Bertinotti e Russo Spena ricordano Lucio Magri
«Un uomo tutto interno alla storia operaia e comunista»
intervista a Fausto Bertinotti
Vittorio Bonanni
Sono passate quasi ventiquattro ore dall'arrivo della notizia della morte di Lucio Magri. Un decesso scelto, programmato e organizzato che ha colto di sorpresa molti. Raggiungiamo Fausto Bertinotti al telefono che con Magri ha condiviso molte esperienze come quella di Rifondazione comunista quando l'ex presidente della Camera era segretario di quel partito. Anche lui è scosso. «Davvero parlo di Magri con grande fatica in questo momento - dice Bertinotti - e lo faccio per un rapporto con il vostro giornale che gli è stato vicino per cui non mi sono sottratto a Liberazione come mi sono invece sottratto ad altre testate. Perché davvero penso che non sarebbe opportuno un bilancio politico in un giorno così. Poi lo faccio, lo faremo ma ci tengo che venga detta questa cosa. Anche perché credo di avere delle opinioni non precisamente così consonanti».
In che senso Fausto?
Nel senso che Lucio è stato prima di tutto un uomo del Novecento. E del Novecento un uomo del movimento operaio. E nel movimento operaio un uomo del Partito comunista italiano. Anche se, mentre sul primo punto e sul secondo non mi pare ci siano dubbi, sul terzo immagino una possibile obiezione. La sua origine legata non solo al mondo cattolico ma alla Democrazia cristiana di Bergamo. Il carattere di militanza che viene considerata scomoda con la radiazione dal Pci e poi la militanza ne il manifesto, nel Pdup e infine in Rifondazione. Però tutti questi elementi secondo me sono secondari, perché io leggo, anche alla luce del suo libro Il sarto di Ulm, la sua appartenenza al movimento comunista e più specificamente al Pci come assolutamente decisiva nella definizione della sua storia, persino emozionalmente e affettivamente. Basterebbe vedere come, pur essendo stato protagonista della storia del '68 e del dopo '68, elementi decivisi del suo percorso individuale vengono indicati nella vicenda interna al Pci di quegli anni ancor prima della radiazione.
E poi il ritorno...
Che mostra certamente tutta la sua internità. Per usare un ossimoro a me è sempre sembrato un eretico ortodosso. Persino il modo problematico con cui ha affrontato la storia dell'Urss è testimonianza di questo essere comunisti. Dunque niente affatto scomodo. Non c'è nessuna scomodità nella vicenda dei compagni de il manifesto, è stata tutta a carico del partito quella storia risolta così drammaticamente con una epurazione che ha deprivato quella forza politica in anni importanti della rivolta operaia e studentesca di un contributo di elaborazione originale, sia sul versante di Praga che delle lotte operaie e studentesche.
Come si dice sempre la storia non si fa con i se e con i ma, ma se il Pci avesse ascoltato di più Magri ora non avremmo forse un partito come il Pd. Che cosa ne pensi?
Lucio Magri è stato un fautore della tesi secondo cui la storia si fa con i se. L'ha scritto, l'ha proposto molte volte rispetto ad alcuni tornanti drammatici della storia del movimento comunista. Io penso che il Pci in occasione della Cecoslovacchia da un lato e del biennio '68-69 dall'altro, abbia perso una delle ultime grandi opportunità per impostare un proprio futuro. Lì certamente, in Lucio e nei compagni de il manifesto, c'era un elemento preveggente. Sul come sarebbe andata a finire non lo so, non lo sappiamo. Certo è che sono state sconfitte entrambe le tesi, sia dell'uscita da sinistra che quella conservativa del Pci. Resta il fatto comunque che la storia del Novecento con le sconfitte appunto che si sono prodotte chiede una indagine in cui anche protagonisti come Lucio ed altri non possono far altro che cedere il passo alla storia dell'umanità.
Anche l'esperienza di Lucio Magri e di Luciana Castellina dentro Rifondazione comunista non è stata semplice. Tu eri segretario allora, che ricordi hai a riguardo?
Per me è stata una storia anche molto dolorosa, di sofferenza dopo percorsi che erano stati comuni. Noi ci ritrovammo nella vicenda di resistenza interna alla svolta della Bolognina e dello scioglimento del Pci. Avevamo vissuto un sodalizio comune anche con Pietro Ingrao. E poi ci siamo ricongiunti in un'esperienza interessante in cui Lucio aveva riposto persino più aspettative delle mie e di altri, che era quella della Rivista del manifesto. In mezzo c'è stata la vicenda di Rifondazione comunista dentro la quale dolorosamente si produsse quell'elemento di rottura sul "baciate il rospo" del governo Dini. Lì però per onestà intellettuale debbo dire con tutto l'affetto, il rispetto e anche il dolore di una separazione, che Rifondazione comunista nasceva allora con la sequenza "no Dini, rottura con il governo Prodi, Genova". Una sequenza appunto che ci vide collocati su posizioni diverse. Ma sempre con un interesse e una curiosità per la sua elaborazione politica e per un rapporto che dopo si è rivitalizzato intorno alla rivista. Diciamo che dal punto di vista della ricerca politica e culturale l'interesse per il lavoro di Lucio è rimasto sempre inalterato.
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Da oppositore allo scioglimento del Pci a dirigente di Rifondazione
di Giovanni Russo Spena
Con Lucio Magri abbiamo perso un amico fraterno, un maestro di politica, un valoroso dirigente comunista. Ci vedevamo di tanto in tanto; quando volevo trascorrere un pomeriggio a ragionare sul mondo, su noi stessi, intorno al rovello comunista, mi recavo nella sua casa, che è stato cenacolo politico e culturale per generazioni di comunisti. Avevo cominciato a frequentare quelle stanze all'inizio degli anni Settanta, quando, giovane ed inesperto, entrai nelle segreterie del Pdup, in cui vi erano, oltre a Magri e Miniati, Rossanda, Foa, Pintor, Parlato, Castellina, Menapace. Discutevamo con passione per giornate intere (io osavo soltanto ogni tanto timidamente intervenire); la sera, spesso, dopo la riunione, usciva un mazzo di carte o una scacchiera e si giocava accanitamente. Sono stato l'ultima volta, in quella casa, pochi giorni fa, lunedì 21 novembre.
Lucio, attento come sempre alle tendenze culturali ed alle propensioni analitiche voleva discutere con me delle tesi congressuali di Rifondazione comunista. Mi aveva dato appuntamento per questa settimana per discuterne più a fondo; ma aveva già organizzato il suo definitivo distacco, con la precisione scientifica che era uno dei suoi segni distintivi. Una morte drammatica; ma, se così si può dire, amabile e perfino dolce. Ha voluto raggiungere la sua amatissima Mara; non si era mai rassegnato alla sua morte. Mi ha ripetuto per tre volte, quel pomeriggio: «ora Mara sarà contenta; gli avevo promesso sul letto di morte che avrei terminato di scrivere "Il sarto di Ulm"; il libro l'ho scritto; ora è stato tradotto in tedesco, inglese, spagnolo, perfino in portoghese per la presentazione in Brasile; ho mantenuto al promessa fatta a Mara. Ora non ho più niente da fare».
Mi rammarico ora perché non avevo capito fino in fondo; ero rimasto pensoso e un po' turbato, ma non avevo capito le sue intenzioni. Va gridato con forza, però, che nella sua scelta estrema non vi è stato né abbandono né rassegnazione; non mi è parso ritenesse che non ci fosse più nulla da fare per cambiare il mondo, pur vedendo le asprezze del momento; parlammo di programmi, di progetti, di come si costruisce oggi una soggettività antagonista. Con tutte le critiche che a noi faceva (dal punto di vista dell'"ortodossia comunista", come diceva per sfottere se stesso e noi) era contento che noi non fossimo nei confronti del governo Monti, diventati "badogliani". Riteneva fosse un punto decisivo per la ricostruzione di un pensiero comunista contemporaneo la nostra opposizione.
Mi si affollano ora, disordinatamente, i ricordi di sette anni, dal '70 al '77, in cui abbiamo vissuto insieme passioni, movimenti di massa, azzardi. Anche duri scontri politici, divergenze culturali. Ancora si interrogava, il 21 novembre, sui motivi (a suo avviso incomprensibili) per cui ci eravamo divisi nella seconda metà degli anni 70. Era convinto che se non ci fossimo divisi saremmo stati un punto di riferimento a sinistra. Il tema dell'unità degli anticapitalisti in Lucio ritorna sempre; lo ricordo ad Arco di Trento (splendida relazione) per un progetto unitario per gli oppositori allo scioglimento del Pci; lo ricordo dirigente autorevolissimo di Rifondazione comunista.
Continuo a ritenere che avesse ragione Lucio (mi fa piacere ricordarlo ora, dopo averlo scritto un mese fa sulla rivista "Su la testa", quando Lucio era in vita) quando sosteneva che il "processo costituente", vent'anni fa, avrebbe dovuto essere più aperto e profondo. Penso che avremmo dovuto valorizzare molto di più il testo scritto da Magri nel 1987 contro il "nuovismo" occhettiano; l'identità politica, scriveva, non è un dogma, ma una attitudine critica, una propensione, un campo di sofferti conflitti e profonde innovazioni. Il "Sarto di Ulm" si spiaccicò sul selciato perché tentò di volare e non ce la fece. Tuttavia - commenta Bertolt Brecht - alcuni secoli dopo gli uomini riuscirono effettivamente a volare. Grazie Lucio, anche per la tua metafora sul comunismo possibile.
Fonte: Liberazione del 30 novembre 2011

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