MILANO - I carabinieri hanno eseguito in varie regioni italiane un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Catanzaro nei confronti di 10 indagati per riciclaggio e reimpiego di proventi da narcotraffico, con l'aggravante di aver agevolato l'associazione mafiosa.
Ne dà notizia una nota dei carabinieri, spiegando che le indagini hanno accertato gli "enormi interessi del narcotraffico internazionale" della cosca Mancuso operante nella provincia di Vibo Valentia.
"I recenti approfondimenti sul fronte patrimoniale, hanno consentito di ricostruire il complesso circuito del riciclaggio e del reimpiego dei narcoproventi", anche in un istituto di credito di San Marino.
I provvedimenti sono stati eseguiti in Calabria, Lazio, Umbria, Liguria ed Emilia Romagna su richiesta della procura distrettuale antimafia.

Nella nostra regione sarebbe incappato nella rete tessuta dai carabinieri un noto imprenditore, di origini calabresi, residente da anni a Città di Castello. 

La cosca era stata già oggetto di operazioni di polizia negli scorsi mesi. A settembre 2010 la confisca di beni per cinque milioni di euro a un presunto esponente che faceva ricorso al sistema delle vincite del Superenalotto per riciclare i proventi del traffico di droga.

L’operazione ha portato all’arresto, fra gli altri, del presidente e fondatore del Credito Sammarinese Lucio Amati con l’accusa di essere in stretto contatto con esponenti ‘ndranghetisti del clan Mancuso. L’operazione, condotta dai carabinieri del Ros e coordinata dalla Dda di Catanzaro, si chiama “Decollo Money”. Le accuse sono di riciclaggio e reimpiego del denaro proveniente dal traffico di droga.

Le indagini calabresi hanno accertato “consistenti rapporti bancari” tra diversi esponenti della cosca e il Credito Sammarinese (Cs) di Amati, che ora si trova nel carcere di Rimini. A far scattare il provvedimento, che ha riguardato anche altre due persone legate alla banca, sarebbero state le confessioni dell’ex direttore generale del Cs, Valter Vendemini, finito in manette l’8 luglio scorso per i rapporti tra il suo istituto di credito e Vincenzo Barbieri, esponente di spicco della famiglia Mancuso.

Quello di Barbieri è il nome chiave attorno a cui ruota l’intero circuito di riciclaggio bloccato oggi dai carabinieri, anche grazie alla collaborazione delle autorità della Repubblica di San Marino. Il broker della droga, residente a Bologna e ucciso nel marzo scorso in un agguato in provincia di Vibo Valentia, aveva infatti due conti correnti aperti presso il Credito della Repubblica del Titano, usati dalla ‘ndrangheta come depositi per riciclare il denaro proveniente dal narcotraffico.

Il calabrese, nato 54 anni fa a Limbadi (provincia vibonese), è stato freddato a San Calogero a colpi di fucile a canne mozze e proiettili 7.65. Se i suoi killer non l’avessero ammazzato nel tardo pomeriggio del 26 marzo davanti a una tabaccheria, nel giro di qualche giorno sarebbe tornato a Bologna, dove abitava in un attico in via Saffi.

E qui, probabilmente, avrebbe proseguito con le sua attività: armi e narcotraffico, secondo gli investigatori. Attività per le quali era stato arrestato nel capoluogo emiliano a giugno del 2009 e che lo avevano fatto entrare nelle relazioni semestrali della Direzione Investigativa Antimafia perché ritenuto un uomo dei clan calabresi a Bologna. Dopo il suo assassinio, nei confronti degli eredi di Barbieri fu eseguito un provvedimento emesso dalla procura della Repubblica di Bologna di sequestro di beni, tra immobili e quote societarie, per svariati milioni di euro.

Gli arresti di questa mattina fanno parte di una vasta operazione contro il narcotraffico internazionale, che nel 2004 portò a 154 provvedimenti restrittivi e al sequestro di 5000 chili di cocaina. Pochi anni dopo, le stesse indagini fecero emergere il ruolo di Vincenzo Barbieri e le dinamiche criminali della cosca Mancuso, di cui Barbieri era a capo. Il boss insieme a Francesco Ventrici, altro esponente di spicco del clan, importava cocaina dal Brasile, dal Venezuela e dalla Colombia, da destinare al mercato italiano e australiano. I proventi venivano poi reimpiegati in diverse società calabresi.
 

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