Ieri si è scritta una delle pagine più nere della storia di Twitter in Italia.
Dapprima si sono visti “quelli che benpensano” ingoiare estasiati l’esca gettata dai media, stracciarsi le vesti, agitare cappî e manette perché durante il corteo No Tav dell’altro giorno alcuni dimostranti avevano scritto sui muri di Torino e gettato vernice su determinati bersagli.
Poco tempo fa, sempre a Torino, c’è stato un pogrom in stile Ku Klux Klan, ma non ricordiamo nemmeno un decimo dello sdegno suscitato nel week-end da qualche scritta e chiazza di colore.

In una fase dura come questa – con la crisi che devasta le vite, la collera sociale che si diffonde per ogni dove e ogni tanto erompe alla disperata, in modi anche autolesionisti – ogni adunata pubblica potrebbe finire come quella del 15 ottobre a Roma, se non peggio. Alla luce di questo, si può ben dire che il corteo dell’altro giorno abbia dimostrato autocontrollo. Lo stesso encomiabile autocontrollo dimostrato dal movimento No Tav in tutti questi anni di fronte alle calunnie, ai frequenti episodi di disinformazione, agli arresti e alle bastonate, ai fumogeni sparati in faccia, alla repressione.

Parlare delle scritte anziché del male di cui sono sintomo equivale a indicare lo sporco sotto l’unghia del dito che indica la luna in rotta di collisione con la terra.

Ma questo era solo l’inizio.
Col passare delle ore, è stata diffusa una bufala: i No Tav se l’erano presa specificamente con… Norberto Bobbio, o meglio, con un suo poster affisso in una vetrata. Avevano scritto “BOBBIO SERVO!” con lo spray. Orrore!
In poco tempo, si è visto sacralizzare in modo strumentale il nome (o meglio, il volto) di un filosofo morto, allo scopo di attaccare l’intero movimento e forse coprire il vero bersaglio polemico di quella scritta, cioè il giornalista de “La Stampa” Massimo Numa. Di quest’ultimo, i No Tav denunciano da tempo – denunciano anche in senso stretto – non solo gli articoli, ma anche presunti comportamenti da “guerra sporca”. E qualcuno, senza molto successo, ha chiesto spiegazioni al direttore del quotidiano, Mario Calabresi.
E’ plausibile che ai ragazzi che hanno lanciato quei gavettoni di vernice e fatto quelle scritte, di Bobbio freghi poco. Lasciamo ad altri valutare se ciò sia giusto o sbagliato. Il punto è che il bersaglio della scritta non era lui.

A quel punto, però, si è visto un gregge feroce mostrare i denti e belare odio.
E si è vista un’enorme lente d’ingrandimento mostrare impietosamente tutti i difetti causati dalla tumultuosa crisi di crescita di Twitter (ne avevamo già scritto).
La bagarre è proseguita anche quando diversi hanno fornito la prova fotografica che si trattava di una bufala.
Tutta la cronistoria del “falso ideologico” e della conseguente canea si può leggere qui.

C’è chi ha detto che un social network come Twitter è solo lo specchio della società. La metafora ci sembra inappropriata: uno specchio non accelera la tendenza all’entropia della realtà che riflette. Con la sua forsennata, ansiogena pulsione all’immediatezza degli scambi, un mezzo come Twitter, se usato assecondandone in toto la logica anziché contrastandola con l’autodisciplina e la creatività, diventa peggiorativo della realtà che trova, ne amplifica i tratti più retrivi. Se la parola fugge in avanti prima che si formi il pensiero, se quel che conta è l’iper-velocità nel rispondere, fatalmente si tira fuori il peggio.

Noi avevamo già riscontrato una nostra crescente inadeguatezza, una sempre maggiore difficoltà a usare Twitter in modo disciplinato e creativo. Di conseguenza, avevamo modificato il nostro modo di usarlo, ridimensionando la nostra attività su quel social network.
Ora, però, siamo davvero molto scoglionati. L’italo-Twitter ci ha rotto i maroni.
Il limite è nostro: siamo in overload, non abbiamo più la forza né la pazienza.

Del resto, noi siamo scrittori, la cosa importante è che scriviamo libri, non abbiamo obblighi di presenza in ogni angolo della rete (tant’è che abbiamo sempre disertato Facebook), né siamo costretti a “presidiare” questo o quel posto perché c’è l’abitudine a vederci lì. Abbiamo già questo blog, che insieme al resto del sito sfiora – e talvolta supera – i 200.000 visitatori unici mensili, ed è qui che preferiamo esprimerci.

D’ora in avanti, e per un bel pezzo, su Twitter di nostro si vedranno solo i link a questo blog (ai post e ai commenti che riterremo significativi).
C’è dell’altro: tempo fa abbiamo aperto un profilo su Identi.ca, che ora può tornare buono. Come ha scritto l’amico Piersante, “dicono che lì cresca ancora l’erba”. Se vorremo sperimentare qualcosa oltre Giap, lo faremo lì.

Grazie a tutti

Condividi