Uno dei tanti provvedimenti contenuti nella manovra finanziaria del governo che colpirà direttamente il Comune di Gualdo Tadino e segnerà pesantemente la vita e le economie quotidiane dei gualdesi è quello che prevede la messa a gara dei servizi pubblici locali (ad eccezione dell'acqua). La norma prevede che le gestioni in house, tranne quelle con valore economico inferiore a 900 mila euro, debbano cessare entro il 31 marzo del 2012, salvo eventuali modifiche in sede di confronto parlamentare, improbabili vista la sostanziale complicità sulla materia delle opposizioni ivi rappresentate e salvo il confronto con le parti sociali di cui vale il giudizio appena espresso.

Per quanto ci riguarda, senza qui approfondire quanto accadrà con i tagli durissimi ai Comuni o relativamente al trasporto pubblico locale prima taglieggiato e deprivato delle risorse ed ora posto in liquidazione coatta, gli effetti di questa norma determineranno l'obbligo da parte del Comune di mettere in vendita l'ESA, la società a capitale interamente pubblico e comunale per la gestione della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti che ha recentemente allargato il novero delle proprie attività alla gestione degli impianti turistici della Città con l'acquisizione dell'intero pacchetto delle quote societarie di Appennino Servizi.

Questa norma è stata introdotta in una manovra che, per come è nata, quanto a vessazioni per i ceti medi e bassi e quale attentato al lavoro e alla democrazia, somiglia più a un golpe nel bel mezzo dell'estate che ad una finanziaria. Tant'è che la struttura, gli obiettivi e le conseguenze del nuovo provvedimento sono identiche a quelle della legge abrogata solo due mesi or sono dal popolo sovrano e nota come decreto Ronchi allorquando si prevede l'obbligo di messa a gara a data certa, ossia proprio quella disposizione che la stragrande maggioranza degli italiani hanno capito avere un impatto devastante sul valore di quanto si vuole vendere. Non più l'acqua ma cespiti importanti del patrimonio pubblico come i trasporti locali, l'organizzazione della raccolta rifiuti e tutti i restanti servizi locali di rilevanza economica verrebbero svenduti con un impatto drammatico sul valore del nostro patrimonio pubblico. Con l'eccezione dell'acqua, il contenuto del nuovo provvedimento è a sua volta uguale a quello del Ronchi che, come ben noto, non riguardava soltanto l'acqua ma (stava scritto sull'intestazione della scheda n. 1 cui hanno risposto sì circa 27 milioni di elettori) le «Modalità di affidamento e gestione servizi pubblici locali a rilevanza economica. Abrogazione».

Sta dunque succedendo quanto da più parti si temeva e quanto risultava chiaro fin dai primi giorni seguenti alla consultazione referendaria, allorquando rimanevano in campo i tentativi di svuotarne l'esito del suo valore costituente, riducendolo ad una mera questione tecnica legata alla sola gestione dell'acqua. Il governo si fa beffe, in modo palesemente incostituzionale, della volontà sovrana chiara, espressa solo due mesi fa rispetto al primo (e più votato) quesito referendario che era contro il decreto Ronchi-Fitto. Che il referendum non fosse limitato all'acqua lo aveva abbondantemente detto lo stesso fronte del no in campagna elettorale e la stessa Corte Costituzionale era stata chiarissima nel ribadire che ogni quesito costituiva un referendum separato rispetto agli altri, riconoscendo ai promotori la pertinenza costituzionale del primo quesito fondato sull’intento politico di riequilibrare il rapporto fra pubblico e privato nella gestione dei servizi pubblici locali stravolto proprio dall'obbligo di messa a gara.

La vera inversione di rotta richiesta dal popolo e relativa a queste privatizzazioni camuffate da liberalizzazioni non è stata interpretata politicamente da nessuna forza rappresentata in questo Parlamento ed oggi la volontà di svendere i beni comuni ritrova la sua via, con la scusa dell'emergenza della crisi economica e finanziaria e senza nessuna soluzione di continuità tra le politiche economiche e la deregulation economica, sociale e finanziaria degli ultimi venti anni, la crisi che infine esse stesse hanno generato ed i presunti suoi rimedi che in tutto coincidono con le sue cause. Come a dire che la sbornia neoliberista cui si sono dedicate da più di vent’anni le classi dirigenti politiche ed economiche non si spegne neanche con le secchiate di ghiaccio secco di questa crisi e nonostante stia producendo la cirrosi della società a prevalente scapito delle masse popolari.

L'esito di questo imperdonabile vuoto nell'interpretare il cambiamento di sensibilità politica nazionale è che il governo Berlusconi impone sotto dettatura dei poteri forti europei e italiani una manovra che fa strame del patrimonio pubblico e dei beni comuni, sacrificandoli sull'altare della crescita, peraltro solo presunta. Ma il popolo aveva detto che i trasporti pubblici ed i rifiuti, non meno dell'acqua, devono essere governati in modo ecologico, sociale e sostenibile, nell'interesse comune e non in quello dei soliti poteri finanziari.

La finanziaria, alla voce privatizzazione obbligatoria per i servizi pubblici locali e se non interverranno mobilitazioni di successo, determinerà dunque la svendita dell'ESA ai privati vanificando così ogni sforzo di risanamento economico, di ristrutturazione finanziaria e di riorganizzazione dei servizi messo in campo dalle due amministrazioni locali che si sono succedute in questo compito, gettando alle ortiche ogni investimento pubblico rivolto con successo a questi obiettivi, ponendo pesanti interrogativi sul futuro dei livelli occupazionali, espropriando completamente la pubblica amministrazione e i suoi consessi di rappresentanza e di governo da qualsiasi funzione di controllo e di indirizzo sul servizio e compromettendo gli stessi obiettivi per la raccolta differenziata, la riduzione, il recupero e il riutilizzo dei rifiuti (se sei un privato che intende fare profitti in questo settore difficilmente troverai interesse a ridurre e selezionare i rifiuti; più rifiuti e meno selezionati si producono, più ci si guadagna e prova ne è quanto è successo in Italia in questi anni).

Sul fronte delle tariffe è poi facile prevedere quali saranno gli effetti: esse aumenteranno in maniera vertiginosa a scapito dei cittadini e delle imprese perchè i privati, molto più di quanto sia accaduto con l'acqua, pretenderanno una garanzia per i loro profitti nell'ambito della gestione di un servizio che, al pari dell'acqua, si pone sostanzialmente a domanda rigida. In un contesto territoriale dato e limitato, fatte salve, se ci sono, le grandi imprese che avrebbero la forza di fare in proprio o rivolgersi a chi è più conveniente, la privatizzazione di un servizio come questo non consente certo ai cittadini la libera scelta del gestore che per prezzi e qualità del servizio ti accontenta di più. Strano modo di intendere le liberalizzazioni in un Paese come il nostro di cui è universalmente nota la mentalità liberale dei poteri forti, delle grandi imprese e delle caste e non invece la loro ostinata pervicacia a papparsi la torta, spartirsi i mercati e mettersi d'accordo su prezzi, tariffe, livelli di prestazione, anche in quei settori dove le privatizzazioni o le liberalizzazioni secondo la vulgata del libero mercato e del laissez-faire avrebbero dovuto determinare benefici sicuri proprio per gli utenti e i consumatori.

Lasciamo solo immaginare i nostri concittadini quale effetto produrrà questa norma sulle loro tasche, un pò perchè l'hanno in parte già sperimentato nel caso dell'acqua, un pò perchè già da quest'anno, a Gualdo, gli è stato rifilato un aumento secco dell'8% destinato ad aumentare nel prossimo anno, comunque poco rispetto a ciò che accadrebbe con la privatizzazione.
Va da sè che l'eventuale privatizzazione di ESA, oltre le conseguenze gravissime e generalizzate di cui sopra, avrebbe anche quella sciagurata di rimettere in discussione le gestioni degli impianti turistici così come ad oggi affidate e così come in via di affidamento: difficilmente si potranno prevedere condizioni economicamente sostenibili al pari di quelle stabilite per le gestioni appena avviate. Uno scorno per una Giunta che ha prima preteso di incorporare Appennino Servizi in ESA senza alcuna precauzione di sorta e che a distanza di poco tempo assiste al rischio di trovarsi nell’obbligo di svendere l’intero patrimonio e di tornare a condizioni ancor più difficili di quelle trovate in partenza. Un danno certo a chi ha investito negli impianti ed un ostacolo a chi vorrebbe o potrebbe investirci nel futuro.

Tutti i rischi che abbiamo esposto sono però solo il meglio di quel che potrebbe accadere e che può attenderci dietro l'angolo: in un settore delicato come quello dei rifiuti non sono da sottacere i rischi dell'avventurismo economico e dell'irresponsabilità sociale ed ambientale quando non quelli derivanti dalle infiltrazioni della criminalità organizzata. Prospettive che potrebbero portare al disastro un'organizzazione del servizio faticosamente definita con gravi conseguenze per l'ambiente e la coesione sociale della nostra comunità. Non parliamo di aria fritta e non vogliamo far parlare il pregiudizio per cui tutto ciò che è privato è brutto, sporco e cattivo, ma sveliamo solo quello che è successo in tutt'Italia, negli ultimi vent'anni, in casi simili e, se qualcuno osa ricordare, anche nella nostra Città, almeno per quanto riguarda un pezzo della filiera dei rifiuti.

Rispetto ad un provvedimento che è di una gravità politica, giuridica e costituzionale inaudita, occorre perciò e da subito mettere in campo una mobilitazione istituzionale e sociale, a partire dagli Enti locali. A meno che la Giunta non si senta di condividere la misura del governo e non intenda fare cassa svendendosi i propri servizi a scapito dei cittadini, a partire da quelli più fragili e più esposti agli effetti della crisi, in questo frangente e di fronte a questa prospettiva di gran lunga molto più seria, concreta e sciagurata, il Sindaco dovrebbe dimostrare la stessa determinazione, indignazione ed ostilità di quella dimostrata nel caso del mancato inserimento dei Giochi de le Porte nel Patrimonio d'Italia, un compitino facile facile per le vacanze cui si è prodigato dopo la nostra sollecitazione. Diversamente, in questo caso, c'è in gioco un servizio pubblico locale fondamentale per i cittadini che va senz'altro perfezionato e migliorato, c'è in gioco un'azienda che è oramai un "gioiello di famiglia" e che ancor più potrebbe diventarlo e in gioco ci sono l'interesse generale, le vite e gli interessi concreti dei cittadini chiamati a pagare il conto di un pasto che loro non hanno certamente consumato: è per questo che, subito dopo ferragosto, andremo a leggere le carte alla Giunta e al Consiglio comunale presentando un Ordine del giorno contro questo ennesimo ed ulteriore accanimento del governo contro gli Enti e i servizi pubblici locali, contro l'ennesima beffa e l’ennesimo furto di democrazia e la mattanza sociale ad esso connessa e contro l'ulteriore svendita di un patrimonio pubblico e comune quale è e quale deve restare l'ESA di Gualdo Tadino. Un Ordine del giorno che giunga a pretendere, nell'immediato, l'intervento diretto del Capo dello Stato e l’impegno dei parlamentari umbri e, in via preventiva, l'eventuale ricorso di incostituzionalità, qualora il provvedimento dovesse rimanere tale anche dopo l'iter delle Camere.

Per la sinistra per Gualdo
Gianluca Graciolini

 

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