La discussione che pur ci ha appassionato sull’opportunità o meno delle aperture festive dei negozi e dei centri commerciali della nostra Città nel giorno del Patrono o nel giorno del Palio di San Michele Arcangelo o l’altra discussione che ha appassionato sindacati, associazioni dei consumatori e finanche Vescovi e prelati sull’opportunità o meno di dilatare dette aperture nei dì di festa è stata definitivamente spazzata via.

Con la manovra finanziaria di Ferragosto, infatti, detti problemi non si porranno più, o meglio verranno affrontati sotto una luce diversa. Il decreto economico con cui Tremonti si è presentato al Consiglio dei ministri, alla voce misure per lo sviluppo, prevede che negozi e centri commerciali potranno d’ora in poi tenere aperti i battenti tutto l’anno, 24 ore su 24, non solo la domenica, ma anche nei giorni riconosciuti come Festività nazionali, laiche o religiose che siano e chiama le autorità amministrative a rendere operanti tali disposizioni, lasciando ogni facoltà agli esercenti di decidere se, come e quando tenere aperte le loro attività. Una derelugation in grande stile, dunque, si propone per “liberare” il commercio di ogni vincolo e per dilatare il tempo delle compravendite al massimo possibile di ogni loro naturale e convenzionale potenzialità, quale contributo al superamento della crisi e alla ripresa della crescita.

Anche le convenzioni del tempo e le consuetudini popolari più radicate, mores e common law, sono dunque immolate sull’altare del neoliberismo che mostra così, proprio durante la sua crisi più acuta, il suo volto ed il suo spirito più selvaggio, rivoluzionario, dissacrante, iconoclasta. Ad oggi, al pari di quanto accaduto con la soppressione di fatto delle festività laiche e nazionali accorpate alla domenica, poche voci si sono ancora levate contro un provvedimento che renderà uguale ogni giorno a se stesso: il lunedì alla domenica e questa al Natale, al Capodanno, a Ferragosto e via discorrendo.

L’americanizzazione del settore del commercio è totale e si pone come “un’areoportualizzazione” del Paese: un gigantesco duty free shop senza però le sue franchigie a calmierare i prezzi.

Oltre ogni considerazione di natura morale e culturale che ognuno sarà libero di sviluppare autonomamente, quello che ci preme sottolineare di questo provvedimento sono invece le sue giustificazioni e le sue conseguenze economiche, visto che è stato adottato quale misura per contrastare la crisi e riavviare lo sviluppo, o meglio un concetto molto dubbio di sviluppo.

L’avete presente un lettore dvd? Inseriamo il film della crisi economica e finanziaria internazionale da quando essa prese le mosse, dal 2008 negli Stati Uniti, ad oggi. Ebbene, la misura varata dal governo è quello che succede quando si mette mano al tasto rewind (riavvolgimento) a cui fa seguito il play (il via). Tremonti pensa di aver spolverato una “ricetta” economica contro la crisi facendo esattamente il contrario, ovvero tornando ad una delle cause fondamentali della crisi americana del 2008 che aprì il ciclo vizioso cui oggi assistiamo nella sua fase forse più acuta e tremenda e di cui siamo tuttora in attesa dei suoi effetti più duri e nefasti, non ancora manifestatisi in tutta la loro forza distruttiva.

Molti ricorderanno infatti che la crisi del 2008 fu generata per effetto dell’insolvenza generalizzata dei mutui sub prime, il credito al consumo concesso dalle banche americane in una fase di presunta e precariamente fondata espansione senza alcuna o con poche garanzie e precauzioni. Un sistema micidiale che accese la miccia della crisi, portando al fallimento grandi gruppi finanziari e bancari come Lehamn Brothers, con la conseguenza di determinare un effetto domino sull’intero sistema internazionale e costringendo i governi a porre riparo utilizzando il debito pubblico degli Stati per ripianare quello privato delle banche, a loro salvezza.

Un sistema micidiale quello americano perché fondato su una trasformazione di fatto e di lungo corso del meccanismo di approvvigionamento di beni e servizi disponibile ai cittadini e ai consumatori: dagli anni 80 non era più il welfare il terreno su cui si costruiva quel risparmio in grado di accrescere la domanda interna di consumi, ma era diventato il bankfare. Alla caduta del potere di acquisto dei ceti medi e della “working class” si è esclusivamente risposto con una misura di tecnica bancaria: aumentando esponenzialmente la disponibilità a fare credito da parte delle banche e delle finanziarie per agevolare il consumo di beni il più delle volte superflui, aumentando necessariamente i tassi d’interesse vista l’assenza delle garanzie tra i contraenti, con la conseguenza inevitabile dell’insolvenza di massa.

Un sistema micidiale che, sul piano della semantica sociale, ha visto la trasformazione del cittadino che fonda la sua dignità civile, la sua libertà e la sua sicurezza economica sul lavoro ad un mero consumatore di beni ed utente di servizi, quasi sempre privati.

E’ oggi il sistema che di fatto si vorrebbe imporre al nostro Paese con il colpo di coda della rivoluzione liberista del commercio. Una rivoluzione come al solito all’italiana, però, perché la misura pensata da Tremonti appare più come un pericoloso esorcismo a spazzar via il fantasma di una crisi molto reale che come una risposta effettuale e concretamente operante.

Al pari di quanto accaduto negli Stati Uniti, il provvedimento è fondato su una temperie di politica economica che continua ad agire solo sull’offerta dimenticandosi di intervenire sulla domanda: non ha alcun senso infatti tenere aperti negozi e centri commerciali tutto l’anno, 24 ore su 24, se poi la domanda, ovvero il potere di acquisto di salari, stipendi e pensioni è al palo o, come fa in Italia retrocede. Ed è una beffa vergognosa se poi si considera che con questa manovra finanziaria, per la macelleria sociale che è nel suo effetto, quel potere d’acquisto, la base della domanda del consumo sui mercati interni, viene drammaticamente meno a causa della crisi e delle misure che la fanno pagare ai lavoratori e ai ceti medio-bassi, quelli su cui si regge l’economia reale del Paese. Con la prima aggravante che non si interviene con alcuna misura reale di sviluppo e di politica industriale per aggredire il pauroso deficit della bilancia commerciale italiana, uno dei problemi più sottaciuti ma tra i più seri che abbiamo, più del debito pubblico. E con un’altra aggravante che riguarda chi nel commercio presta il suo lavoro, già largamente precario e a rischio diritti per effetto del recente contratto nazionale: un’ulteriore stretta è assicurata.

Di fronte a questa situazione il rischio concreto di questa aeroportualizzazione all’italiana è che si facciano gli errori su cui per anni hanno perseverato gli americani, chiudendo anche da noi il lungo ciclo di smantellamento della stato sociale, sostituendo i suoi benefici con un modello di bankfare che crea artificiosamente una ricchezza privata disponibile a consumare di tutto e di più senza alcuna precauzione, solo grazie ad un debito contratto sempre più compulsivamente ed irresponsabilmente, anche perché irresponsabilmente e di fatto suggerito da un governo che crea artatamente un’offerta solo virtuale.

Un po’ come succede da anni a questa parte con i giochi d’azzardo resi in tutte le salse disponibili dai governi per fare cassa: una politica altrettanto irresponsabile che miete vittime e drammi individuali e familiari quotidiani. Gioco d’azzardo per tutti e negozi aperti tutti l’anno: il sogno della ricchezza per tutti e il godimento di consumare d’ogni sorta un po’, a tutte le ore del giorno e della notte: un messaggio terrificante se si pensa che proviene da un governo. Un governo spacciatore di sogni e di dentifrici per un mix di politiche che Blaise Pascal avrebbe definito “l’oppio del povero”.

L’oppio del povero che sottrae i tempi alla vita, alle relazioni, all’intimità, agli affetti. Una domanda che non ci si pone più da un pezzo: è educativo tutto ciò? Ed è educativo tutto ciò se questo progetto di società lo propone e lo impone un governo per decreto economico?

Noi crediamo di no e gli effetti di questa misura sul commercio se ne risentiranno anche a Gualdo con un ulteriore stravolgimento dell’identità, dell’anima e delle consuetudini della nostra gente e della nostra comunità già interessata dalla proliferazione dei centri commerciali: sarà un parapiglia con quelli più grandi che pretenderanno di dilatare il più possibile le loro aperture senza però considerare che questa misura porta anche per loro qualche buon rischio di natura economica. Rispetto ai Conad Margherita o rispetto ai negozi del centro storico avranno certo più possibilità di contare sul turn over dei propri dipendenti, ma rispetto ad altre grandi majors a noi vicine nel nuovo contesto potrebbero apparire delle mosche. C’è sempre un pesce più grande di te.

Ad ogni modo, per sopperire a tutto ciò proponiamo una modifica al provvedimento di Tremonti: restino pure aperti i negozi tutto l’anno, ma sia prevista la condanna ai “consumi forzati”. Il 10% della popolazione che detiene il 45% della ricchezza e lascia il 50% delle famiglie italiane a sopravvivere con appena il 10% della ricchezza nazionale sia condannata a consumarla tutta, tutti i giorni dell’anno, 24 ore su 24.

Chissà cosa ne penseranno il Beato Angelo da Casale e Pirandello?

Per la sinistra per Gualdo
Gianluca Graciolini

 

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