La prima cosa da fare per restituire credibilità ad un percorso di soluzione della vertenza Merloni è la rimozione dei tre commissari dal loro incarico. Lo stallo e lo stato di confusione e di incertezza in cui versa questa vertenza richiede oggi un cambio radicale di gestione e di rotta, anche alla luce del prevedibilissimo abbandono delle trattative da parte di MMD, la cui proposta era risultata comunque poco consistente e del tutto insoddisfacente ai fini della prosecuzione dell'attività produttiva in continuità e della salvaguardia dei posti di lavoro.
Le due Regioni Umbria e Marche debbono pretendere dal Ministero dello sviluppo economico la chiusura di questo ciclo di gestione commissariale e debbono formalmente avanzare la proposta di un regime a commissario unico individuato e selezionato proprio dalle Regioni con la condivisione delle parti sociali. Dopo la rinuncia di MMD, la notizia fatta trapelare dai tre commissari sulla sussistenza di una nuova e non meglio dettagliata manifestazione di interesse che dovrebbe prevedere la sola cessione di alcuni assets in discontinuità ha il sapore di una beffa e come tale si associa ai fallimenti e alle contraddizioni di cui è costellata la gestione triarchica dell'azienda commissariata, primo fra tutti, come abbiamo più volte sottolineato, l'originaria, incomprensibile e sconcertante rinuncia ad abbozzare qualsivoglia piano industriale in proprio per riorganizzare i processi produttivi e le reti commerciali e per proseguire l'attività produttiva, sulla scorta dell'esperienza Parmalat, fatta ogni debita differenziazione, preferendo invece e da subito intavolare le trattative per la cessione degli assets.
Questo vizio all'origine ha di fatto segnato il prosieguo della vertenza e ha alle sue radici due concause: l'assenza di una politica industriale del governo e l'irreversibilità della crisi di un'azienda decotta sia come prodotto sia nel mercato. Pertanto, se si vuole cambiare veramente la rotta nelle procedure di soluzione di questa crisi aziendale e pretendere dal Governo, come è nei suoi doveri e nelle sue funzioni, una politica industriale concretamente attiva che offra soluzioni e dia risposte concrete, occorre sì rinvigorire una vertenza nazionale altrimenti destinata ad essere soffocata dal nuovo scenario di crisi economica e finanziaria, ma occorre rinvigorirla attraverso atti forti e spartiacque che segnino bene la discontinuità con quanto di confuso è accaduto fino ad oggi e che è possibile leggere nelle tante, distonanti e velleitarie dichiarazioni quotidiane dei rappresentanti delle istituzioni, della politica pour parlez e dello stesso sindacato.
La richiesta di superare l'attuale modello di commissariamento della Merloni nasce dunque da questa necessità oltre che dalla constatazione di questi fallimenti di fatto e non si pone certo come una ricerca di tre capri espiatori, per quanto ci sia sempre apparso improvvido varare una triarchia commissariale, se non altro per gli alti costi dovuti alle indennità di funzione, presumibilmente a valere sulle risorse previste per l'Accordo di programma. Vi è invece la considerazione dell'urgenza e dell'obbligo ad aprire una nuova fase nella vertenza che deve muovere chi oggi ha e deve avere un ruolo ed una responsabilità nella salvaguardia di questo patrimonio industriale e nel rilancio del suo importante indotto: sì il Governo con una vera politica industriale, certo le Regioni che devono fare di più e a cui un nuovo commissario unico dovrà rispondere direttamente, ovviamente le organizzazioni sindacali che devono essere meno approssimative, più attente a vigilare e più decise e continue nella mobilitazione, senz'altro gli industriali la cui rappresentanza ha fin qui inspiegabilmente latitato, sicuramente gli Enti locali chiamati a svolgere un compito di sollecitazione permanente e di attiva promozione del proprio territorio ad attrarre investitori.
D'altronde è dal 2003, con le prime richieste di cassa integrazione e con i primi mancati rinnovi dei contratti, che abbiamo lanciato i primi consistenti allarmi sulla crisi della Merloni, sui limiti e sui ritardi di questa azienda a fronteggiare i nuovi scenari della globalizzazione e dei mercati, ed è nel 2005, al varo dell'ultimo Piano industriale dell'azienda di cui, solitari, sottolineammo le sue evidenti e sciagurate criticità nel corso di un convegno interregionale organizzato proprio a Gualdo e durante il quale dicemmo cose allora bisfrattate di cui oggi, con gravi ritardi ed inopportune velleità, da più parti ci si riempie la bocca. Ovvero che quel Piano industriale scontava dei limiti e dei ritardi evidenti, che non andava bene, che sarebbe fallito e che avrebbe dritto per dritto portato al fallimento dell'azienda, che la firma acritica e senza riserve dei sindacati era stata un errore, che il governo anche allora non dava certo un contributo di politica industriale e che bisognava per l'appunto aprire già da allora una vertenza nazionale con il concorso delle due Regioni e dei territori.
Sappiamo come siano in realtà andate le cose e non è peraltro difficile immaginare come andranno in un futuro più che prossimo se la vertenza dovesse ristagnare nelle attuali madalità di gestione e senza alcun tentativo reale di invertirne le sorti, con la differenza che allora c'era almeno la prospettiva della cassa integrazione, oggi non più, perlomeno non tanto quanto ci si è potuto contare fino ad oggi.
Così come abbiamo voluto sostenere nel corso della grande assemblea dello scorso dicembre, è necessario rompere ogni indugio e va messa a punto e riconsiderata la strategia per salvare la Merloni elaborando un progetto industriale nuovo ed alternativo che punti dritto alla riconversione radicale dell'azienda. Occorre aprire una nuova fase per la Merloni che verifichi da subito le eventuali disponibilità delle forze economiche e sociali "sul territorio" e nel contesto delle due Regioni, quali ambiti privilegiati della riconversione, che possa essere sostenuta da un programma straordinario per l'accesso al credito sciogliendo il nodo del sostegno necessario del sistema creditizio, che possa contare e fare perno su una concreta disponibilità delle risorse e degli strumenti previsti nell'Accordo di programma da sbloccare immediatamente e che possa costringere una volta per tutte il governo ad un nuovo intervento pubblico nell'economia e a coadiuvare attivamente e con ogni altra misura necessaria di indirizzo e di incentivo, economico, fiscale, infrastrutturale e finanziario tutti i soggetti del territorio per un progetto che nel territorio rinasce, nel territorio affonda le sue radici, nel territorio promuove un nuovo mercato e nel territorio ricolloca le relative e più innovative produzioni, al territorio chiede di reagire con più coraggio. E tutte queste attività vanno coordinate da un commissario unico che operi anche "in loco", disponga di ampli poteri economici e decisionali sostitutivi di quelli normalmente esercitati dal governo e risponda anche e direttamente alle Istituzioni regionali.
Lo scenario economico italiano ed internazionale che si riverbera anche nella nostra Regione e dalle nostre parti ci dice infatti una cosa fondamentale: continuare a contare su un miracolo di una seria manifestazione internazionale di interesse è una pura follia. La vendita dei titoli finanziari italiani ha infatti e solamente fatto seguito a quanto negli ultimi due anni si è verificato nell'economia reale con la fuga degli investitori esteri dal nostro Paese e ciò non depone certo a favore di una soluzione per la Merloni, soprattuto in una fase in cui è manifesta la determinazione di questo Governo a dismettere il proprio ruolo nell'economia e nell'industria del Paese e perdurando così la situazione politica del Paese.
Per riportare il Governo ai suoi doveri è necessario pretendere e costruire "in loco" questo progetto ed occorre la volontà, la consapevolezza e la mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori, delle Regioni e degli Enti locali a svolgere questo ruolo non certo facile di protagonisti. Continuare solo a chiedere che la vertenza sia nazionale pur constatando le volontà, le determinazioni e le incapacità del Governo e non dire con quali strumenti, tempi ed obiettivi si intenda riempirla di contenuti, è un modo come un altro per perdere tempo, svilire il proprio ruolo, fare esclusivamente tattica politica e contare solo sul pannicello caldo di una prossima, anche se ultima, proroga della cassa integrazione. In assenza di questo coraggio, di questa capacità di mobilitazione e di questa proposta di soluzione, risulta ben facile a tutte e a tutti immaginare il dopo.

Per la sinistra per Gualdo
Gianluca Graciolini

 

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