Invece no, aveva sempre abitato a casa sua, a Terrasini, a pochi chilometri da Cinisi. «Riesaminammo gli atti e riascoltammo il maresciallo dei carabinieri, il dirigente della Digos, l’allora pretore di Carini e il procuratore aggiunto e dalle pagine della relazione risulta confermato, ma questa volta in un’autorevole sede istituzionale, quanto già sapevamo: indagini a senso unico, il ripristino frettoloso della linea ferroviaria, violazioni di legge nell’eseguire perquisizioni e sequestri di materiali nelle case dei familiari e dei compagni di Impastato, nel dare informazioni alla stampa, reperti come le chiavi e le pietre macchiate di sangue spariti», scrive Umberto Santino, presidente del centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”, nell’introduzione del libro.

 

La Commisione diretta da Russo Spena – che era stato segretario nazionale di Dp: per lui l’accertamento della verità divenne quasi una missione – era composta da, tra gli altri, Michele Figurelli, Giuseppe Lumia, Nichi Vendola e Gaetano Micciché. «La linea scelta nell’accertamento delle cause e degli autori dell’assassinio è il frutto di un atto positivo di volontà, di una precisa scelta. Non negligenza o inerzia, ma scelta consapevole di non vedere la sfida della mafia e lucida decisione di lasciare inesplorati il sistema e i poteri criminali di quel territorio», spiegò la relazione. La verità processuale arrivò pochi anni dopo: nel 2001 la condanna a 30 anni di Vito Palazzolo, autore materiale del delitto; nel 2002 l’ergastolo per il boss Gaetano Badalamenti, il mandante.

Il volume quindi ripercorre tutte le tappe della vicenda. Racconta il ragazzo e attivista dell’antimafia sociale Impastato, le trame di Cosa Nostra sin dagli anni ’60, le collusioni e le connivenze, il lavoro e la ricerca spesso controvento degli amici, dei compagni e dei parenti della vittima.

 

Ma il senso del libro va ben oltre il caso Impastato: la politica istituzionale, quando ha voluto, è stata capace di scrivere la storia, invece di subirla; è stata capace di indicare la via ai magistrati, invece di venirne travolta fra avvisi di garanzia e conflitti di attribuzione. I capitolo bui di questo Paese sono ancora tanti: Portella della Ginestra, piazza Fontana, la stazione di Bologna, il G8 di Genova, per ultima la trattativa fra Stato e mafia. E così ripetere l’esperienza di quella Commissione potrebbe aiutarci a credere che, come dice la canzone, «la storia non ha nascondigli, la storia non passa la mano».

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