di Mario Tiberi

ORVIETO - Sono ormai svariati mesi che, con cadenza quasi giornaliera, mi domando e ridomando se a furia di invocare a tutti i livelli crescita, sviluppo e progresso non si corra il serio rischio che, al ciarlare parolaio, la realtà si ribelli e scateni, per vendetta e ritorsione, il processo inverso della regressione recessiva. Forse ed è sperabile che non sia così, ma certo gli indicatori segnaletici in tale direzione non debbono essere sottovalutati o, peggio, sottaciuti.
Si prenda ad esempio il travaglio cui è sottoposto il mondo giovanile, partendo da una riflessione preliminare sul gravame coatto dalla incombente abulia sociale.

E’ giusto, prima di ogni altra considerazione, ammettere e menzionare che, accanto agli indifferenti, ai disinteressati, ai frenetici che non guardano più in là del proprio naso, ai timorosi del “nuovo”, a chi va bene non sapere e non conoscere, vi sono anche gli interessati, gli informati e impegnati socialmente, i lettori e gli scrittori, i “sapienti” per diletto o per professione, gli stanchi di questa stasi in cui l’Italia della gente comune è costretta a rimanere per mano dell’Italia dei potenti, dei ricchi e degli egoisti.
Ma quale primato, che sia di natura economica, politica o culturale, è attribuito o attribuibile all’Italia?. Probabilmente nessuno!.

I dati relativi a un benessere e a una crescita dell’intero nostro Paese, che riguardino tutti gli strati sociali, non sono affatto rincuoranti, per non dire allarmanti o del tutto catastrofici. Sembra quasi, almeno agli occhi dei giovani che confusamente lottano per ottenere il loro giusto posto nella società, che l’Italia esista solo nel suo imposto permanere sempre uguale a se stessa. Ma ciò suona come un qualcosa di innaturale: tutto è in movimento e in divenire, per cui tutto è soggetto nel proprio percorso a mutamenti e variazioni.
Solo codesta, quella del “fieri” ineluttabile, appare la strada da seguire se si vuole scongiurare il pericolo immanente e imminente di una implosione su se stessi e procedere, invece, nel segno del progresso. Cosa, infatti, rimane a tutti coloro che desiderano un maggiore prosperità?. A coloro che, onestamente, ritengono che la crescita e la qualità della vita siano direttamente proporzionali alle risorse finanziarie destinate alla ricerca scientifica e tecnologica, all’innovazione, all’istruzione?. Probabilmente un desolante pugno di mosche in mano!.

Scuola e Università: esempi palesemente emblematici della malattia autodistruttiva dell’Italia.
Sempre più matricole, anche grazie al numero crescente di famiglie di origine straniera, ma sempre meno qualità. A fronte di investimenti tendenzialmente minori e tagli di spesa ponderosi, riguardanti l’intero comparto dell’istruzione e dell’educazione, scuole e università (le cui tasse sono però considerevolmente lievitate nell’arco di un biennio) non sono in grado di garantire validi strumenti di apprendimento, docenze qualificate e, soprattutto, sicuri sbocchi professionali a completamento dei corsi accademici.
Esiste una cospicua fetta di giovani pronti ad imparare, ad amare lo studio considerato come valore e momento fondamentale di arricchimento, intrapreso con costanza e serietà. Ma sono quegli stessi studenti che, contro il diritto universale allo studio, si scontrano giornalmente con atenei male organizzati, non idonei ed attrezzati a soddisfare e a far emergere le esigenze, i meriti e le capacità della gioventù italiana. Si sta gradualmente privando lo studente della possibilità, inalienabile e inviolabile, di un sano percorso formativo i cui capisaldi risiedono nello sviluppare le potenzialità delle facoltà intellettive nella loro interezza.
Non solo innumerevoli nozioni, ma sollecitazioni della curiosità e della fantasia, intesa come immaginazione creatrice, e che consentano una libera interpretazione e conoscenza del mondo, nonché l’appropriarsi progressivamente della propria autoconsapevolezza ed identità.

In un romanzo di Joestin Gaarder è scritto che “il bambino non è ancora diventato schiavo delle aspettative causate dall’abitudine. Il piccolo quindi è il più libero dai pregiudizi, forse è addirittura il più grande filosofo: infatti non ha prevenzioni e questa è la virtù più alta della filosofia”. Virtù che dovrebbe riscontrarsi in tutti gli ambiti della conoscenza, dell’etica, della politica e della convivenza sociale.
L’apertura mentale e la sua disposizione emotiva al “diverso” e allo “sconosciuto” sono le qualità più spontanee e pure che un infante possa avere e che, se non coltivate nei primi anni di età, difficilmente poi si ritrovano nella persona adulta che diverrà.

Alcuni bambini un giorno, in un parco, hanno detto alla loro baby-sitter: “Uffa, andiamo via. Qui non c’è niente da fare. A casa invece c’è la televisione, il computer, la play-station”. Incapacità inventiva e di socializzazione. Allarmante!.
Una signora, un altro giorno, suscitando lo stupore e l’ilarità dei presenti, ha osservato: “Bisogna riconoscere che i bambini e i ragazzi di oggi sono più intelligenti e svegli; sanno fare tutto con le tecnologie di ultima generazione”. Altrettanto allarmante!.

La tecnologia, senza i valori dello Spirito e della Coscienza, è un’arca vuota, fredda e priva di Anima: la crisi, nelle sue poliedriche articolazioni, prima o poi passerà; dopo di essa, però, senza i valori di cui sopra, ereditati dal meglio della Cultura Universale, non potrà aprirsi la stagione di una rinnovata ed agognata floridezza, bensì quella della più nera miseria morale e materiale.

Si corre cioè il pericolo di un mesto ritorno ai secoli bui dell’oscurantismo tanto da regredire persino nelle forme linguistiche, volgari o volgarizzate che siano, per cui un tuffo nel passato posteriore deve possedere in sé almeno l’energia sufficiente per la tutela di ciò che di nobile l’antico ci ha tramandato e, così, poterne far tesoro per il domani ad esso successivo.
La purezza dell’idioma latino, quello del secolo anteriore e posteriore alla nascita di Gesù Cristo, potrà esserci di ausilio e, verso tale prospettiva, mi sento di essere un piccino, ma previdente anticipatore.
 

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