L'imbroglio della riforma fiscale
di Franco Calistri, Socialismo 2000-Federazione della Sinistra -
Spinto dalla necessità di recuperare consensi dopo la batosta delle amministrative ed il risultato del referendum, il governo sembra ormai deciso a varare la tanto promessa riforma fiscale, centrata sulla riduzione delle attuali cinque aliquote Irpef a tre, promessa che, per chi ha buona memoria risale almeno al 2001, rispolverata in molte occasioni ma mai attuata. Adesso pare che sia la volta buona, anche se con la manovra di luglio verrà approvata solo una norma delega, che darà mandato al governo di predisporre (entro quando?) i relativi decreti delegati da sottoporre successivamente al parere delle competenti commissioni parlamentari, e quindi divenire operativi. Insomma campa cavallo, la riforma non sarà domani e forse neanche dopodomani, c'è da scommettere che arriverà il giorno prima della fine dell'attuale legislatura.
Ma prendiamo per buone le intenzioni del governo che, come ricordato prevedono l'introduzione di tre scaglioni, con aliquote del 20%, 30% e 40%. rispetto alle attuali cinque (23% fino a 15.000 euro, 27% da 15.001 a 28.000, 38% da 28.001 a 55.000, 41% da 55.001 a 75.000, 43% oltre i 75.000 euro). Quindi, da come si legge sui giornali, la riforma prevederà un accorpamento dei vecchi scaglioni di reddito, riportandoli da cinque a tre. Sulla base di questa ipotesi qualcuno, la tenace Confederazioni degli artigiani (Cgia) di Mestre, ha provato a fare un po' di conti per vedere chi e quanto ci guadagna da questa riforma. Il punto di partenza è che la riforma si muova prevedendo l'invarianza del primo scaglione (fino a 15.000 euro), l’unificazione del secondo e terzo scaglione, che andrebbe da 15.000 a 55.000 euro, nonché quella del quarto e quinto (oltre i 55.000 euro). In questo caso l’aliquota del primo scaglione scenderebbe dal 23% al 20%, quella del secondo sarebbe fissata al 30%, quello del terzo al 40%.
Per rendere più semplici i calcoli la Cgia di Mestre ha preso a riferimento un lavoratore dipendente singolo (ma la cosa non cambia per i lavoratori con carichi di famiglia) ed ha ipotizzato l'invarianza dell'attuale sistema di detrazioni. Da questa simulazione se ne scoprono delle belle. Il calo di tre punti della prima aliquota (dal 23% al 20%) porta indubbiamente dei vantaggi e fa sì che da 8.885 euro a 15.000 il risparmio rispetto alle imposte attuali cresca fino ad un massimo di 450 euro l'anno. Ma successivamente accade il contrario, poiché l’aliquota del 30% è superiore a quella vigente del 27% , e quindi lo sgravio si riduce progressivamente fino a ridursi a 60 euro per un imponibile di 28.000 euro. Successivamente invece l'attuale terza aliquota al 38% viene sostituita da quella al 30%, e quindi per ogni 100 euro di aumento del reddito se ne guadagnano 8, fino a 55mila euro. Dopo i guadagni si riducono perché tra 55.000 e 75.000 la differenza (tra 41% e 40%) è di un solo punto percentuale; va meglio dopo i 75.000 euro perché la differenza torna a tre punti (43% e 40%). Qui gli sgravi passano progressivamente da 2.420 euro per redditi da 75.000 euro fino a 3.170 euro per quelli di 100.000 euro.
E qui ci fermiamo, non senza ricordare che nella fascia di reddito tra i 15.000 ed i 28.000 euro si concentra la gran parte del lavoro dipendente, quasi 9 milioni di lavoratori. Se a questo aggiungiamo che la manovra, come sembra dovrebbe essere finanziata con aumenti dell'IVA, di dimensioni tali da assicurare la parità di gettito, è del tutto evidente che questi lavoratori andrebbero a pagare gli sgravi dei redditi più alti. Senza dimenticare le migliaia di pensionati e lavoratori precari sotto la soglia dei 15.000 euro, quindi attualmente già esenti dall'imposta, che non trarrebbero alcun beneficio dalla riforma, ma pagherebbero gli sgravi dei redditi alti. Non c'è che dire un vero, colossale imbroglio.

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