Graciolini/Prc: "Ora anche la Faber. Consiglio aperto della dorsale appenninica"
Per capire che fine avrebbe fatto la Merloni non serviva certo essere degli stregoni e siamo stati facili profeti. Così, di fronte all'esito finale di questa lunga crisi aziendale siamo fin qui rimasti volontariamente in silenzio nell'attesa che si chiarisse il pasticcio su tutta la linea. Quello che avevamo da dire l'avevamo d'altronde fatto in tutti questi anni di attenzione e di promozione di una vertenza altrimenti condannata a passare sottotraccia. La nostra è stata una sollecitazione ad immaginare con coraggio un progetto di riconversione industriale in grado di salvaguardare al massimo i livelli occupazionali: l'assenza di una politica industriale in questo Paese innanzitutto, anche solo di un suo simulacro, si è ben accompagnata ad una gestione commissariale pellegrina direttamente figlia di quell'assenza, alla fragilità del tessuto industriale della nostra Regione e alle pigrizie, alle inerzie ed alle solitudini parallele della sua classe dirigente economica, istituzionale, politica e sindacale, producendo infine il risultato per nulla esaltante che abbiamo sotto gli occhi.
Parimenti, la gestione delle riassunzioni nel nuovo contesto d'impresa è stata letteralmente vergognosa. Non si tratta nè di fare della facile demagogia antipolitica, antisindacale o antiimprenditoriale, nè ovviamente di mettere l'uno contro l'altro chi è stato assunto e chi no. Comprendiamo infatti tutte le difficoltà, ma non si può rimanere in silenzio di fronte all'evidente constatazione che la cessione della ex Merloni a J&P, avvenuta neanche a prezzi di saldo per la chiusura di attività, ma quasi a mò di un regalo, sconta in partenza l'incosistenza, se non l'inesistenza di fatto, di un piano industriale vero e capace nel tempo di restituire capacità produttiva stabile agli stabilimenti e di garantire autenticamente almeno la salvaguardia dei posti di lavoro reintegrati. Benvengano dunque i 350 posti di lavoro rioccupati nello stabilimento di Colle come riduzione di un danno altrimenti totale, ma rimangono forti le preoccupazioni per molti di loro, soprattutto per quelli più giovani, proprio in relazione alla fragilità di un piano industriale che è ravvisabile giusto a partire dalla gestione delle riassunzioni ed alla luce degli accordi successivi, compreso l'ultimo, quello sulla cassaintegrazione. Ben prima di riavviare definitivamente i processi produttivi, l'impresa si è garantita la permanenza del regime di cassa integrazione e molti tra i riassunti sono prossimi al pensionamento nei prossimi due anni. Il significato di tutto ciò è evidente a tutti. Meglio di niente si è detto, ma la vicenda è destinata a riaprirsi presto e si pone fin d'oggi, in ogni caso, come un esempio della perdurante crisi industriale, non solo finanziaria dunque, ma dell'economia reale e produttiva del nostro Paese, quella che fa attestare la nostra bilancia commerciale ai minimi termini, tra le peggiori dei Paesi di area OCSE.
Tutte le lavoratrici ed i lavoratori rimasti a casa godranno sì della cassa integrazione per il quarto anno consecutivo, ma questa è diventata una situazione insostenibile per l'economia e la coesione sociale di un territorio come il nostro già messo alla dura prova della crisi integrale di altri importanti settori produttivi come l'edilizia, la ceramica, l'artigianato e il piccolo commercio. Per quanto la cassa integrazione sia un atto dovuto, costituendo in buona sostanza l'unica forma di ammortizzazione sociale presente in Italia, un suo regime perdurante come quello che continuerà ad interessare centinaia di lavoratori della ex Merloni senza che per i più, sino ad oggi, si siano aperte prospettive di vita ed occupazionali dignitosamente alternative, sta producendo storture e guasti economici e sociali gravissimi. Per chi non ha a disposizione alcun'altra forma di integrazione del reddito
o non può godere di alcun supporto dalla rete familiare, lo scivolamento al di sotto della soglia della povertà non solo è prossimo, ma è attuale e già in essere da tempo. Per chi magari può anche godere di un supporto familiare, il carico di oneri per la famiglia prodotto in sostegno e in integrazione del reddito dei parenti cassaintegrati ha fatto sì che ci ritroviamo con decine di famiglie impoveritesi repentinamente. Di sola cassa integrazione è difficile e poco dignitoso vivere: da qui nasce il ricorso a lavoretti più o meno saltuari di decine di questi lavoratori che l'economia sommersa ha attratto, moltiplicando il lavoro nero che produce ulteriore sconquasso in un'economia già critica. Ad ogni modo, anni ed anni di inattività assistita producono disabitudine al lavoro, inerzia, rassegnazione e comportamenti sociali devianti, dando vita a solitudini relazionali e mandando in cortocircuito il tessuto connettivo della società che di fronte alla crisi ha invece bisogno di essere reattivo, anche nella mobilitazione e nella lotta contro la condanna alla cassaintegrazione, alla disoccupazione di massa, a partire da quella giovanile e femminile, e alla macelleria sociale.
L'urgenza di sbloccare le risorse dell'accordo di programma e di definire immediatamente i suoi strumenti di intervento e gli obiettivi di reindustrializzazione dell'area interessata dalla crisi della ex Merloni nasce proprio da queste constatazioni. Non un minuto di più si può ancora perdere, visto lo stillicidio e l'insorgere di altre crisi aziendali in questo lembo d'Umbria. Proprio di questi giorni è infatti la notizia funesta della chiusura di un'altra delle aziende più grandi del nostro territorio, la Faber, che manda a casa altri 190 lavoratori, tra cui molti gualdesi. Per quanto siano state sconcertanti le modalità con cui la direzione di un'azienda di queste dimensioni ha comunicato ai sindacati la decisione sulla fine delle produzioni, la storia di quest'ennesima industria che chiude i battenti non nasce come un fulmine a ciel sereno, ma ha avuto chiare avvisaglie nei lunghi periodi in cui anche di recente si è fatto ricorso al regime della cassa integrazione e alla non riconferma dei contratti a tempo determinato.
Nell'attesa dell'esito delle assemblee dei lavoratori convocate dalle organizzazioni sindacali e prima di avere degli elementi di conoscenza più approfonditi sulle motivazioni reali della decisione, si deve mettere in campo ogni azione necessaria per scongiurare la perdita di centinaia di altri posti di lavoro, tra i diretti e quelli dell'indotto. La vertenza che si apre sulla Faber sarà probabilmente lunga e ad oggi, in assenza di altre informazioni, è impossibile prevederne ogni esito. Ma quest'ennesima storia la dice lunga su quelle che sono le deficienze del sistema politico ed economico del nostro Paese al cospetto della crisi che viviamo e richiama ad un'evidente e più vera priorità, quella che non si è mostrata nel dibattito pubblico sulla crisi economica ai tempi del governo Berlusconi e quella che tuttora continua a nascondersi nel dibattito vieppiù surreale di questi tempi, quelli del governo dei professori.
Mentre nei decreti del governo e nelle misure che dovrebbero contrastare la crisi si sono scaricati tutti i suoi costi sulla pelle dei lavoratori, dei pensionati e dei ceti medio-bassi, mentre le performances pubbliche ci ammaniscono sulle magnifiche sorti e progressive che solo il mantra delle liberalizzazioni potrebbe determinare, mentre si perde tempo a parlare di abolizione dell'articolo 18 e di nuove e più facili licenze di licenziamento, mentre la crescita dell'economia diventa una parola vuota usata solo per la convenienza di demolire lo stato sociale e il diritto del lavoro, le aziende italiane chiudono o se ne vanno tutti i giorni, a ritmo serrato, anche quelle che, come nel caso della Faber, avevano dimostrato nel corso della loro storia di saper introdurre elementi di innovazione produttiva ed organizzativa e di saper competere sui mercati nazionali ed internazionali.
La vera e più urgente priorità per una nuova politica economica e per un nuovo impegno di politica industriale che solo un intervento pubblico più diretto nell'economia può garantire è pertanto quella di contrastare e rispondere allo stillicidio delle aziende che chiudono ed è quella della riconversione dell'economia nelle aree già sottoposte a processi di deindustrializzazione come la nostra.
Non lo ha inteso il governo Berlusconi? Non lo sta intendendo il governo Monti che sotto il profilo della dismissione di ogni impegno di politica industriale si pone in nettissima continuità con il precedente? Non vuole intenderlo il governo Monti forse perchè obnubilato dalla sua caratterizzazione ideologica liberista secondo cui le aziende che chiudono sono i rami secchi di un'economia altrimenti virtuosa che fa selezione naturale attraverso la concorrenza? Non vuole intenderlo perchè ogni azione diretta di politica industriale suona di dirigismo veterosocialdemocratico ed offensiva per quel dogma del laissez faire che non ammette fastidi ed interventi da parte dello Stato, salvo poi scaricare tutti i costi della crisi sulla collettivita?
Lo scenario che ci si pone di fronte nel nostro territorio è tremendo e va stavolta affrontato con una mobilitazione straordinaria di ogni energia sociale, certo per salvare la sua economia e i posti di lavoro, ma anche per cambiare le politiche e gli indirizzi economici che producono o riproducono queste situazioni o che sono inerti nel risolverle. La vertenza della Faber come le altre che si sono aperte in altre aziende debbono senz'altro avere il loro corso naturale con il sostegno delle Istituzioni ma sappiamo che ciò, stavolta, non basterà.
Tutte le vertenze economiche ed aziendali della dorsale appenninica si devono saldare in un'unica grande vertenza di questo territorio per scongiurare il ritorno ad un passato di povertà estrema, di marginalità e di emigrazione e per pretendere quelle risposte che ad oggi sono rimaste appese al filo sottile di rassicurazioni cui mai è stato dato un seguito.
Proponiamo da subito la convocazione di un consiglio comunale aperto nella Città di Gualdo Tadino alla presenza dei rappresentanti di tutti i Comuni appenninici interessati dalla crisi, della Presidente della Giunta regionale, delle organizzazioni sindacali e dei rappresentanti di tutti i sodalizi economici e sociali del territorio affinchè si faccia il punto della situazione e si predisponga un'agenda di impegni e di interventi straordinari per fronteggiare la grave crisi economica e sociale dentro cui stiamo inesorabilmente scivolando e da cui rischiamo di non risollevarsi più per decenni.
Le istituzioni e le forze politiche e sociali di questo territorio debbono parlare con una voce sola, pretendere un incontro urgente con il nuovo ministro dello sviluppo economico Passera, auspice la Presidente dell'Umbria Marini come ha fatto nel caso della Basell, per ottenere lo sblocco immediato e l'ulteriore integrazione delle risorse dell'accordo di programma e la definizione di un progetto per la reindustrializzazione di questo territorio e per il sostegno alle aziende in crisi, per scongiurare altre chiusure. Parimenti, è giunta abbondantemente l'ora per cui al cospetto di questa crisi, si debbano riconsiderare anche alcune delle politiche e degli interventi della Regione, a partire da quelle programmazioni già dotate di finanziamento, che possono servire a ridirezionare più decisamente il modello di sviluppo dell'economia del nostro territorio verso ambiente, cultura e turismo, verso le iniziative di green economy che attendono tuttora delle risposte e verso una formazione necessariamente più adeguata ad intercettare le offerte di lavoro, il riorientamento professionale, l'inclusione sociale e il sostegno al reddito.
Il grido di dolore che oggi si leva dal nostro territorio deve dunque ergersi contro le lacrime e il sangue della mattanza sociale dovuta alla disoccupazione e alle politiche economiche
e sociali del governo e deve trasformarsi in una pretesa attiva di un mazzo di impegni concreti, tangibili e temporalmente definiti di politica industriale, economica e sociale da parte di tutti i soggetti che sono in potere ed in dovere di assolverli. Un consiglio comunale così come lo proponiamo, una vera e propria manifestazione pubblica di rivendicazione e di protesta, può essere il primo momento di un processo che può servire a risvegliare e mettere insieme le coscienze e a far vivere un'alternativa allo stato di cose presente che parte dalla carne viva anche se ferita di un territorio martoriato ma caparbio, lucido, capace di far valere le proprie ragioni, non rassegnato a vivere di cassa integrazione e determinato a non soccombere sotto i colpi della crisi, della globalizzazione e della ristrutturazione liberista.
Per la sinistra per Gualdo
Gianluca Graciolini

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