di Fabio Sebastiani

L’attacco all’Articolo 18 si chiama da oggi in poi “flessibilità in uscita”. E questo permette di dire alla segretaria della Cgil Susanna Camusso, che oggi ha incontrato con Cisl e Uil i rappresentanti del governo, che il tema è stato derubricato e al ministro Elsa Fornero che invece la questione c’è ancora. Anzi, c’è a tal punto che non si può parlare di riduzione della tipologia dei contratti precario se non lo si lega all’azzeramento dell’Articolo 18. Entrambe sono d’accordo solo sul fatto che il negoziato prosegue. E non sarà più a palazzo Chigi. Sembra un risultato schizofrenico e incomprensibile? Forse sì, ma non è detto. E’ sicuramente uno di quei “mezzi risultati” che non fanno notizia e che servono a “tirare a campare” in attesa che tra incontri segreti e limatine varie possa uscir fuori una soluzione che accontenti tutti. E se c’è un valore positivo dello sciopero indetto dalla Fiom per il 9 marzo è quello di creare un “fatto politico” difficilmente ignorabile nel sindacato.

La sensazione è che avendo messo l’Articolo 18 in fondo all’agenda della discussione, altro “grande risultato” raggiunto oggi a palazzo Chigi a detta del sindacato, si vada via via stringendo il cerchio intorno alla Cgil, che nel mentre è andata diluendo la definizione della norma a “fatto di civiltà”, mentre prima parlava di “tutela”. In una situazione del genere il leader della Cisl Raffaele Bonanni ha ovviamente la “prima scena”. E questo jolly se lo spende subito scrollandosi di dosso il “peso” dell’accordo unitario e iscrivendosi tra i cosiddetti “ragionevoli”. “Perché sappiamo, il governo l'ha detto, - sottolinea il leader della Cisl - che alla fine si affronterà questo tema”.

E se “noi ci poniamo con l'attegiamento di chi non vuole discutere su niente otterremo solo il fatto che alla fine ci penserà il governo. Come già fatto sulle pensioni a cui ha pensato senza nessuno filtro”, aggiunge, ribadendo l'apprezzamento per la decisione dell'esecutivo. “Non vogliamo discutere, se non alla fine, di flessibilità in uscita, di art. 18, perchè se mettiamo avanti questa discussione ci perdiamo in altre chiacchere”. “Siccome siamo interessati alla riforma non vogliamo dunque inquinare la discussione. Ma alla fine sappiamo che c'è questo tema e spero in una ragionevolezza del mondo imprenditoriale, del governo, delle forze politiche, e che il sindacato sia all'altezza”, prosegue, ribadendo come sia “più importante trovare soluzioni che trovare storie. Inutile prenderci in giro”, conclude.

E’ questa l’architettura un po’ barocca in cui l’Articolo 18 verrà, se non azzerato, sicuramente congelato con qualche artificioso ritrovato declinato in “sindacalese” stretto.
Se c'è una piccola novità da registrare bisogna guardare a quello che è accaduto sulla partita degli ammortizzatori sociali.
Il Governo accogliendo le richieste delle imprese e dei sindacati di non intervenire immediatamente per evitare conseguenze sociali pesanti in una situazione economica che è ancora di profonda crisi ha spostato il termine di 18 mesi. Il tema comunque non viene tolto dall'agenda del Governo e già lunedì sarà sul tavolo del ministero del Lavoro nel nuovo appuntamento fissato con le parti sociali nel tentativo di mettere a punto regole la cui applicazione sarà appunto rinviata di almeno 18 mesi.

Secondo dati diffusi dalla Uil nelle scorse settimane (rielaborando dati Inps) il saldo tra entrate e costi degli ammortizzatori sociali è stato negativo nell'ultimo triennio per 28,3 miliardi. A fronte infatti di entrate nel periodo 2009-2011 di 25,5 miliardi (contributi di imprese e lavoratori) i costi (prestazioni e contributi figurativi) sono stati pari a 53,8 miliardi. Il saldo nel triennio precedente alla crisi era stato molto meno pesante con 1,2 miliardi di rosso (24,9 miliardi di entrate e 26,1 di uscite). Nel complesso tra il 2006 e il 2011 sono stati spesi quasi 80 miliardi a fronte di poco più di 50,3 miliardi di entrate. Il saldo negativo più pesante nel triennio 2009-2011 riguarda la disoccupazione (un rosso di 19,1 miliardi) e la cassa in deroga (-7,1 miliardi) per la quale non sono previsti, a differenza della cassa ordinaria e straordinaria, contributi da parte di lavoratori e imprese.

Il confronto sugli ammortizzatori sarà complicato sia sul riordino con il tentativo del Governo di ridurre i tempi della cassa integrazione limitandoli alla possibilità effettiva di rientrare in azienda (al momento la cassa straordinaria è usata anche nei casi in cui le aziende chiudono e quindi non si prevede il rientro dei lavoratori) sia sul finanziamento del sistema. I sindacati chiedono che gli ammortizzatori siano "universali" e quindi estesi anche a coloro che non li hanno (i dipendenti delle piccole imprese in caso di licenziamento hanno diritto solo all'indennità di disoccupazione per un breve periodo e un sussidio basso) ma anche che siano basati su un sistema assicurativo e quindi finanziati con i contributi delle aziende.

Confindustria oggi ha avvertito che non intende pagare di più dato che i contributi per cassa integrazione e mobilità rappresentano già il 5% del costo del lavoro per le imprese industriali. Il costo dell'estensione degli ammortizzatori (e comunque di un sistema più omogeneo e meno segmentato di quello attuale) dovrebbe quindi, dato che il Governo conferma che non ci sono risorse aggiuntive, ricadere sulle piccole imprese che però oggi hanno ribadito di non poterne sopportare altri.

Fonte: controlacrisi.org

 

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