“Live at Colle I Morii.” Giunta Morroni e cavatori in concerto con le ruspe.
PERUGIA - Negli stessi giorni in cui in tanta parte del nostro Paese si manifestano drammaticamente gli effetti delle devastazioni ambientali e del dissesto idrogeologico frutto di un modello di sviluppo fondato esclusivamente sul profitto e sull'assalto alla diligenza dei beni comuni, la Giunta Morroni non se n'è fatta di mettere in scena una reclame di dubbio gusto e di dubbia opportunità, improvvisando una conferenza stampa per cantare vittoria all'indomani della sentenza del TAR sulle cave di Vaccara e con lo scopo di esaltare la stessa idea di economia che ha portato alla situazione italiana presente.
Alla fin fine è stato però un bene che il Sindaco Morroni, l'Assessore all'ambiente Gramaccia e quello all'urbanistica Viventi abbiano deciso di sciogliere ogni riserbo, di dismettere ogni prudenza e di mettersi così a nudo nella più incredibile "apologia del cavatore" mai declamata da queste parti con cotanto convincimento e con cotanto sprezzo del pericolo di smentita. Vuol dire che si devono sentire proprio alla frutta se hanno deciso di affidare tutta la loro fortuna all'alleanza con i cavatori e di legare la loro sorte all'affermazione definitiva e sciagurata di un modello di sviluppo che è invece giunto al capolinea e segna il passo dappertutto. Ma significa anche che così facendo, il confronto politico locale sull'idea di economia, di sviluppo e di futuro per la nostra Città riacquista finalmente delle linee di demarcazione semplici e precise: da una parte c’è chi, come Sinistra per Gualdo, pensa che il rilancio dell’economia locale e la valorizzazione della coesione sociale debbano avere delle premesse di sostenibilità ambientale e sociale da considerarsi fondamentali anche come opportunità di crescita economica; dall’altro c’è chi, come la Giunta e la maggioranza delle destre, ci riporta al passato e continua a pensare che l’unico modello possibile e necessario di sviluppo sia lo stesso che oggi vive una crisi strutturale e che si fonda sullo sfruttamento intensivo delle risorse ambientali e dei beni comuni, con delle ricadute che esaltano solo i profitti con saldi occupazionali pari allo zero.
A seguire la linea del loro ragionamento, l'economia delle cave è solo buona: essa produce sviluppo e ricchezza, fa bene all’ambiente perché lo risana e, nel caso specifico, fa anche un po’ respirare il bilancio comunale a rischio dissesto a causa dei tagli e dei vincoli del Patto di stabilità, il che non guasta mai. Se tutte le amministrazioni comunali d'Italia dovessero seguire tale linea il Belpaese diventerebbe una groviera. Già in parte lo è, ma al peggio può non esservi mai fine e, al netto della raccolta differenziata porta a porta, dubitiamo che con questa Giunta Gualdo potrà mai spiccare il volo e volgersi al futuro come uno di quei Comuni virtuosi d’Italia dove la sostenibilità fa rima con benessere economico e sociale e qualità della vita dei cittadini.
Dalle nostre parti, al contrario, la scenetta improvvisata sabato scorso dalla Giunta ci è apparsa come una copia di serie Z di Live at Pompeii, il film culto del 1972 firmato da Adrian Maben, solo che l’ambientazione non era il celeberrimo anfiteatro, ma la cava franata sul sito archeologico di Colle I Mori, e a suonare non erano i Pink Floyd, ma il Sindaco e i due assessori che, al posto di chitarre e pianoforti, hanno strimpellato le ruspe e gli escavatori, coadiuvati nell’esecuzione degli spartiti dal rappresentante dell’impresa Cave Mancini e dal direttore di Assocave Umbria, scomodato per una “prima visione” di tutto interesse. Una jam session senza pubblico dove il paesaggio lunare delle cave di Vaccara ha fatto da contorno ad un concerto che aveva lo scopo di ribadire le ragioni “benemerite” della Giunta, attraverso la solita musica del riambientamento e delle opportunità economiche ascrivibili a loro dire all’intervento: ci mancava solo che gli amministratori indossassero caschi e tute da lavoro e poi la conferenza stampa avrebbe assurto ai livelli dell’arte più imperitura.
L’essersi avvalsi di un esecutore d’eccezione, il direttore di Assocave Umbria, depone poi a sicuro favore dell’imparzialità delle loro ragioni: è recente e risale ai blitz estivi nelle cave della provincia di Perugia la sua dura presa di posizione contro il Corpo Forestale dello Stato, reo di porre “un’attenzione parossistica” (Sic!) alle cave e di “battere a tappeto il sistema cave azzerando le competenze degli altri organi di controllo” (come se quest’altri organi di controllo amministrativo fossero sempre nelle condizioni di operare puntualmente le loro competenze e nonostante lo stesso intervento della Forestale avesse sottolineato come nel territorio della provincia di Perugia l’attività estrattifera risultasse per niente o non sufficientemente monitorata). Ciliegina sulla torta, infine, il Corpo si era addirittura reso colpevole di essersi permesso di “segnalare che il cosiddetto canone di concessione sia troppo basso rispetto alle altre Regioni italiane”. Ad onor di cronaca, ricordiamo che queste parole furono pronunciate proprio all’indomani della benemerita operazione della Forestale in cui, dopo due mesi di controlli svolti su tutto il territorio, era emerso il seguente quadro: una cava su due, nella provincia di Perugia, era risultata “irregolare”. Delle 155 cave attive in tutta la regione per l'estrazione in genere di inerti e calcari destinati al “ciclo del cemento”, il Corpo Forestale si era dedicato all'ispezione di 71 siti, riscontrando in 33 casi degli illeciti amministrativi e in 11 casi degli illeciti penali.
Una situazione per nulla incoraggiante che descrive bene ciò che avviene in un settore divenuto così pervasivo in una Regione come la nostra che, considerata l’esiguità del suo territorio, è tra quelle interessate da maggiore attività estrattiva. Una situazione talmente evidente nei suoi numeri e nella sua qualità che avrebbe certo dovuto indurre il Ridolfi a ben altra cautela, invece di stigmatizzare l’operato doveroso e responsabile degli uomini e delle donne della Forestale ed anziché gridare al fumus persecutionis, alla caccia alle streghe contro i cavatori.
Non è certo nostra intenzione voler criminalizzare gli operatori di questo settore che sta vivendo anch’esso la sua crisi, ma non possiamo non domandarci come mai nel nostro Paese continui ad essere enorme il divario che si registra rispetto a quanto avviene nel resto d’Europa, in un confronto con le migliori e più diffuse esperienze: è per esempio schiacciante il paragone delle quantità di inerti e scarti da demolizione riutilizzati per la produzione di nuovo materiale edile al posto di materiale “vergine” delle cave, con l'Italia ferma al 9 per cento, contro Paesi come l'Olanda e il Belgio che riciclano il 90 e l'87 per cento degli inerti, la Germania l’80%, la Francia oltre il 60% e la Gran Bretagna che ne ricicla il 45 per cento. E’ questa una domanda che si pone alla politica, ai legislatori nazionali e regionali e ai decisori locali della politica, ed è questa una questione che conferma una situazione che è diventata intollerabile anche dalle nostre parti in virtù degli scempi pregressi e di quelli futuri, pur giustificati con il solito motivetto del risanamento e del riambientamento. Presupponiamo infatti che per Assocave i siti interessati quest’estate dall’operazione della Forestale, prima dei controlli, fossero anch’essi stati giustificati come risanamenti ambientali…
Questa questione si pone dunque anche in relazione all’ipotesi dell’ennesimo risanamento ambientale in cui dovrebbero esitare i dieci anni di attività estrattiva concessa in quel di Vaccara, sempre a detta della Giunta, dell’impresa beneficiaria e dell’associazione regionale dei cavatori. E’ la solita tiritera, il solito cane che si morde la coda, il solito tanto peggio tanto meglio all’italiana, il solito si risana lo scempio con lo scempio, il consueto risanar scavando. Alla fine dei dieci anni chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, chi deve avere avrà, l’impresa i suoi profitti, il territorio crateri più profondi dei precedenti, fino al prossimo risanamento. Volendo parafrasare una poesia, la storia delle cave è ciao e arrivederci…finchè non scaveremo di nuovo. E questa è stata la storia anche nella nostra Città che si ripete e ci ributta nel passato.
Nel caso delle cave di Vaccara, una stima prevede che si asporteranno ad occhio e croce oltre 4 milioni di tonnellate di materiale, secondo gli stessi dati che si ricavano con due conti elementari dal progetto sposato dalla Giunta: una quantità enorme che da sola basterebbe a cifrare la natura e la dinamica dell’intervento. Ed è proprio nel confronto con questa quantità che si infrange la prima e più insopportabile delle menzogne proclamate dalla Giunta nella scenetta postbucolica di sabato scorso, quella che più di tutti offende il buon senso di ogni gualdese: questa quantità servirà prevalentemente al fabbisogno edilizio locale nei prossimi anni, come se per Gualdo, soprattutto dopo la ricostruzione, in virtù del piano regolatore ed al cospetto della crisi dell’edilizia e dell’economia, ci si aspettassero chissà quante realizzazioni di edilizia civile, stradale ed industriale quando tutti sanno che sarà economicamente possibile ed urbanisticamente sostenibile volgersi prevalentemente verso interventi che al massimo saranno di recupero, ripristino, cura e manutenzione, che necessiteranno di quantità minime di materiale e per cui si dovrebbe al contrario mettere in considerazione la possibilità di fare ricorso al riutilizzo degli inerti o all’utilizzo dei materiali più pregiati.
Alla luce di queste evidenze, risalta dunque la verità. Con la scelta di riaprire le cave di Vaccara, Gualdo si è posta come ospite di un’attività che diversamente sarebbe stata interdetta nella Regione di provenienza dell’impresa e, al contempo, si candida ad essere il centro umbro in cui si scaverà di più e da cui partiranno per altri lidi i materiali da vendere ad esclusivo profitto dell’impresa e senza ricadute occupazionali minimamente significative per la nostra Città e tali da giustificare, sotto questo profilo, un intervento così massiccio, invasivo e duraturo: nel progetto si parla di due-tre posti di lavoro. Così si va nella direzione opposta a quella che servirebbe per ricostruire uno straccio di futuro decente per Gualdo, altrimenti condannato da questa Giunta a diventare il Bengodi dei cavatori.
Tutto va bene, madama la marchesa, e tutto sta procedendo bene secondo Morroni e i suoi session men nelle attività delle cave di Vaccara: peccato che sabato scorso si siano dimenticati di ricordare l’ordinanza di sospensione temporanea dell’attività resasi necessaria quest’estate a seguito dei controlli e delle prescrizioni dell’ARPA e a dimostrazione delle prime madornali inadempienze dell’impresa. Incidenti di percorso che per la Giunta non hanno meritato neanche una memoria, neanche a mò di un saggio, deferente ed intelligente invito a fare più attenzione.
Tutto andrebbe bene invece perché l’impresa ha realizzato alcune infrastrutture come la pesa e l’impianto di lavaggio delle gomme dei mezzi pesanti e perché si è provveduto al rifacimento della strada di Vaccara e si è in procinto di porre in essere i lavori per quella del cimitero. Nel primo caso, si tratta di adempimenti minimi, inderogabili, prescritti dalle normative, ancorché funzionali allo svolgimento dell’attività, col secondo si rioffende il buon senso dei gualdesi: una volta per tutte si risistemano delle carreggiate in cui per altri nove anni transiteranno decine e decine di volte al giorno i mezzi pesanti carichi del materiale asportato. A Gualdo è ben noto l’impatto dei mezzi pesanti sui manti stradali e la fogliolina di fico che si richiede all’impresa non la può certo esonerare da interventi futuri di manutenzione e di ripristino: secondo la convenzione col Comune sì!
Non c’è poi due senza tre e veniamo a Colle I Mori: uno dei più pregiati siti archeologici dell’Umbria, quello in cui sono stati rinvenuti i reperti di uno dei più importanti insediamenti della civiltà degli Antichi Umbri, risulterebbe valorizzato da un’attività di cava che durerà dieci anni e che rischia di comprometterne ulteriormente la stabilità strutturale e il bello è che sembrano crederci sul serio. Ma un sito archeologico così importante per gli studi sulla ricostruzione della documentazione storica delle nostre radici e così fondamentale come opportunità di promozione economica e turistica della nostra Città non dovrebbe essere fruito in piena sicurezza da eventuali visitatori, turisti o studiosi che siano? Forse, se ne riparlerà tra dieci anni perché la valorizzazione, dalle nostre parti, si chiama attività estrattiva, la stessa che ne ha pregiudicato per anni le sorti, fino al suo blocco che mosse proprio da un’iniziativa, anche all’epoca, dei consiglieri comunali di Rifondazione Comunista, come ben si ricorderà.
Infine, la questione del ritorno economico per il Comune: i due milioni di euro in dieci anni derivanti dalla vendita di 450 mila metri cubi di materiale, la famosa “vendita del materiale lapideo” che la Giunta ha già da due anni spalmato nei suoi bilanci di previsione e nei suoi programmi triennali per le opere pubbliche. A fronte dei tagli passati, presenti e futuri ai trasferimenti e considerando solo quelli accertati alla luce delle finanziarie del governo, questi soldi servono a compensarli in minimissima parte e saranno a malapena sufficienti per pagare gli aumenti annuali dell’indice Istat che incidono sul pagamento del personale, delle prestazioni dovute e dei servizi. Anche qui la domanda si pone d’obbligo sull’opportunità di una scelta politica che in ogni caso si rivelerebbe inutile oltre che dannosa per l’ambiente e che di fatto condanna il nostro Comune ad improvvisarsi cavatore per garantire la stabilità dei suoi conti di bilancio. Conti che sarebbero comunque a rischio e per cui la “vendita del materiale lapideo” sarebbe solo un pannicello caldo a fronte di politiche economiche, sociali e di bilancio che continuino ad accanirsi sulle finanze degli enti locali, in assenza di cambiamenti radicali che le riguardino o che riguardino il rapporto tra Governo centrale e municipalità nella determinazione delle rispettive quote che servono al contenimento o all’abbattimento del debito pubblico.
Sempre rispetto al presunto ritorno economico pubblico delle cave giova anche ricordare che il canone di concessione richiesto in Umbria è di pochi centesimi di euro a metro cubo (0,375 per sabbia, ghiaia e argilla, 0,525 per il calcare), molto più basso rispetto a Regioni come l'Emilia Romagna (fino a 4 euro per ghiaia e sabbia, 0,80 per argilla, 0,52 per il calcare) o, in misura straordinariamente più alta, alle tariffe di sfruttamento applicate all'estero.
Ma nella produzione cinematografica di Live at Colle I Morii realizzata sabato scorso dalla Giunta c’è un di più, forse, un subliminale non detto, un non “ancora suonato”, una sorta di accenno di “incompiuta” che sembrava alitare tra le note ruggenti delle ruspe e degli escavatori messi in moto e suonati dal Sindaco Morroni e che peraltro potrebbe spiegare meglio e di più la presenza di Assocave, in veste di Guest Star, da sempre direttamente interessata a suonare compiutamente proprio quell’”’incompiuta”. Dopo la sentenza benevola del Tar che non chiuderà di certo la partita della nostra opposizione alla scelta di riaprire quelle cave e che continuiamo a considerare una vittoria di Pirro in attesa di altre sorprese, la Giunta ci ha forse preso gusto. E allora, perchè non fare un pensierino su quello che rimane l’oggetto oscuro e più vero del desiderio dei cavatori associati e di tutti quegli amministratori, di centrodestra e di centrosinistra, che amano pensare alle cave come alla soluzione finale di ogni problema, scambiando la loro riconferma al potere eventualmente derivante dalla pronta disponibilità delle entrate straordinarie da attività estrattiva per il bene della Città? Parliamo ovviamente di Cava Bologna: chissà che dal cilindro di questa Giunta, prima o poi, vista la fretta più prima che poi, esca un altro progetto di risanamento ambientale? E’ forse questo il “Director’s Cut” del film di sabato, l’opera che si intende compiere definitivamente.
Staremo a vedere, per parte nostra proseguiremo la battaglia in difesa dei beni comuni e dell’interesse generale dei gualdesi ponendo in essere altre azioni per la chiusura delle cave di Vaccara e per un loro effettivo ripristino ambientale, vigilando nel frattempo perché almeno si scavi entro i limiti non certo angusti della convenzione, perché si ponga almeno fede agli impegni minimi in essa richiesti, perché si ottemperi ad ogni principio di precauzione ambientale. E perché si evitino ulteriori fughe all’indietro nel porre in essere altre ipotesi sciagurate a partire dall’eventuale pensierino di riaprire anche Cava Bologna, secondo la responsabilità che ci lega ai posteri e ci sprona alla tutela del patrimonio ecologico ed in virtù del ruolo politico ed istituzionale che oggi ci compete.
Per la sinistra per Gualdo
Gianluca Graciolini

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