di Luca Baldelli, Capogruupo Prc in Provincia di Perugia - Le decisioni governative sul futuro delle Province rappresentano una netta virata in senso demagogico, un’accelerazione all’insegna della ricerca del capro espiatorio per una situazione grave della finanza pubblica rispetto alla quale altri sarebbero i reali centri di costo da abolire, contenere o riformare.
I costi delle Province in Italia, come attestano autorevoli e imparziali studi, costituiscono nemmeno il 2 % del totale della spesa pubblica. I veri “ costi della politica “ riguardano i Ministeri, che hanno visto le loro spese di funzionamento lievitare negli ultimi anni; un Parlamento pletorico con 945 rappresentanti ( senza contare Senatori a vita e Senatori di diritto ) i quali godono di elevatissimi emolumenti pari, su base mensile, a 15 – 20 volte quelli di un Consigliere provinciale, nonché di privilegi i più svariati; la miriade di Enti inutili non elettivi, comodi rifugi per i “ trombati “ alle tornate elettorali, per gli amici degli amici ed i clientes vari che si aggirano nelle corti dei miracoli della politica nazionale e locale.
Questi centri di costo non vengono assolutamente toccati dai disegni e dalle deliberazioni governative, mentre si addita alla pubblica esecrazione l’istituzione Provincia, prima articolazione territoriale sorta con lo Stato unitario, il cui livello di operatività è complessivamente superiore a quello di qualsiasi altra istituzione presente nel Paese.
L’attacco alle Province, addirittura con iniziali propositi di scioglimento delle stesse a consiliature non terminate ( misura questa di netto sapore golpista, rientrata per evidente incostituzionalità ), rappresenta un attacco alla democrazia, ai livelli elettivi, da parte di una compagine parlamentare e governativa di tecnocrati nominati e non eletti.
Questo attacco non viene dalla luna : questi agenti del Bilderberg Group, della Trilateral e degli altri think thanks del capitale finanziario internazionale, oggi così eminentemente rappresentati al vertice istituzionale del Paese, già negli anni ’70 stilarono un documento sull’ “ eccesso “ di domanda democratica in Italia e guidarono il processo di ristrutturazione politica del dopo – Moro e degli anni ‘90, con un attacco pesantissimo alle condizioni di vita dei lavoratori ( vedi referendum sulla scala mobile del 1985), con la riduzione del potere decisionale dei Consigli comunali, con la preminenza data agli esecutivi rispetto alle assemblee elettive, con la creazione di un bipartitismo assolutamente estraneo alle tradizioni democratiche, progressiste e pluraliste italiane.
Chi oggi si stupisce per ciò che accade non ha chiaro il quadro del processo di commissariamento della democrazia, funzionale ai disegni di dominio del grande capitale finanziario, che va avanti da trent’anni e che ha conosciuto già diverse fasi di attuazione.
Per scendere ancora di più sul concreto e riportare il centro della riflessione sulle Province, nessuno ha risposto a degli interrogativi che, se non sciolti, ferma restando l’opzione dello smantellamento, determineranno la paralisi istituzionale e anche economica del Paese.
Alcuni esempi : chi, al posto delle Province, scriverà i Piani regolatori per i piccoli Comuni non dotati, per forza di cose, di apparati tecnico – progettuali in grado di farlo ? Le Unioni dei Comuni, forse , cioè organismi di fatto inesistenti, o presenti solo sulla carta , che oltretutto sono la sommatoria delle singole volontà particolari dei vari Sindaci ? Le Regioni, le quali, non essendo Enti operativi come le Province, evadevano in tempi biblici le pratiche relative ai PRG quando la competenza in questione era sotto la loro egida ? Lo Stato, lontano su questi temi anni luce dalle esigenze delle collettività locali e presente in forze solo con le Prefetture ?
Chi si prenderà cura delle migliaia di edifici scolastici che le Province hanno preso in carico e rimesso a nuovo a partire dal 1999, ereditando dai Comuni situazioni al limite dell’emergenza e dell’agibilità ?
Chi si prenderà cura della delicata partita dei controlli ambientali, della vigilanza sul territorio ? Un Ente come la Regione, che trova la sua ragion d’essere (ed è in questo preziosa e insostituibile ) nelle attribuzioni legislative e nelle politiche di riequilibrio territoriale ma è assolutamente priva, al contrario della Provincia, di una struttura operativa e flessibile ?
Se poi si pensa di abolire le Province, non si potranno certo mandare sulla strada migliaia e migliaia di dipendenti ; queste forze, a meno di attuare un massacro sociale senza precedenti, andranno da qualche parte ricollocate ed allora dove sta la tanto decantata politica di contenimento dei costi e di risparmio, dal momento che il personale incide sulla spesa generale ( e non potrebbe essere diversamente ) molto di più delle Giunte e dei Consiglieri ?
E’ chiaro a tutti, tranne che a chi non vuol capire ed è in malafede, il carattere demagogico e assurdo dell’attacco alle Province : un attacco pilotato da precisi e ben identificati centri di potere e attuato per dare in pasto all’opinione pubblica, come in tutti i tempi di crisi, falsi colpevoli e capri espiatori, così da poter perpetuare in pace, e al riparo dagli “ sguardi indiscreti “ dell’opinione pubblica, sperperi di denaro pubblico ( questa volta reali ).
L’operazione, finchè si è in tempo, va bloccata : dopo la parziale marcia indietro del Governo va attuato, da parte dell’UPI soprattutto, un pressing per far passare la sbornia abolizionista, modificare il contenuto delle misure e giungere ad una vera riforma istituzionale che salvaguardi i livelli elettivi e cancelli gli Enti inutili …. utili solo a qualche “ solito noto “ del mondo politico. La difesa delle Province non è corporativismo : altri il corporativismo lo praticano pro domo loro , per difendere i loro vitalizi, i loro maxistipendi rimpinguati magari da qualche ricca consulenza e presenza ben remunerata in Consigli d’Amministrazione creati ad arte.
La difesa dell’Istituzione Provincia è difesa, oltre che della storia di questo Paese e delle sue tradizioni democratiche, di un livello intermedio che solo può assicurare reale funzionalità all’azione amministrativa sovra – comunale e necessaria mediazione tra le Regioni e le realtà municipali.
Il Governo pensi a ridurre il numero dei parlamentari, a contenere le spese di Ministeri e apparati burocratici pesanti e “ centralisti “, dopodiché si potrà ragionare serenamente ( e laicamente ) di Province e Comuni, magari con la riforma delle aree metropolitane e l’unione dei piccoli Comuni su base volontaria. Avrà l’esecutivo nazionale questa volontà ? Se sì bene, se no allora dovremo da subito pensare ad una grande vertenza su base nazionale di tutti gli eletti negli Enti locali.
 

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