di Arm.Alle.

PERUGIA - Il problema delle strutture Caritas e della vivibilità all’interno di esse torna a farsi sentire e ad essere denunciato a gran voce. Questa volta dopo la richiesta dei Radicali, Umbrialeft in esclusiva vi racconta, attraverso le sue parole, la storia di M., vittima anch’essa dell’assurda “politica" adottata da una di queste strutture. A conclusione dell'intervista Umbrialeft lascia a Voi le dovute considerazioni e sottolinea che questa è una storia, una delle tante che a volte per paura non escono dalle strutture e che non hanno il giusto risalto che meritano. Detto ciò non muovimo accuse verso nessuno nè prendiamo delle posizioni, cerchiamo solo di dar voce a chi ce lo chiede.

Ci racconti cosa le è successo?
“Nel mese di maggio del 2007 mi trovavo ristretta presso la Casa Circondariale di Perugia, in misura cautelare; in tale contesto conobbi (…), parroco responsabile della Caritas a Perugia che frequentava il carcere; dopo alcuni colloqui, si è prospettata la possibilità di ottenere la misura degli arresti domiciliari presso una delle strutture da lui gestite poiché la mia casa era sotto sequestro e non avevo latri posti dove andare”.

Quindi lei ha fatto richiesta di trasferirsi presso questa casa della Caritas?
"Si e il Giudice ha accolto la mia istanza e così sono uscita dal carcere e collocata presso il Centro di Accoglienza della Caritas di Santa Maria degli Angeli in regime di arresti domiciliari".

Bene e li cosa è successo?
"Arrivata lì conobbi (…), responsabile del Centro di Accoglienza nonché braccio destro di (…).
All'inizio ebbi la sensazione che finalmente, dopo una vita difficile, piena anche di errori ma soprattutto di pregiudizi, avessi trovato un posto in cui si sarebbero occupati di me, della mia malattia e della mia serenità. Ben presto, però, mi resi conto che in quel luogo tante erano le contraddizioni e le cose che non andavano".

In che senso?
"Da subito (…) mi fece capire che sarebbe stato un gesto carino da parte mia cedere alla Caritas l’abitazione di mia proprietà, sita a Perugia Ponte San Giovanni.
Trovandomi sola ed essendo portatrice di handicap, mi lasciai convincere; inizialmente si era parlato di vendere tout court l’appartamento alla Caritas, poi di cedergli solo la nuda proprietà; alla fine, su consiglio del mio legale, preferii fare solo testamento in favore di Caritas".

Quindi mi faccia capire, la responsabile che lei ha citato le ha chiesto di “regalare” la sua casa alla Caritas?
"Esattamente, dopo circa un mese da che mi trovavo presso il Centro di Accoglienza, gli operatori della Caritas mi portarono dal Notaio (…) e lì depositai un testamento olografo in cui designavo mio erede universale la Caritas di Assisi Santa Maria degli Angeli.
Poco tempo dopo, su suggerimento del mio legale, diedi incarico affinchè tale testamento venisse distrutto. L’Avvocato ha quindi provveduto a ritirare il testamento presso il Notaio e nella prima settimana di luglio 2007 l’ha strappato in mia presenza, conservando tuttavia i frammenti di carta (che custodisce tutt’ora)".

Quindi al momento il testamento non è più valido…
"Esatto, però qualche mese dopo, nel primo trimestre del 2008, la mia casa fu dissequestrata; non ero in condizioni di tornare ad abitare da sola e, per sdebitarmi nei confronti di Caritas, accettai di fargli portare via tutti gli arredi del mio appartamento (tv, frigo ecc …).
Ma questo è solo l'inizio.
Oltre che per qualche settimana nel 2007 (dal mese di maggio ai primi di luglio 2007), ho vissuto per lungo tempo presso il Centro di Accoglienza Caritas di Santa Maria degli Angeli, sia in stato di libertà (dalla fine del mese di gennaio 2008 al mese di ottobre 2009) che in regime di detenzione domiciliare (da ottobre 2009 alla fine di luglio 2010).
Negli anni di permanenza presso il centro Caritas ho visto passare tantissime persone ed ho potuto anche vedere come veniva gestito il Centro di Accoglienza".

Dal punto di vista organizzativo intende?
"Non solo, anche dal punto di vista economico: io stessa ho accompagnato (…) a ritirare le varie pensioni degli anziani a Foligno; così come so per certo che la pensione di un residente presso il Centro Caritas, veniva gestita dal suo tutore, lasciandolo tutta la giornata abbandonato a se stesso presso il Centro Caritas, senza neanche la disponibilità dei soldi per acquistare le sigarette.
Ho personalmente visto uscire soldi dai conti della Caritas, che credo dovrebbero servire per le persone in difficoltà, per gli acquisti più svariati, da regali a vestiti per il parroco e quant'altro.

Dal punto di vista dell'organizzazione, invece, (…) si affidava regolarmente per la gestione della cucina a quelle povere malcapitate che venivano lì agli arresti domiciliari.
Negli anni c'è stato un grande avvicendamento di persone, anche perché poche sono state le persone alle quali la stessa, per i motivi più svariati, non abbia revocato la disponibilità per gli arresti domiciliari.
La gestione della cucina era lasciata all'improvvisazione di chi arrivava; tutte le domeniche (…) (impegnata a Cenerente al consueto pranzo della domenica con con (…)) lasciava la struttura completamente a se stessa: spesso erano le persone che stavano lì ,anche con deficit mentali, a dover mettere giù la pasta ecc..."

Le condizioni igieniche invece, come si presentavano?
I"n particolare per l'utilizzo di prodotti scaduti in cucina e per la completa mancanza di norme igieniche e sanitarie all'interno della struttura, contattai la Asl e i Nas, i quali eseguirono dei controlli e riscontrarono irregolarità tali da disporre la chiusura della cucina e della mensa interna.
Senza poi menzionare la completa assenza di igiene negli alloggi. Le stanze venivano pulite da chi vi dimorava, ma potete comprendere come tutto questo facesse sì che spesso erano ridotte come porcili. Tant'è che prima del sopralluogo della Asl sono stati i ragazzi della comunità a ripulire completamente le stanze, ma è chiaro come, dopo poco tempo, tutto è tornato come prima.
Per non parlare dell'igiene personale: i ragazzi di passaggio non avevano possibilità di lavarsi gli indumenti perché l'utilizzo della lavatrice era riservato a pochi eletti ed i ragazzi pressoché fissi dovevano raccomandarsi al buon cuore delle ragazze ospiti.
Io stessa avevo difficoltà e ricordo solo che, pur essendo invalida, per cambiare le lenzuola del letto mi sono dovuta rivolgere all'assistente sociale, perché dopo ben un mese e dopo tanti solleciti non ero riuscita a cambiare neanche le lenzuola; la mia camera ed il mio bagno le pulivo da sola, per quello che potevo, e riuscivo a cambiare le lenzuola con l'aiuto ed il buon cuore di una volontaria che veniva a trovarmi.

Oltre a questo comportamento irresponsabile mi permetto di sottolineare anche e soprattutto l'aspetto morale.
In primo luogo (…), ogni qual volta venivano a cena (…) o altri religiosi, provvedeva a fare la spesa a parte nel vicino supermercato, così da dare agli stessi prodotti freschi. Ma la cosa che più mi ha amareggiato è che spesso le persone venivano buttate fuori senza un reale motivo.
Moltissimi ospiti, infatti, si trovavano presso la Caritas in regime di arresti o detenzione domiciliare, non avendo altri luoghi ove andare: di conseguenza, la loro permanenza in tale struttura dipendeva dalla disponibilità data dal Centro nel senso che, se veniva revocata, per il malcapitato di turno si riaprivano inesorabilmente le porte del carcere".

Quindi la permanenza all’interno delle strutture era a discrezione dei responsabili?
"Si, ad esempio, un ragazzo venne rimandato in carcere da (…) perché (…) si convinse che lo stesso aveva passato droga ad un altro connazionale all'interno della struttura, cosa assolutamente falsa, io stessa ero presente. Per non parlare di persone accusate di furto o di relazioni varie all'interno della struttura, ma magicamente queste accuse fiorivano sempre quando quelle persone non erano più utili alla (…) ed alla struttura o diventavano scomode.
Anche a me sarebbe toccata una sorte analoga che ho evitato solo per un caso fortunato.
Dopo la mia denuncia alla Asl e ai Nas per come veniva gestita la cucina, infatti, i rapporti con la (…) si erano ovviamente incrinati; alla fine di luglio 2010 la stessa non ebbe remora alcuna a revocare la disponibilità a tenermi in struttura mentre ero in regime di detenzione domiciliare, adducendo con il Magistrato di Sorveglianza che tenevo un comportamento “minaccioso e violento” nei confronti degli operatori e degli altri ospiti".

Oramai ce l’aveva con lei…
"Tengo a precisare che ero e sono invalida al 100% perché affetta da una grave forma di paraparesi spastica cronicizzata e stabilizzata che mi impedisce di camminare normalmente: il che denota la gratuità di tali accuse che la (...) ebbe a rivolgermi.
Il suo piano per rispedirmi a Capanne non ebbe esito perché, proprio poco prima che inviasse al Magistrato di Sorveglianza il fax di revoca della disponibilità, avevo reperito un’altra sistemazione.
Ciò non ha tuttavia impedito alla (...) di segnalare al Commissariato di Assisi che mi trovavo fuori dalla mia abitazione al di fuori dell’orario consentitomi: due giorni dopo aver lasciato il Centro di Accoglienza, infatti, mi vide davanti alla Caritas alle 12,15 (sarei dovuta essere a casa alle 12,00) e chiamò immediatamente la Polizia che mi arrestò seduta stante per evasione.
Come si vede, la carità c’è quando si tratta di portarti dal Notaio a fare testamento, ma viene meno quando divieni un ospite scomodo".

Cosa ne pensa a questo punto della struttura in cui è stata e cosa vuole dire in conclusione?

"Quando la gestione della strutture è stata affidata nel mese estivo ad un giovane seminarista, all'ora di pranzo si vedeva fuori dal cancello della struttura gente in attesa di un panino o di un piatto caldo. Questa secondo me è carità, non certo quella della (...) che vietava persino di dare da mangiare o anche solo di parlare con chi aveva sbattuto fuori, dietro la minaccia di cacciare via anche il trasgressore.

Ho tanti rimproveri da fare a (...) ed alla (...), in primis quella di decidere arbitrariamente chi meritasse la loro carità o chi no. E quanto alla (...), notevole era il cambiamento di comportamento davanti ai religiosi (frati o suore che abitualmente, per vero spirito di carità, frequentavano la struttura), di fronte ai quali diventava comprensiva e amorevole, rispetto a quello che la stessa aveva nei confronti di chi era ospite della struttura, per i quali veniva riservato un trattamento che con la carità aveva ben poco a che fare.

Sono molto amareggiata da quanto avveniva in quella Caritas, perché lì vi arrivano persone che, chi per un motivo chi per un altro, sono state già abbastanza umiliate nella vita e non meritano di subire, non solo umiliazioni ma vere e proprie ingiustizie.
E' chiaro chi può credere alla parola di uno spacciatore, o di un ladro, o di una prostituta? Ed è stato proprio questo il punto di forza. Pensare a quella struttura mi fa venire in mente non qualcuno che ti tende una mano, bensì qualcuno che ti costringe a vivere nell'angoscia, nella solitudine e nella paura.
In quella Caritas sarebbe bastato che qualcuno si fosse infiltrato come barbone per vedere subito quale sarebbe stato il trattamento; ma anzi sarebbe stato interessante vedere la differenza di trattamento riservato a chi arriva “raccomandato” da un religioso, rispetto al trattamento riservato a chi arriva lì per disperazione".

 

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