Brutti (IdV): "Tav in Val di Susa nodo irrisolto dal Governo"
Sono molti anni che la questione Tav in Val di Susa è un nodo irrisolto delle politiche infrastrutturali dell'Italia. La questione non è solo di natura ambientale, anche se l'impatto è di tutto rilievo. Per provare a risolvere i problemi che quest'opera presenta fu istituito un Osservatorio che ha lavorato molto e bene in questi anni. Oltre all'Osservatorio ha dato un serio contributo la Comunità montana della Val di Susa. Entrambe queste strutture anno evidenziato la necessità di importanti modifiche del percorso e di robuste mitigazioni ambientali. Tra esse, ritengo, la più importante è quella che innalza la quota della galleria di valico in modo da renderne lo sviluppo lineare il più breve possibile. Non so se queste indicazioni di tracciato siano state prese in considerazione. In ogni modo il governo avrebbe fatto bene a studiarle e ad assumerle invece di assentarsi in un lungo letargo dal quale si è risvegliato con la polizia antisommossa di Maroni. Il problema della galleria pilota è tutto qui. Ma sia l'Osservatorio che la Comunità montana hanno posto altri problemi a mio giudizio ancora più importanti di quelli strettamente ambientali.
Provo a riassumerli.
Il problema economico. L'esigenza della nuova ferrovia era sostenuta con l'argomento che la linea storica era al collasso e non avrebbe assicurato i volumi di traffico necessari negli anni 20 di questo secolo. La crisi ha messo in discussione queste valutazioni, di per sé molto aleatorie, ma resta il fatto essa si colloca in un corridoio europeo e che le valutazioni economiche della UE e della sua Commissione non hanno fatto proprie queste considerazioni sulla economicità dell'opera. Il mio giudizio è che la ferriovia non si autofinanzierà e avrà l'aspetto di un'opera infrastrutturale fatta con investimenti pubblici a fondo perduto. Non siamo in presenza di un progetto come quello della galleria sotto la Manica, realizzato in project financing, e che fece fallimento proprio sotto questo profilo, ma di un investimento che sconta sin dall'inizio la mancanza di un ritorno diretto, capace di ricompensare i costi di realizzazione, e si fonda piuttosto sulle economie di sistema che sarebbe in grado di creare.
E' noto che queste valutazioni sono sempre molto qualitative e quasi mai accompagnate da misurazioni effettive dell'utilità economica dell'opera. Ma tant'è, la UE, così rigorosa nel difendere le prerogative del mercato, questa volta si comporta come una specie di Cassa del Mezzogiorno d'Europa. Il rischio che la Tav inVal di Susa finisca per essere una cattedrale nel deserto è rafforzato dal fatto che mentre Ferrovie dello Stato sponsorizza entusiasticamente l'opera, altrettanto entusiasticamente procede alla dismissione del sistema Cargo, che non è altro che la parte merci delle FS.
Nasce spontanea una domanda. Quali merci attraverseranno il valico e su quali vettori saranno trasportate? FS si lancia in un profluvio di considerazioni tecnologiche sulle caratteristiche dei treni merci ad alta velocità ma non da nessuna risposta se saranno i suoi treni a trasportare una quota ragionevolmente elevata delle merci e se queste saranno anche merci prodotte in Italia e non solo in Francia, Spagna; Portogallo e paesi dell'ex Est europeo.
Il problema logistico. Il corridoio europeo, nella parte italiana, presenta almeno quattro strozzature irrisolte: il passaggio oltre Trieste, il corridoio veneto, la linea mediopadana e il sistema metropolitano di Torino. In particolare il sistema torinese rappresenta un blocco insuperabile. Se una caratteristica positiva aveva il progetto Tav era quella che con questo progetto si poteva provare a risolvere in modo definitivo e strutturale la questione di quello che impropriamente si chiama il passante di Torino. La questione era ben presente sia all'Osservatorio che alla Comunità montana e da questa attenzione era nata una proposta che penso si dovrebbe sostenere ancora. La funzionalità del nuovo tracciato deriva da quella di tutte le sue componenti, anzi quelle del sistema a valle del valico sono essenziali per impedire che il traffico del traforo sia strozzato prima ancora di nascere.
Il progetto avrebbe dovuto, quindi, svilupparsi per stadi successivi, a partire dalle soluzioni strutturali di Torino fino al traforo, da realizzarsi solo alla fine e dopo aver constatato la veridicità dell'affermazione che la galleria di base è parte di un progetto complessivo e non un'opera a sé stante, fatta solo per dare lavoro e reddito ai suoi costruttori. Le ultime dichiarazioni del governo, per bocca del ministro Maroni, dicono invece che, per risparmiare sui costi e affrettare le procedure, l'opera comincerà dalla galleria di base e non si realizzerà la parte a valle, in particolare quella del nodo di Torino. Questa impostazione cancella la valenza strategica del progetto e lo riduce a una copia di quello del ponte sulle Stretto. In entrambe le opere manca il raccordo tra il manufatto e la rete infrastrutturale di connessione, col risultato, anche stavolta, di creare un'altra cattedrale nel deserto.
Il problema della condivisione. Nonostante le grida altisonanti del centro destra sulle cosiddette opere strategiche, sin dal tempo della prima forzatura fatta dall'allora ministro Lunardi, è apparso chiaro che le amministrazioni locali e le Regioni hanno un potere che non può essere compresso oltre una certa misura sull'uso del territorio. La cosa è stata chiarita da diverse sentenze della Corte Costituzionale. Inoltre, in via di fatto, è del tutto evidente che le opere infrastrutturali realizzate in un clima di consenso sono andate avanti e si sono concluse. Quelle portate avanti con esibizioni muscolari sono ancora ferme al progetto.
Solo la ricerca paziente della condivisione e l'ascolto dei problemi veri delle popolazioni e delle loro amministrazioni possono produrre un circolo virtuoso e un effettivo avanzamento nella realizzazione dei lavori. E' la gente del posto che si accolla l'onere dell'impatto ambientale, imponente come per ogni grande opera, ed è a essa che il Paese deve attenzione e gratitudine. "Padroni a casa propria", strillano a Pontida. Perché questo non vale per gli abitanti della Val di Susa?
Noi dell'IdV siamo amici del fare ma prima ancora siamo figli del buon diritto. Più intese e meno camionette, ministro Maroni, e a lottare per le intese fermando le camionette l'Idv ci sarà. Dalla parte della ragione e dei cittadini.
Segretario regionale Italia dei Valori, responsabile nazionale del Dipartimento Infrastrutture

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