Faber e crisi Appennino/ Dopo consiglio Fossato manca intervento governo
Una premessa necessaria. Ogni momento di partecipazione civile che rimetta insieme un comune terreno di confronto, serva al chiarimento delle situazioni e getti le basi per una mobilitazione unitaria delle Istituzioni e delle forze economiche e sociali è sempre un fatto estremamente positivo, soprattutto di questi tempi, tanto più se esso parte direttamente dal territorio e quando si pone lo scopo di affrontare la crisi economica e la questione sociale. Così è stato per il consiglio comunale aperto convocato sabato scorso a Fossato di Vico sulla crisi della Faber in particolare e più in generale della fascia appenninica.
L’avevamo d’altronde sollecitato per primi, alla notizia dell’ennesima tragedia economica dell’Appennino umbro, un appuntamento che desse il senso di una mobilitazione unitaria del territorio e costringesse ad un’azione integrata i suoi corpi civili ed istituzionali affinché si potesse fare del disastro economico ed occupazionale in cui stiamo velocemente e drammaticamente scivolando un’unica vertenza da affrontare attraverso un’attenzione ed un contributo condivisi.
Anche i primi risultati e le prime risposte, a partire da quelle finalmente venute dalla Giunta e dal Consiglio regionale, ci rendono soddisfazione rispetto alle sollecitazioni ed alle proposte che abbiamo avanzato in questi ultimi mesi, per primi e troppo spesso in solitudine. Anche in questo caso abbiamo constatato che c’è stato l’accoglimento di molte tra quelle che abbiamo prodotto. E così c’è stato il riconoscimento e la certificazione della specificità e della complessità della crisi che ha investito il nostro territorio e l’urgenza di mettere in campo delle misure straordinarie d’ordine economico e sociale: dall’accelerazione sull’accordo di programma per la Merloni, alla messa a punto di interventi specifici orientati al sostegno al reddito e alla formazione, dall’utilizzo straordinario dei fondi FAS non vincolati per questo territorio, all’individuazione di ulteriori strumenti ed interventi per la reindustrializzazione e la riconversione economica nell’area della fascia appenninica.
Siamo perciò contenti di questo primo esito, ma continueremo a vigilare e a pungolare affinché tutti gli impegni si traducano al più presto possibile in fatti concreti, efficaci ed effettivamente percettibili, anche per restituire fiducia a chi la crisi – e la globalizzazione ultraliberista – la sta pagando per davvero e pressoché in esclusiva, a partire dalle lavoratrici e dai lavoratori della Faber; proprio coloro che erano in larghissima parte assenti al consiglio di sabato scorso. Un’assenza priva di colpe, però, soprattutto alla luce di quel che è mancato in quel consiglio. La lotta per il posto di lavoro e per il mantenimento delle produzioni nella loro fabbrica l’hanno d’altronde portata avanti con coraggio e determinazione e sarebbero stati disposti a continuarla se nel frattempo non fosse invalsa la tesi che contro le decisioni di una multinazionale, per quanto ingiuste e sciagurate, ci si possa fare poco o niente, un po’ come ha detto il Sindaco Monacelli allorquando ha rimarcato che il quadro normativo dà ragione delle decisioni delle imprese: esse fanno come gli pare.
Definita dunque la cornice entro cui ci si muove in questa vertenza, lo stabilimento di Fossato di Vico chiuderà comunque, contribuendo ulteriormente alla desertificazione industriale del nostro territorio, quel poco che resta e su cui il consiglio comunale ha chiarito che è tuttora aperta la trattativa si chiama ottenimento delle migliori condizioni per l’incentivo all’esodo dei cosiddetti “esuberi”, il prolungamento straordinario del regime di cassa integrazione e l’assorbimento del più elevato numero possibile di lavoratori nello stabilimento di Sassoferrato (al massimo un’ottantina, realisticamente una cinquantina); un presidio industriale su cui in prospettiva, non diversamente da quello di Fossato, continuerà a pesare l’ombra della chiusura per delocalizzazione, anche alla luce di un piano industriale che non concede nulla a ricerca ed innovazione e di un investimento minimo di 7 milioni di euro, quasi pari alle somme che servono per pagare gli stipendi dei lavoratori umbri che vi verranno reimpiegati.
Una trattativa tuttora aperta, dunque, su cui molte delle voci istituzionali, politiche e sindacali sovrappostesi nel corso del consiglio comunale di Fossato hanno più volte richiamato le forze del territorio alla comprensione ed all’impegno unitario. E’ proprio strano questo nostro Paese: si continuano a richiamare all’unità ed alla coesione a perdere (leggi anche invito all’attenuazione dei rilievi critici se non al silenzio) tutti coloro che lottano contro ingiustizie palesi e non si rassegnano allo stato di cose presente e all’appiattimento delle politiche sulle compatibilità imposte dal mercato e dall’economia liberista, anche quando si tratta solo di celebrare funerali e rendere le migliori onoranze, come nel caso della Faber. Ma da quest’invito un po’ peloso all’unità ed all’assunzione di responsabilità, sempre nel caso della Faber ed anche nell’occasione del consiglio comunale di Fossato, si continua ad esentare uno dei soggetti che dovrebbero più e prima di altri marcare presenza e garantire contributi. Parliamo ovviamente di Confindustria. Era infatti assente sabato scorso, nonostante porti una grave responsabilità proprio nella vicenda della Faber: senza batter ciglio, ha da subito assecondato neanche l’arroganza e la decisione della multinazionale, ma le comande da essa impartite alla sua dirigenza più locale, associata all’organizzazione degli imprenditori in quanto management, non già come proprietà e centro decisionale effettivo.
Se il mondo è in mano all’impresa e il profitto detiene il primato allora diventa normale che le imprese, soprattutto le multinazionali, fanno come gli pare, ma non è certo una questione di quadri normativi, bensì delle politiche che li determinano. Un po’ come ha detto il Vescovo Sorrentino, il cui intervento, parlando di cultura e primato del lavoro, di una globalizzazione troppo spesso selvaggia e senza null’altra regola dell’arricchimento di pochi, della necessità di rifondare una buona politica coincidente con una politica per il lavoro, è stato il meno melodrammatico, burocratico, deferente e più di “sinistra” di tutti gli altri.
Ed è proprio con l’invito del Vescovo ad una buona politica per affrontare la crisi e ricostruire le condizioni per il lavoro che vogliamo chiudere, sottolineando ancora una volta quello che è mancato in quel consiglio comunale. In materia economica, di fronte alla crisi del liberismo e di fronte ai suoi effetti sociali ed occupazionali, una buona politica ha una sola traduzione possibile. Essa si declina in un sostantivo e in un aggettivo e si legge politica industriale, quella che tuttora è assente in chi si trova pro tempore a governare il nostro Paese.
L’occasione del consiglio comunale aperto di Fossato di Vico è stata ancora una volta un’occasione persa affinchè da un territorio che sta scontando pesantemente e più di altri la crisi potesse emergere una consapevolezza unitaria sulla necessità e l’urgenza di capovolgere completamente l’ordine delle priorità nelle politiche economiche e sociali del nostro Paese e si potesse pretendere un intervento diretto del Governo sia nello specifico della vertenza Faber, sia nella più generale necessità di predisporre processi di reindustrializzazione del nostro territorio, un obiettivo che non diventerebbe mai concretizzabile, neanche in misura minima, dalle sole forze istituzionali, politiche, economiche e sociali locali, senza che vi sia un impegno forte di politica industriale da parte del governo.
In entrambi i casi, non significa certo che saremmo vicini ad una soluzione: ma una nuova politica industriale che dica finalmente quali debbano essere le priorità produttive d’interesse strategico per il nostro Paese, ne sostenga attivamente l’affermazione e lo sviluppo, incentivi la riconversione ecologica, ponga un freno alla chiusura delle aziende ed impedisca la fuga all’estero di quelle in buona salute, significa realizzare una precondizione per un’inversione della tendenza. Così come nel caso della Faber l’intervento del governo sul tavolo della trattativa ad impedire che la multinazionale potesse “fare come gli pare” era, e per noi resta, una precondizione irrinunciabile per salvaguardare la produzione presso lo stabilimento umbro e i posti di lavoro.
Non c’è da scomodare Marx o lo stesso Keynes per una simile considerazione. Tutti a fare professione di liberismo? Soccorre Tocqueville allorquando richiamava l’intervento della mano pubblica e statale a dirimere le controversie e i conflitti tra capitale e lavoro, nella consapevolezza della necessità di dover compensare con esso la forza del potere economico delle imprese di fronte alla fragilità dei lavoratori e delle loro rappresentanze, soprattutto nei casi in cui fossero così evidenti le ingiustizie: la decisione della Franke di chiudere lo stabilimento di Fossato non è un’arrogante ingiustizia, considerando la produttività dell’opificio e l’unica giustificazione riscontrabile nell’azienda nella sua volontà di massimizzare altrove i profitti?
E’ dunque singolare ed è inspiegabile se non per ragioni di comodo politico e di perseveranza ideologica sulle compatibilità liberiste che dal consiglio comunale di sabato scorso non sia scaturita con forza e sulla base dell’unità delle Istituzioni regionali e locali e delle forze economiche e sociali presenti, una formale richiesta di intervento al Governo centrale e al Ministero dello sviluppo economico. Solo quest’esito avrebbe potuto ricostruire le condizioni minime per affrontare le problematiche legate alla situazione economica del territorio. Un’altra occasione persa che gli stessi operai devono aver presagito, rinunciando così alla loro presenza.
Per la sinistra per Gualdo
Gianluca Graciolini

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