La vera malattia italiana non è il debito pubblico ma la bassa crescita
di Franco Calistri, Socialismo 2000-Federazione della Sinistra -
Oggi, il differenziale di rendimento tra Buoni decennali del Tesoro italiani e gli omologhi tedeschi ha raggiunto il livello record di 223 punti. Questo è, in ordine di tempo, l'ultimo segnale delle difficoltà nelle quali si trova il nostro paese, che fa seguito al declassamento del debito italiano operato dall'agenzia di rating Standard & Poor's, alla messa sotto osservazione da parte dell'altra agenzia internazionale Moody's. Tutto ciò si traduce in un appesantimento degli oneri per interessi, in quanto gli investitori ritengono i titoli del debito italiano più rischiosi e per questo maggior rischio chiedono una più alta remunerazione, un tasso più alto di interessi. A preoccupare gli investitori internazionali c'è sicuramente l'alto livello dello stock di debito accumulato dall'Italia (120,6% del PIL per l'anno in corso), e quindi la richiesta che si operino aggiustamenti di bilancio, ma la preoccupazione maggiore deriva dalla bassa crescita attuale ed in prospettiva dell'economia reale. La “sfiducia” degli investitori internazionali nei confronti dei titoli di debito italiani nasce esattamente da questa preoccupazione.
Per cui se da un lato è necessario mettere mano a misure che riportino sotto controllo la spesa pubblica, senza però deprimere la domanda interna e ridurre oltre il sopportabile la spesa sociale, e questo, sia detto per inciso, richiede l'abbandono della strategia sin qui adottata da Tremonti dei tagli lineari che non funziona, non ha funzionato e non funzionerà, dall'altro, e contemporaneamente, urge attivare misure di rilancio dell'economia, per ridar fiato alla crescita. Tagli lineari o tagli mirati, lotta agli sprechi, politiche di rigore, e chi più ne ha più ne metta, se il paese non torna a crescere, tutto diventa vano, una inutile ed estenuante fatica di Sisifo. Con una crescita striminzita, attorno al punto percentuale, come quella attuale, per centrare gli obiettivi sottoscritti in sede europea si richiederanno avanzi primari del 4,5% del PIL e per diversi anni, roba da ammazzare definitivamente ciò che resta dell'economia del nostro paese; al contrario con tassi di crescita del 2% tutto diventerebbe relativamente più semplice; ad esempio i 223 punti di differenziale prima ricordati si dimezzerebbero, se non di più, consentendo risparmi, in termini di esborso per interessi, a regime, dell'ordine dei 12/13 miliardi di euro l'anno.
Per rimettere in moto l'economia è però necessario reperire nuove risorse, risorse aggiuntive, denaro fresco, si sarebbe detto una volta (e non i soldi finti del recente decreto sviluppo del governo che pretende di finanziare la ripresa economica a costo zero). L'unico modo è quello di introdurre o una tassazione straordinaria e limitata nel tempo, come fece con successo Prodi con l'eurotassa, poi parzialmente restituita, o, come di recente proposto dalla CGIL, (e come sarebbe preferibile) una tassa ordinaria sulle grandi ricchezze, simile a quella presente in Francia, con una aliquota dell'1,0% sulla ricchezza complessiva superiore agli 800.000 euro. Da questa tassa, che colpirebbe solo il 5% più ricco e ricchissimo della popolazione italiana e che non toccherebbe nessun altro ceto e reddito, si potrebbe ricavare un gettito annuo di circa 18 miliardi di euro. Sarebbero soggetti a tale imposta tutte le famiglie la cui ricchezza complessiva, mobiliare e immobiliare, superi gli 800.000 euro l'anno, al netto dei mutui e delle altre passività finanziarie. Allo stesso tempo, ne sarebbero esclusi tutti coloro che, pur essendo proprietari di una o più abitazioni, nonché depositi in conto corrente, titoli di Stato o altre obbligazioni, non raggiungano il limite indicato. A questa si potrebbe aggiungere una tassa dello 0,5% sulle transazioni finanziarie e l'unificazione al 20% dell'aliquota sulle rendite finanziarie. Una parte delle risorse così reperite dovrebbe andare a finanziare lo sviluppo, ed un'altra ad alleggerire il carico fiscale sul lavoro.
Il centro sinistra deve avere il coraggio di aprire un dibattito, un confronto nel paese su queste proposte, costruire una mobilitazione ed una sensibilità, senza la solita vecchia paura che “a parlar di tasse” si perdono le elezioni, della sinistra che mette le mani nelle tasche degli italiani, e così via.. Il momento è grave ed il paese è cambiato, sta nascendo una nuova consapevolezza e come, ai tempi di Prodi, gli italiani senza tante proteste a fronte dell'obiettivo entrare in Europa, accettarono l'imposta straordinaria sugli immobili (l'eurotassa), così adesso messi di fronte all'obiettivo di costruire un futuro per i propri figli, non si tireranno indietro, tenendo per altro presente che queste misure hanno tutte come comun denominatore l'equità e la giustizia sociale.

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