di Stefano Galieni

PERUGIA - Parlare dei giorni di Genova 2001, della mattanza della Diaz, delle torture di “Bolzaneto”, significa gettare del sale su una ferita mai chiusa per una generazione. Il film di Daniele Vicari recentemente uscito nelle sale, ha riacceso discussioni e passioni. L’intervento di Vittorio Agnoletto che di quei giorni fu tra i protagonisti è stato di critica dura, puntuale e precisa al film e alla lettura delle vicende che questo determina e ha portato produttore e regista a reagire. In molti sono poi a vario titolo intervenuti nel dibattito, soprattutto dalle pagine del Manifesto e in rete, abbiamo chiesto a Vittorio Agnoletto che spiegazioni si dà di queste reazioni. Agnoletto, risponde in maniera molto particolareggiata e nello spiegare le proprie divergenze cita uno per uno i personaggi che furono al centro di quelle vicende. Nomi che riemergono e che non sono mai spariti dalla gestione degli apparati repressivi.

«Io credo che il motivo principale di tanto clamore risieda nel fatto che ho colpito nel segno. Nella montagna di risposte (e di attacchi personali) che mi hanno lanciato soprattutto Procacci e Vicari ho trovato tanta violenza ma una assoluta assenza di risposte rispetto ai punti che ho sollevato. Hanno anche cercato di modificare quanto ho detto e scritto. Ad esempio io ho criticato le immagini del film in cui si vedono i Black Bloc nella scuolaDiaz e tutta la storia inventata del ragazzo nero che prima è inquadrato mentre sfascia i negozi con i Black Bloc e poi va avanti e indietro dalla Diaz. La mia critica ha una ragione molto semplice: quella ricostruzione non solo non corrisponde al vero ma lancia anche il messaggio che Black Blok e GSF erano contigui, che è esattamente la stessa tesi sostenuta dal governo di allora, come è evidente anche dal discorso di Berlusconi alla fine del film. Non ho certo detto che se ci fossero stati dentro i Black Blok allora la polizia avrebbe potuto fare quello che voleva. Ma Vicari e Procacci si rifiutano di rispondere alla mia contestazione e fingono di non capire. Credo di aver posto critiche corrette e non dico affatto di non andare a vedere il film. Con il potere di informazione che hanno Procacci e la Fandango non riesco a capire il perché di tale irruenza, perché le loro reazioni si sono trasformate in insulti. Secondo me su questo bisogna riflettere».

In “Diaz” convivono due elementi: una rappresentazione tremenda ed esemplare della violenza usata dalle forze dell’ordine e contemporaneamente la eliminazione del contesto in cui si svolge e delle responsabilità di chi le ordinava

«La violenza è rappresentata in maniera efficace, anche se in quei giorni fu ancora più scellerata. Credo che questo aspetto rappresenti il punto forte del film, colpisce le mente e il corpo. Vedere impedisce di dimenticare e questo è sicuramente importante. Poi però quando si parla di sospensione del diritto manca il soggetto: chi è che ha sospeso il diritto? Chi ha sospeso la Costituzione? Se non si definisce questo oltre che la decontestualizzazione si va verso la deresponsabilizzazione e in questo vedo un grosso vulnus. Io riconosco il merito di questo film ma avrei voluto che oltre a far vedere fosse stato realizzato anche per dire “chi lo ha fatto accadere”.

Su Paese Sera è uscito il racconto emozionato di un agente di polizia che ha visto il film e che, apprezzandolo, ha voluto però insistere rispetto alla catena di comando che ha deciso quegli avvenimenti

«Inevitabile porsi il problema. Non c’è nulla di organizzato più verticalmente che una struttura di polizia. Basti pensare che delle centinaia di poliziotti che hanno fatto l’irruzione alla Diaz nessuno è stato espulso eppure tutti costoro sottostavano ad una precisa linea di comando. Questo significa che i vertici della polizia non ritenevano di dover censurare, punire, gli autori di quelle violenze. E come sappiamo questo è naturale essendo loro i mandanti. Mi è stato detto che non c’era spazio ma non regge.
Oggi, a differenza del 2002, grazie al lavoro dei magistrati, si conoscono tutti i passaggi. Ad esempio quanti spettatori hanno capito che la telefonata che riceve il dirigente identificabile con il vice capo di polizia Andreassi e che dà il via al tutto è fatta da De Gennaro. Bastava aggiungere due parole per far capire che era un ordine che arrivava dal vertice. Oppure, quando ci sono le ripese da Bolzaneto, come si fa a rimuovere il fatto che sia transitato l’allora ministro della giustizia Castelli il quale dichiarò che era tutto a posto, che non stava succedendo nulla di strano? È al centro dei fatti in ordine cronologico, perché si sceglie di non farne menzione? Ho letto in un comunicato stampa che Procacci aveva inviato il copione all’attuale Capo della polizia Manganelli per dimostrare che non stavano facendo un film di nascosto. Ma non prendiamoci in giro! Il progetto di questo film era noto a tutti da tempo, per farglielo sapere non c'era certo bisogno di mandare la sceneggiatura a Manganelli. Perché glie l'ha inviata?».

Tu sei anche convinto che Diaz voglia far passare alcune tesi che non condividi?

«Vi sono alcuni passaggi che sfuggono ai più ma non a chi conosce bene gli atti dei processi, che di fatto , come sostiene uno dei Pm il dottor Zucca, sposano le tesi dei dirigenti di polizia imputati.
Ad esempio, nella scena in cui c’è la riunione in questura che decide l’assalto alla Diaz. Ad un certo punto si alza colui che di fatto è identificabile come il questore di Genova Colucci ed esce in cortile per chiamare il capo ufficio stampa (Sgalla). Ma nella realtà i magistrati hanno raccontato un'altra storia. Colucci ha sentito per telefono l’allora Capo della polizia De Gennaro e poi su indicazione di questi, avrebbe telefonato a Sgalla. È un passaggio centrale perché confermerebbe che De Gennaro era al corrente di quello che stava accadendo e se il capo lo sa significa che lo ha ordinato o quantomeno condivide l'azione Colucci inizialmente testimonia in tribunale a Genova quanto sopra raccontato, poi a Roma incontra De Gennaro, torna a Genova e si fa reinterrogare per cambiare versione. Colucci è sotto inchiesta per falsa testimonianza e De Gennaro per istigazione alla falsa testimonianza, ma poi la cassazione ha annullato il processo. Per una questione di tempo e di spazio il film poteva benissimo omettere l'intero episodio ma se invece scegli di inserirlo raccontandolo in quel modo rischi di accreditare la ricostruzione dei fatti sostenuta dai dirigenti di polizia imputati.
Poi c’è la vicenda che coinvolge il personaggio che chiaramente si rifà a Fournier. Nel film ne esce una figura amletica che si interroga di fronte alla mattanza. Ma Fournier nel momento in cui avviene l’ingresso alla Diaz è quello che ha il comando operativo del settimo nucleo, lui può fermare il massacro perché coordina l'unico gruppo di poliziotti collegati fra loro via radio e invece lo fa solo quando pensa che una persona sia stata uccisa. Il film sorvola sulla responsabilità di Fournier nell'attacco alla scuola e racconta invece di un uomo pronto a sollecitare i soccorsi ecc.. L’11 giugno si pronuncerà la Cassazione sui vertici di polizia e Fournier è uno degli imputati. Mi rendo conto che solo un occhio attento e molto documentato può cogliere questi aspetti ma che sono proprio elementi che rischiano di "mettere in sicurezza" (almeno nel cinema) i dirigenti che devono ancora affrontare i processi in Cassazione.
Non comprendo poi perchè siano stati modificati i nomi. I fatti sono chiari e non si rischiava nessuna querela, anche se si attende l'esito della Cassazione. Questa infatti non può cancellare quanto avvenuto e documentato, né il ruolo di chi era presente; può modificare le pene ma non la realtà. Se dovessimo seguire il ragionamento di Procacci non ci sarebbe mai stato "Morte accidentale di un anarchico" di Fo. E sono tanti i nomi che sarebbe stato giusto fare emergere, nonsolo di chi ha usato o comandato l'incredibile violenza, ma anche quelli di coloro che, come Andreassi o i due infermieri di Bolzaneto, per aver raccontato la verità sono stati messi da parte e hanno anche perso il lavoro per responsabilità degli stessi vertici sotto accusa».

Sei ancora molto indignato. Dopo una settimana ne parli ancora con grande passione

«Dopo una settimana ci provo a ragionare con calma ma poi vedo il regista, Daniele Vicari che rilascia interviste da ultrasinistro quando parla sul Manifesto della Val di Susa e poi quando va in RAI diventa improvvisamente delicato e rispettoso verso le forze di polizia. Io provo anche un grande conflitto interiore, perché da una parte ritengo che questo film vada visto ma nel contempo sono consapevole che parti importanti di veritàsono taciute e che le responsabilità sono ignorate. Non faccio critiche ideologiche ma mirate».

Non pensi che nella sua criticità il film possa essere uno strumento per parlare di quei giorni a chi non c’era?

«Proprio pochi giorni fa un professore universitario di storia pensava di proporre una tesi di laurea, una analisi comparata fra film e fatti, utilizzando un criterio prettamente cronologico e storico. Cosa è stato messo, cosa è stato tolto, cosa è stato aggiunto, cosa è stato omesso. Una cosa del genere ti porterebbe a vedere se aggiunte o omissioni sono casuali o se sono in qualche modo legate, temo che emergerebbero risultati molto interessanti; ovviamente deve essere un lavoro scientifico e fondato su fonti documentali. Penso sia una buona idea».

Ma pensi che Diaz possa produrre alcuni effetti?

«Io ho un timore. Se non dici di chi sono le responsabilità se rinunci a far presente che l’allora Capo della polizia è attualmente il capo dei servizi segreti, se non dici i rischi e le minacce che i magistrati hanno subito per giungere alla verità, se non parli di chi aveva responsabilità politiche (Fini primo fra tutti) rischi di far passare una tesi consolatoria. Nel 2001 è successa una cosa orribile, guarda come siamo liberi adesso che possiamo anche raccontarla. Invece oggi siamo esposti a rischi simili anche perché i vertici sono rimasti gli stessi. Insomma si rischia di far passare l’idea che tutto questo appartenga al passato. Non è un caso che una delle trasmissioni televisive che rappresenta il pensiero comune italiano, quella condotta da Fabio Fazio si precipita a invitare il regista dimostrando che indignazione la puoi gestire, perché non mette in discussione il potere attuale(che nelle forze dell'ordine è lo stesso del 2001) e purché si dica che, certo è stato tremendo, ma ora le cose sono cambiate. Si tratta tutto come un capitolo chiuso. Il film riapre una ferita per poterla richiudere lasciando nell’ombra chi l’ha procurata.
Sul piano sociologico quella messa in scena da Fazio è stata una espiazione di massa, per tutti coloro che in questi anni non hanno voluto la commissione di inchiesta. Io resto convinto che le vicende di Genova rappresentino un tumore e non un ascesso».

Una domanda che esula dal film: pensi che il potere di uomo come De Gennaro sia ancora determinante?

«Ti rispondo senza parlare di lui. Io credo che raramente i servizi negli ultimi decenni abbiano concentrato nelle loro mani un potere enorme come quello attuale e mai questo è stato concentrato in così poche mani. La fiducia nei partiti è al 2%, cresce la sfiducia ne governo e verso il presidente della repubblica, la macelleria sociale in atto porterà a risposte forti sul terreno sociale. Io sono convinto che il sistema politico si appoggierà completamente ai servizi di controllo e di polizia, vissuti come garanzia della tenuta istituzionale. Diventeranno insomma ancora più intoccabili. L’ esistenza di un governo tecnico, non eletto democraticamente è un altro meccanismo che indebolisce le istituzioni. La tua domanda esula dal film ma spiega perché siano rimaste poche le voci che vogliono accertare le responsabilità per il passato e per il presente».  

 

Condividi