L'editoriale di Gian Filippo Della Croce - Compagni Addio
di Gian Filippo Della Croce -
Anche Nichi Vendola, il “cantautore” della sinistra, lo ha detto, il “narratore “ ha sostenuto che il termine “compagni” è ormai morto, sarebbe meglio sostituirlo con “amici e amiche”, suona meglio ed è meno compromettente.
Del resto Vendola non ha fatto altro che sancire una tendenza ormai in atto da qualche tempo a sinistra: quella della decadenza del termine “compagni”, che rimette in discussione passato, presente e futuro di una idea di riscatto sociale, di affermazione di valori, di giustizia sociale, di libertà. Il compagno era colui che condivideva quelle scelte e quel termine veniva da lontano, dal mondo romano, dove “cum panis” (condividere il pane) significava amicizia, solidarietà.
Chiamarsi compagni, ma anche amici, fratelli, eccetera, voleva dire riconoscersi in una idea, in una comunità, delle quali l’attuale furente revisionismo di sinistra ha deciso di fare a meno, con operazioni dirigistiche assolutamente carenti sul piano culturale, magari somiglianti più a prestidigitazioni che a iniziative politiche. Il risultato è sotto gli occhi di tutti : una sinistra frantumata, divisa in diverse prospettive ideologiche, senza idee, senza progetti veri di cambiamento, agitata da continue fibrillazioni interne prodotte dalle frizioni e dagli scontri delle tante anime che la compongono, a partire da quelle numerosissime che albergano nel maggiore partito di sinistra il Partito Democratico.
Partito che nell’attuale forma non ha ancora pienamente trovato una sua reale identità politica e culturale e se ancora può essere un riferimento per il popolo di sinistra è soltanto grazie al retaggio ( a volte benedetto e a volte maledetto) di quegli “antichi compagni” fra i quali ve ne sono stati di più e di meno meritevoli, come sempre succede e fra questi ultimi ce n’è stato anche qualcuno che ha veramente esagerato.
Ma la fretta è sempre cattiva consigliera, così la fretta revisionista di una classe dirigente che vuole a tutti i costi sopravvivere a se stessa, può giocare brutti scherzi di immagine e di credibilità a una sinistra che vuole candidarsi a governare il Paese. E’ vero che durante un cambiamento qualcosa si perde sempre, in questo caso qualcosa che definiva un’immagine, un modo di vivere un’idea e per questo radicato nella lunga storia della sinistra italiana.
Oggi quella storia ha preso altre strade e il rinnovamento impone sacrifici, la mediaticità della politica odierna può fare a meno di un vecchio modo di riconoscersi e così il “cari compagni e compagne” , il classico incipit usato negli interventi , da quelli nei comitati di sezione a quelli nel comitato centrale, ai saluti , può andare in soffitta, dove meriterebbe di andare anche una classe dirigente impegnata principalmente a salvare se stessa.
Anche adesso, che un sempre più largo movimento di opinione, a fronte dei sacrifici che vengono richiesti ai cittadini per uscire da una crisi di cui non conoscono ne le cause ne i possibili effetti (ma a chi interessa veramente evitare il “default” ai semplici cittadini o ai grandi capitalisti?), chiede a gran voce ai politici tutti(di sinistra e non) una onesta condivisione degli stessi sacrifici, rinunciando ai privilegi fino ad ora goduti e pagati dai cittadini stessi. La politica è stata ridotta a un interesse di casta, i “distinguo” non sono più credibili ne sufficienti alla luce dei fatti che accadono e che vedono coinvolti , anche giudiziariamente, , esponenti politici di primo, secondo e terzo piano. Nessuno divide più il pane con nessuno, Compagni, addio..

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