Ecco un secondo piccolo compendio delle bugie che vengono diffuse sui media per giustificare le misure antipopolari del governo Monti e riaccreditare le politiche liberiste in crisi.

L’insolvenza dello Stato e la bancarotta imminente. Il bilancio dello Stato italiano è tornato, già prima del cosiddetto decreto salva Italia, a segnare l’”avanzo primario”, cioè si presenta in attivo al netto degli interessi da pagare. Era uno dei risultati vantati da Berlusconi e Tremonti e, a meno che non sia attendibile (ma allora dovrebbero risponderne non solo loro, ma la gran parte dell’establischment statale), vuol dire che la situazione dei conti pubblici è stata strumentalmente drammatizzata. E’ noto, infatti, che per ogni impresa, ma l’esempio potrebbe valere anche per una famiglia, il problema non è l’indebitamento, ma sono i guadagni e i redditi. Se esiste un buon livello di questi ultimi, il debito può essere scadenzato e ammortizzato nel tempo. Lo stato italiano non farebbe eccezione a questa regola. Con una politica di sostegno alla crescita dell’economia, imperniata sulla ripresa selettiva degli investimenti pubblici e di incentivi alle imprese e all’occupazione (un classico dell’economia keynesiana), sarebbe del tutto possibile, ripristinando buoni livelli di Pil, programmare nel tempo la remissione del debito, ivi compreso il rimborso del famigerato “spread” con la Germania (che, per altro, in misura più ridotta dell’attuale, è sempre esistito).
In un crescendo di allarmismo, è stato agitato, all’improvviso, persino l’incredibile spauracchio dell’impossibilità a pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici. Nessun organo dello stato ha mai denunciato una simile situazione di mancanza di liquidità e in ogni caso il demanio e le proprietà immobiliari dei grandi enti pubblici (Inps, Inpdap ecc.) costituiscono ancora un ingente patrimonio a garanzia per averne. Che si tratti di una ignobile bufala, è provato anche dal fatto che le misure della manovra Monti (specie la parte riferita alle pensioni) avranno un effetto significativo quando andranno, come si dice, a regime, cioè tra qualche anno e quindi sarebbero inefficaci a fronteggiare una situazione che avesse i caratteri di catastrofe imminente come quella che è stata, purtroppo senza nessuna risposta a tono, presentata.

La difficoltà a licenziare impedisce le assunzioni. Qual è quell’impresa che non assume per timore di non poter, in caso di crisi o esaurimento della commessa, “disfarsi” del personale? Nessuna! Ormai le tipologie di rapporto di lavoro flessibile, consentite dalle legge, sono tali e tante da poter soddisfare, per così dire, tutti i gusti. L’art. 18 (che riguarda solo i licenziamenti individuali senza giusta causa) non si applica alla grande maggioranza delle aziende (l’80%) e della forza lavoro, mentre nelle altre imprese funziona (e di che tinta purtroppo!) il sistema dei licenziamenti collettivi.
Non esiste al mondo un esempio, uno solo!, di una impresa che ha chiuso o è entrata in difficoltà per incapacità o scarso rendimento dei dipendenti o perchè non è riuscita a sbarazzarsene! Le cause sono sempre gli errori gestionali, le difficoltà di mercato ecc.
Perché dunque questo accanimento di “lor signori” contro l’art. 18? Perché esso è considerato il “simbolo” di una civiltà del lavoro che va azzerata, anche nel ricordo, per dare corso a una nuova stagione di totale precarietà e di assoluto arbitrio padronale.
Sarebbe la drammatica precipitazione della storia di questi anni, nel corso della quale al progressivo smantellamento delle tutele sindacali ha corrisposto un aumento della disoccupazione, a riprova del fatto che a creare i posti di lavoro non è la libertà di licenziare, ma l’aumento significativo del Pil.

Non è possibile tassare la ricchezza. Anche fosse vero non sarebbe comunque accettabile. Sarebbe la resa dello Stato: con quale credibilità e autorità potrebbe imporre pesantissimi sacrifici all’altra parte della società e mantenere la necessaria coesione sociale?
Ma, in realtà, il governo avrebbe tutti i mezzi per “scovare” i ricchi e farli pagare nel giusto dovuto. Le tecnicalità per appurare la reale consistenza delle proprietà e dei patrimoni può avvalersi di più avanzati strumenti anche di carattere informatico e di efficaci misure (dagli “studi di settore” più affinati, alla imposizione della nominatività dei titoli, privati e pubblici, e delle grandi transazioni finanziarie ecc.). Basta volerli usare! C’è soprattutto la classica misura del conflitto di interessi tra contribuenti, tipico della fiscalità americana (cioè la possibilità di dedurre fiscalmente le spese sostenute), che nessun governo in Italia ha mai voluto prendere in considerazione.

La fuga dei capitali. Una imposta patrimoniale sulle grandi ricchezze provocherebbe, come dice Monti, la fuga dei capitali? La risposta è in un’altra domanda: ci si può piegare ad un simile ricatto!? Se lo Stato blocca la rivalutazione delle pensioni per milioni di persone, perché non può temporaneamente bloccare i grandi depositi, le proprietà immobiliari e titoli azionari di un numero molto più limitato di cittadini?
Il ricatto di cui sopra sarebbe inefficacie e velleitario se vi fosse una cooperazione tra gli stati europei e uniformità fiscale sul continente (e per questo si dovrebbe lavorare) o se, più semplicemente, il governo italiano assumesse (o applicasse quelle che ci sono) misure rigorose di controllo, non necessariamente poliziesche o punitive.
Tassare i ricchi non è impossibile, semplicemente non è voluto! La concentrazione della ricchezza è tornata ad essere considerata elemento non solo costitutivo, ma propulsivo del sistema. E’ impressionante vedere la regressione culturale, ammantata di modernità, che venti e più anni di liberismo hanno provocato. Rispuntano concezione arcaiche come quelle (qualcuno forse le ricorderà) delle vecchie maestre delle elementari degli anni ‘50, formatesi in epoca fascista, che spiegavano agli alunni: “Chi mantiene la società? I ricchi!; e, senza di loro, non si avanti!”

Le pensioni ci costano troppo. I conti dell’Inps sono in ordine e il suo bilancio (prima degli ultimi provvedimenti di Monti) era certificato fino al 2060, la Cassa lavoratori dipendenti è in largo attivo e le sue risorse vengono distolte per coprire altri “buchi” ivi compreso il pagamento delle pensioni (quelle sì d’oro!) degli alti burocrati. Non c’era nessuna reale esigenza contabile o di bilancio per tagliare ulteriormente il sistema pensionistico.
Esplicativa dell’attacco alle pensioni è una tesi del ministro Fornero che, intervenendo a Porta a Porta, ha presentato come uno scandalo il vecchio sistema pensionistico retributivo nel quale per “decenni - ha detto - i giovani hanno dovuto mantenere i vecchi. Questa ingiustizia deve cessare!”. Ora, sinceramente, c’è di che rimanere allibiti!: quello che è stato ed è un vanto del sistema pensionistico così detto a ripartizione (cioè il rapporto di solidarietà tra generazioni, per cui, come in ogni famiglia, i più giovani che lavorano si fanno carico di mantenere gli anziani a riposo) viene presentato come un abuso dei padri sui figli o dei nonni sui nepoti! Roba da matti!!
La giustizia, nella concezione del Ministro Fornero, si attua quando ognuno fa per conto suo: chi paga avrà la pensione, gli altri resteranno senza! Peccato che la maggior parte dei giovani di oggi, che lavorano tardissimo e in modo saltuario e precario, la pensione non la vedranno mai!

Leonardo Caponi
 

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