L’antifascismo è politica
di Andrea Fabozzi
Per la seconda volta in una settimana, ma ieri con più forza celebrando il 25 aprile, il presidente della Repubblica si è speso per una causa all’apparenza già persa: la difesa dei partiti. Lo ha fatto riconoscendo la gravità del momento e utilizzando parole pesanti; ha parlato di «marcio da estirpare». Dai partiti, s’intende. Il presidente è preoccupato. Il livello di «rabbia» verso la politica, ha detto, è tale che si rischia di «cadere in abbagli fatali». Il riferimento è addirittura al fascismo. Di cui Napolitano ha evidenziato – ricorrendo alle parole di un martire – la «ventennale diseducazione alla politica» e la sciagurata idea che «la politica è lavoro di specialisti».
L’allarme è giustificato. Ma è bene ricordare che la partecipazione alla politica non si è mai esaurita nei partiti. Nemmeno quando le organizzazioni erano di massa e vivevano tempi felici. È ancora così, specie di fronte alla crisi. L’adesione di ieri alle celebrazioni, ai comizi e ai cortei per l’anniversario della Liberazione testimonia una vitalità politica che i partiti hanno perso da tempo. In tutto il paese si è manifestata una sinistra – radicale nelle parole d’ordine – in gran parte fuori dalla portata delle organizzazioni attuali. Una sinistra giovane e spesso in contrapposizione alla scialba rappresentanza parlamentare. Berlusconi non c’è più ma c’è Monti. E se il primo era una minaccia ai valori di libertà del 25 aprile, il secondo è un pericolo dal punto di vista della difesa dei diritti. Lo straordinario successo della giornata di ieri dimostra quanto sia sentito il legame tra le due eredità della Resistenza, libertà e giustizia sociale. La sintesi è nella Costituzione.
Inquadrato dalla prospettiva di chi, come il capo dello stato, teme l’onda qualunquista, il 25 aprile 2012 offre motivi di speranza. A patto di riconoscere che la giornata non si è nutrita di generici appelli all’unità nazionale, non è cresciuta sulla sterilizzazione di ogni spirito partigiano. Al contrario, si è radunata attorno a ragioni che restano divisive. Vale per le contestazioni alle politiche inique del governo, che qualcuno sta pur votando in parlamento. Vale a maggior ragione per la polemica dell’Anpi con Alemanno e Polverini a Roma e per i fischi di Milano. Non capricci da liquidare con un rimbrotto sul Colle, ma la prova che la politica ha ancora un senso. Accarezzare il pelo ai nemici della libertà e poi sfilare con i partigiani non si può, perché la carica istituzionale non è una corazza e ci si può guardare dentro. Chi veramente vuole salvare la buona politica farà bene a partire dall’antifascismo, che non è una questione filosofica almeno fin quando ci sono in giro i fascisti. Non su Marte ma, a Roma, nelle sedi pagate dal comune e nelle aziende municipali.
Fonte: Il Manifesto




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