di Luciano Della Vecchia, Segreteria Regionale Prc-FdS Umbria

 

Dopo i dati dell'Istat e della Cgil arrivano quelli dell'Ocse: i salari italiani sono fra i più bassi d’Europa. Siamo al 23esimo posto su 34, dietro anche a Spagna ed Irlanda. La crescita tendenziale inoltre è la più bassa almeno dal 1983, ovvero dall’inizio delle serie storiche. Non solo. Il nostro Paese, sempre secondo l'Ocse, occupa il sesto posto rispetto al peso delle tasse sui salari che è del 47,6%, mentre la media europea si attesta al 35,3%. In altri termini nel bel mezzo della crisi, delle manovre recessive del governo Monti, che continua a spendere risorse per gli armamenti e si guarda bene dall'introdurre la patrimoniale, e dell'attacco ai diritti del mondo del lavoro esemplificato dalla manomissione dell'articolo 18, riemerge con forza una drammatica questione salariale. Una questione che poi nella nostra regione è ancora più grave e non più rinviabile: salari, stipendi e pensioni sono inferiori di circa il 15% rispetto alla media nazionale. Ritengo che questa situazione non sia solo causa di maggiori ingiustizie sociali e di impoverimento di larghe fasce della popolazione, ma anche della stessa crisi e del declino dell’economia e dell'apparato produttivo. Questo perchè è del tutto evidente che una certa carenza di domanda interna trova la sua causa fondamentale nella compressione dei consumi. I bassi salari e la continua ricerca del costo del lavoro più basso hanno rappresentato e rappresentano i fattori frenanti del processo di riqualificazione tecnologica e settoriale del nostro apparato produttivo. Così le imprese hanno continuato a fare profitto grazie alla debolezza della dinamica salariale, spostando le risorse verso la finanza e la rendita parassitaria. Del resto con gli accordi del luglio 1992 si smantellò la scala mobile e con gli accordi del 23 luglio 1993 venne ridisegnato il sistema contrattuale, inaugurando la stagione della concertazione e della cosidetta “politica dei redditi”. Il contratto nazionale di categoria avrebbe dovuto assolvere compiti di recupero dell’inflazione, mentre il contratto aziendale gli incrementi di produttività. Ora, lo stesso contratto nazionale è stato lentamente, ma di fatto demolito. A questo aggiungiamo la pratica dei mancati rinnovi e delle una tantum in barba all’articolo 36 della Costituzione che impone la adeguata retribuzione. Il risultato: negli ultimi venti anni i salari reali sono diminuiti a vantaggio dei redditi da capitale con una diminuzione del potere d'acquisto dei lavoratori rispetto al costo della vita di circa il 25%. In questo senso c'è di sicuro una forte responsabilità delle organizzazioni sindacali e della loro natura attuale, soprattutto di quelle che, come nella nostra regione, sono sempre pronte ad attaccare la politica e le Istituzioni e molto attente a ridurre il conflitto sociale con le imprese. Ecco, penso che un passo essenziale per bloccare la caduta dei salario e procedere verso una equa distribuzione del reddito sia la reintroduzione di un nuovo meccanismo di indicizzazione di salari e pensioni all’inflazione. Questo per impedire che il salario di un lavoratore possa essere tagliato in modo unilaterale dall'impresa e dall’aumento dei prezzi. Certo, credo che anche gli Enti locali della nostra regione debbano fare la propria parte, intanto prendendo in seria considerazione la possibilità di un mancato rispetto governato del Patto di Stabilità, una misura ingiusta che oggi stritola gli Enti a tutto vantaggio di un'Europa neoliberista e privatizzatrice. Per fare cosa? Per bloccare l’aumento delle tariffe pubbliche, per continuare a garantire ai cittadini uno stato sociale fatto di servizi, sanità, diritto allo studio, ma anche per scongiurare il vero affare sul quale si abbatte la pervicacia delle politiche neoliberiste europee e mondiali, cioè quelle privatizzazioni che hanno innalzato le tariffe e non hanno migliorato le prestazioni. La lotta all’evasione fiscale poi (enorme anche in Umbria) è la chiave di volta per il reperimento delle risorse necessarie per il potenziamento dello stato sociale, per la stabilizzazione dei lavoratori precari, per aumentare la sicurezza sul lavoro, per sostenere un nuovo sviluppo economico di qualità. L’evasione fiscale non è infatti un fenomeno neutro sul piano sociale. La ritenuta alla fonte per lavoratori dipendenti e pensionati determina l’impossibilità di sottrarre il proprio reddito al fisco. In questo modo, il carico fiscale complessivo è squilibrato e pesa su lavoratori e pensionati. Una forte volontà politica e amministrativa consentirebbe di ottenere risultati rilevanti anche su questo terreno. Insomma, dai dati Ocse è oramai chiaro che i bassi salari sono una vera e propria emergenza e che occorre aumentarli per far ripartire i consumi. Questo si deve coniugare con una drastica riduzione della precarietà che, togliendo potere contrattuale a chi lavora, rappresenta una delle cause fondamentali degli stessi bassi salari. Esattamente il contrario della riforma del mercato del lavoro proposta da Fornero, che si caratterizza invece per l'aumento della precarietà, l'eliminazione dell'articolo 18 e l'azzeramento degli ammortizzatori sociali. Ecco perchè occorre ristabilire le priorità dell’agenda politica umbra e italiana, che fissi con nettezza e senza ambiguità la centralità della questione del lavoro insieme ai temi della sicurezza e dei bassi salari quali priorità ineludibili. Si tratta di una grave questione di democrazia che la politica, a tutti i livelli, deve affrontare e risolvere. In questo senso le forze politiche della sinistra anche nella nostra regione hanno la responsabilità enorme di ricostruire un punto di riferimento unitario per il mondo del lavoro, dal momento che il Pd non solo ha scelto come tratto fondante della sua identità l’equidistanza tra impresa e lavoratore, negando di fatto la subordinazione del lavoratore, il suo essere dipendente, ma si sta anche rendendo responsabile di garantire l'appoggio al governo Monti, un governo in continuità con le politiche di Berlusconi, antipopolare e che scarica la crisi su lavoratori, pensionati, artigiani, precari, studenti e disoccupati.

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