Mai come quest’anno l’inizio della scuola è passato inosservato. Sarà perché la manovra del governo, varata a colpi di fiducia, ha tenuto banco per settimane, gettando nello sconforto gli italiani onesti e lasciando insoddisfatti i mercati internazionali; sarà perché la minaccia di un ulteriore decreto fatto di tagli alla spesa pubblica e alle pensioni e di privatizzazioni si fa sempre più concreta, ma lo stato della scuola e dell’università italiane non sembra essere al centro dell’interesse generale. A dire il vero, manifestazioni e proteste degli studenti e degli insegnanti precari ci sono state in diverse città italiane, ma la loro eco si è spenta in fretta.

Eppure di motivi per preoccuparsi ce ne sarebbero molti.

Come risulta dal IX Rapporto di Cittadinanzattiva su “Sicurezza, qualità e comfort degli edifici scolastici”, l’affollamento delle classi aumenta di anno in anno arrivando a livelli totalmente incompatibili con la sicurezza e con l’efficacia didattica (a San Sisto, una classe di una scuola media conta ben 37 alunni e in alcune scuole il sovrannumero ha costretto a “cacciare” alcuni studenti). Gli insegnanti precari non richiamati in servizio sono sempre di più e gli spezzoni orari loro destinati vengono affidati a docenti di ruolo, seppur appartenenti ad altre classi di concorso. Il numero degli insegnanti di sostegno (circa 94.000) rimane invariato mentre le domande di alunni disabili cosiddetti "certificati" sono in continuo aumento, raggiungendo un rapporto insegnante-alunno di uno a due, il che significa che anche a scuola questi ragazzi rimangono soli con i loro problemi.

L’edilizia scolastica vede ogni anno diminuire sensibilmente le risorse destinate alle manutenzioni e all’adeguamento alle norme di sicurezza, e i laboratori, laddove esistono, sono sempre più spesso inutilizzabili per carenza di materiali e per obsolescenza. Per non parlare delle condizioni igieniche, la cui spesa, per un mal interpretato principio di sussidiarietà, grava interamente sulle famiglie.
Purtroppo, gli effetti sulla qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento di questa condizione non sono percepiti in tutta la loro gravità.
L’Italia ha un tasso elevatissimo di dispersione scolastica, cioè di abbandono degli studi in età precoce – il 18,8% dei ragazzi italiani dai 18 ai 24 anni contro il 12,3 della Francia e il 9,9 della Finlandia – e questo è un dato che dovrebbe far riflettere coloro che hanno responsabilità di governo, perché a fronte di un abbandono scolastico non c’è un’alternativa lavorativa.

La scuola italiana ha subito tagli ripetuti negli ultimi anni, costituendo, insieme agli enti locali e alle regioni, un ottimo terreno di sperimentazione della politica draconiana di riduzione della spesa pubblica che ora rappresenta l’unica misura che questo governo è in grado di mettere in campo per affrontare la crisi. Le ore di insegnamento calano, gli stipendi degli insegnanti della scuola pubblica sono tra i più bassi d’Europa e i trasferimenti in favore dell’istruzione pubblica hanno raggiunto entità tali da mettere in serio pericolo l’esercizio effettivo del diritto allo studio.

Mentre i paesi europei forti hanno compreso che investire nell’istruzione, nella ricerca, nel sapere è il solo modo per affrontare la crisi, il nostro governo ha dichiarato guerra alla scuola pubblica.
Dopo che la scuola pubblica sarà declassata e divenuta residuale rispetto a quella privata, frequentata solo da chi non può permettersi altro, popolata da insegnanti impotenti e frustrati e da ragazzi di “frontiera sociale”, che ne sarà del nostro paese?
Prima che sia troppo tardi, difendiamo la scuola pubblica.

Patrizia Proietti
Segreteria Regionale PRC – Federazione della sinistra

 

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