di C. C. -

Il tema dei beni comuni non è certamente nuovo. Nuova è invece l’attenzione di cui negli ultimi tempi hanno ricominciato a godere, tornando alla ribalta con la questione “acqua” e le campagne referendarie. Bene, anzi benissimo, perché c’è proprio bisogno che si torni a discutere dei beni comuni in quanto diritti fondamentali ma anche e soprattutto perché la gestione dei beni comuni riguarda il governo del mondo. E allora, non solo di acqua si parla. Dire Beni Comuni vuol dire occuparsi di sopravvivenza e sostenibilità, conoscenza ed uguaglianza, acqua, aria, mare e via discorrendo. In una parola beni comuni come unica possibilità di sopravvivenza del pianeta, nell’interesse delle generazioni che verranno. Occuparsene, visto lo stato delle cose, non è mera filosofia, ma una necessità impellente. Raccogliamo quindi la sfida e ripartiamo dall’essenzialità dei beni comuni, a livello locale come pure a livello globale.

Per far ciò è necessaria una riflessione approfondita. Vediamo, quindi, di capire meglio di cosa stiamo parlando. Il termine Bene Comune è riferibile a diversi concetti, è un termine che ha a che vedere con la filosofia, l’etica, la politica, la religione, la giurisprudenza. San Tommaso d’Aquino sosteneva che “il bene comune è anche il fine comune”. E’ un bene materiale, ma anche immateriale che può essere utilizzato da tutti. E’ una forma diversa del possedere, sono beni a “titolarità diffusa”, chiunque deve poter accedere e nessuno può pretenderne l’esclusività. Sono beni che soddisfano bisogni primari e quindi ne va salvaguardata la permanenza nel tempo. In quanto tali, devono restare fuori dalle logiche del mercato e del profitto.

Scegliere una società dei Beni Comuni, vuol dire optare per una visione del mondo profondamente diversa da quella imposta negli ultimi quarant’anni. Vuol dire scegliere per il primato del vivere insieme a fronte della logica della sopravvivenza individuale. Vuol dire prendere in seria considerazione la possibilità di una “decrescita felice”, per dirla con Latouche.

La salvaguardia e la promozione dei Beni Comuni come la terra, l’aria, l’acqua, l’energia solare, la salute, l’educazione, la pace, significa inoltre assumere come valore fondante la centralità dell’”altro” come bene comune insostituibile. Intendendo “altro” non solo come essere umano, ma anche come elemento del mondo naturale.

Se assumiamo quanto detto sui beni comuni come un possibile Manifesto per il Futuro bisognerà anche tener conto del “valore” dei Beni Comuni. Si tratta di un valore di utilità sociale ed umana, non monetizzabile. Devono cioè restare fuori dalle logiche di mercato. Quindi c’è bisogno di una “demanializzazione” dei beni comuni. C’è bisogno che lo Stato si riappropri dei benefici e dei costi dei Beni Comuni. Poiché, in questo caso, gratuità non vuol dire costo zero. Vuol dire invece che i costi vanno sostenuti dalla collettività attraverso la spesa pubblica, finanziata dalla fiscalità generale. Una grande conquista sociale del passato fu il principio della gratuità dell’accesso e dell’uso dei beni essenziali ed insostituibili per la vita, grazie alla copertura comune dei loro costi secondo principi di giustizia, solidarietà e responsabilità. Le socialdemocrazie del nord Europa insegnano. Una società efficace considera il Bene Comune come un valore e non come un problema. In questo senso una riflessione sulla fine che hanno fatto l’educazione e la cultura nel nostro paese non guasterebbe.
In effetti nel nostro paese, o per meglio dire con l’attuale governo, si guarda ben poco all’interesse generale, o all’utilità collettiva in funzione di principi fondamentali come uguaglianza, giustizia e solidarietà. Ed in questo contesto non c’è più spazio né funzione per i Beni Comuni pubblici. L’impresa è il modello assunto per il governo dello stato. Se si parla di “governance” che sia dell’educazione, dei beni naturali, della salute facciamo attenzione, si tratta di “una pirateria strutturale, un esproprio legalizzato dei beni comuni, della giustizia e della democrazia” (Riccardo Petrella, Economia-Internazionale 9/06/11).

I politici, gli amministratori che condividono la centralità dei Beni Comuni hanno il dovere di sostenere il ruolo fondamentale della partecipazione dei cittadini e della responsabilità condivisa. “Una società per funzionare bene deve poggiarsi sul pilone della reale partecipazione dei cittadini al governo della res publica” (R.P.). La campagna per l’acqua pubblica ne è esempio lampante. Cittadini che vogliono partecipare, che chiedono un pubblico efficace, equo e trasparente. Cittadini che pretendono di giocare un ruolo attivo ed essenziale. Cittadini che chiedono di “ri-cittadinare” la città del vivere insieme, vanno presi in considerazione.

Vogliamo ripartire da qui, dai Beni Comuni, essenziali ed insostituibili per la vita, cui corrispondono diritti e doveri individuali e collettivi. Ripartire dalle ricchezze comuni che possono esser messe al servizio del diritto ad una vita decente per tutti, prendendo ciascuno la propria quota di responsabilità. Ed andiamo oltre. Estendiamo il concetto di Beni Comuni a nuovi beni fondamentali. Inseriamo l’accesso alla rete, come partecipazione alla “res publica” e lavoriamo per il reddito minimo garantito come garanzia di vita decente e sociale, per tutti, occupati o meno che siano.

Lanciamo da subito una sfida. Non disperdiamo il patrimonio dei comitati per l’acqua, apriamo una Costituente dei Beni Comuni.

 

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